“Let’s all raise our glass to Alfredo James Pacino…”. Con queste parole Robin Williams sollecitò il proprio omaggio ad Al Pacino durante la cerimonia in suo onore per l’AFI Life Achievement Award. Avremmo potuto iniziare questo articolo in tanti modi, però pescare il discorso di un altro gigante del cinema ci è sembrato più appropriato, anche per sottolineare l’importanza che ha la sua figura per tutta l’industria hollywoodiana.

Non che ci sia bisogno di rimarcarlo, ma un rispetto del genere aiuta a comprendere il valore che questo attore ha avuto per il cinema. E quale migliore occasione se non per il suo ottantacinquesimo compleanno (25 aprile 1940).

L’adolescenza nel Bronx

Un giovane Al Pacino
Un giovane Al Pacino

Alfredo James Pacino, classe 1940, è uno di quei nomi che nell’arena del cinema sono ormai circondati da un’aura ineguagliabile. Dalla Hollywood Classica abbiamo ereditato grandi nomi, da Montgomery Clift a James Dean, passando per Marlon Brando. La New Hollywood, dal canto suo, può sfoggiare altri pezzi da novanta, da Dustin Hoffman, Jack Nicholson, Robert De Niro e, appunto, Al Pacino. Quest’ultimo è un figlio delle strade del South Bronx e di un’infanzia travagliata, marchiata dall’assenza del padre.

Nonostante la presenza della madre e il costante sostegno dei nonni, le strade del quartiere e i guai con gli amici accompagnarono il giovane Al sino all’adolescenza. Di conseguenza, sembra uscirne un’immagine stereotipata del giovane delinquente newyorkese che, graziato da un talento nascosto e baciato dalla fortuna, si è visto salvare la vita dalla recitazione. Vera, ma non troppo. A rendere giustizia a quell’adolescente italo-americano ci pensa la sua autobiografia, Sonny Boy (2024).

Sonny Boy

Al Pacino e Kitty Winn in una scena di Panico a Needle Park
Al Pacino e Kitty Winn in una scena di Panico a Needle Park ©Didion-Dunne

Dalle pagine del suo stesso racconto, Al Pacino trasmette la reale immagine del sé bambino e adolescente: un bambino che condivide con la madre l’amore per il cinema e che lo porta, in tenera età, a replicare le interpretazioni per i suoi familiari. Un adolescente che, pur vivendo le strade di quel Bronx anni ’50 e ’60, non soccombe all’inevitabile destino a cui sono andati incontro tutti i suoi amici (morte per overdose prima dei 30 anni), ma, pur convivendo con gli stessi ambienti, trova rifugio nell’arte, nel teatro e nella recitazione. È più bello pensare, anche a onor del merito, che non sia stato salvato dall’arte ma si sia salvato incanalando in essa le sue energie.

Un adolescente che passeggia tra le vie del Bronx tenendo sotto braccio le opere di Cechov, declamandole in tarda notte di ritorno a casa dove, poi, avrebbe ascoltato la musica di Stravinskij. Un giovane che si getta sulle tavole del palcoscenico, trovandovi quel rifugio che né la sua casa né la sua cerchia di amici poteva garantirgli. La recitazione lo portò a girovagare nei teatri Off Off Broadway, fino alla pièce L’indiano vuole il Bronx. Oltre a recitare fianco a fianco con l’amico John Cazale, questa gli avrebbe poi aperto le porte di Broadway e non solo…

Il Padrino

Al Pacino in una scena de Il Padrino (1972)
Al Pacino in una scena de Il Padrino (1972) ©Paramount Pictures

La carriera di Al Pacino, seppur estremamente affascinante per l’aver interpretato ruoli iconici, sembra nascondere gran parte del suo fascino nel modo in cui lui stesso l’ha approcciata. La recitazione non è mai stata un mezzo per raggiungere le luci della ribalta: tutto ciò è stato l’inevitabile frutto del suo talento. In realtà, come già scritto, la recitazione era la sua passione, libera da qualsiasi mira per il successo. La sua è una rincorsa molto lunga, che guardava con meraviglia ai palchi di Broadway e che non contemplava nemmeno il salto verso il cinema.

Fu il destino a bussare alla sua porta – per il giovane Al, il destino aveva il volto di Francis Ford Coppola. Il regista volle far entrare Pacino a Hollywood dalla porta principale, ma fu necessaria una grande tenacia. Ostinazione e tenacia che lo portarono ad un duro braccio di ferro con i vertici Paramount per garantire il ruolo di Michael ad Al (loro avrebbero voluto celebrità già affermate). Una lotta che dovette continuare anche a riprese già iniziate.

Lo Sapevi?

Il clima attorno al quasi esordiente attore era divenuto molto pesante, sentiva di non essere ben voluto così, Coppola, per convincere definitivamente i produttori, arrivò a sconvolgere il piano delle riprese.

La scena con Sollozzo e McCluskey

Al Pacino sul set de Il Padrino
Al Pacino sul set de Il Padrino © Paramount Pictures

Le prime scene di Michael non convinsero i piani alti. Difatti, sono molto piatte: il personaggio stesso è piatto in queste prime inquadrature, non ha avuto ancora modo di emergere, è ancora il giovane Mickey, il piccolo della famiglia Corleone. Solo la graduale risalita di Michael nelle gerarchie familiari avrebbe consentito alla recitazione di Al di riprendere quota nei favori della Paramount, del cast e dello stesso Coppola. Quest’ultimo, come scritto, favorì decisamente il giovane Pacino, anticipando le riprese della scena nel ristorante con Sollozzo e McCluskey. Così facendo avrebbe potuto inviare il girato ai vertici legittimando una volta per tutta la sua scelta.

E la scelta fu azzeccata: da questa scena emerge il cambio di personalità di Michael. Il giovane ragazzo del college, lasciato ai margini nei business dei Corleone, inaugura la sua scalata nelle gerarchie criminali sin dalla scena in cui visita il padre Don Vito in ospedale, ma è durante quell’incontro che Michael tocca il punto di non ritorno. Sinora Pacino ha trasmesso con i suoi occhi il disagio di chi non è avvezzo a questi ambienti, ma qui lo coniuga con la determinazione di chi vuol salvare le sorti della famiglia. Il ritorno dal bagno, con l’arma in tasca, è un crescendo di tensione e potenza, per i quali sono sufficienti i movimenti delle sue pupille.

Il ticchettio con cui alterna compulsivamente gli sguardi a Sollozzo e McCluskey è l’unico movimento che compie, il corpo è immobile fino allo scatto finale. Pochi secondi con i quali Al Pacino persuase tutti, dando vita all’icona di Michael Corleone.

Serpico (1973)

Al Pacino nelle vesti di Frank Serpico in Serpico (1973)
Al Pacino nelle vesti di Frank Serpico in Serpico (1973) ©Produzioni De Laurentiis Inter.Ma.Co.

Se volessimo trovare un altro modo per rimarcare la densità di ruoli iconici di cui è cosparsa la carriera di Al Pacino, basti pensare che nel giro di un biennio (1972-1973), e con soli quattro film all’attivo, aveva già interpretato Michael Corleone e Frank Serpico. Due ruoli, e due film, che potrebbero illuminare decenni di grigia carriera attoriale, Al Pacino li portò sul grande schermo in due anni.

In aggiunta, sono due ruoli emblematici per la sua carriera, il gangster e il poliziotto. Due interpretazioni che illuminano la sua versatilità recitativa e lo portano a dipingere fedelmente la scena newyorkese, dalla malavita alla polizia corrotta a cavallo tra anni ’50 e ’60. Pacino, alla soglia dei 33 anni, è ancora all’alba della carriera cinematografica ma riesce ad imporsi con enorme potenza: lo spietato Michael e il tenace Frank gli garantirono due nomination agli Oscar.

Lo Sapevi?

Il primo regista di Serpico era John Avildsen. Dopo l’improvviso licenziamento, Dino De Laurentiis incaricò lo stesso Pacino per la scelta del nuovo regista: dopo vari incontri (tra cui un giovane Scorsese) scelse Sidney Lumet.

Michael e Frank: archetipi agli opposti

Michael Corleone in una scena de Il Padrino
Michael Corleone in una scena de Il Padrino ©Paramount Pictures

Al Pacino, agli albori della propria carriera, si contraddistingue per un’assoluta prolificità nella costruzione di vere icone cinematografiche. Nei primi anni di carriera realizza: Il Padrino (1972), Serpico (1973), Il Padrino – Parte II (1974) e Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975). Guardando ai primi due notiamo non solo icone, ma veri archetipi: Michael Corleone e Frank Serpico, due persone distanti tra loro, che di fronte a un analogo bivio morale rispondono in modi diametralmente opposti. I due italoamericani trovano sul tavolo del destino due buste: una contiene la moralità, la seconda uno stile di vita corrosivo, malavitoso, corrotto.

I due provengono da ambienti differenti ma sia Michael che Frank, inizialmente, tentano la via più complicata: la moralità. Il primo compie solo un tentativo di facciata, voluto dal padre Vito Corleone per dare una parvenza di legalità alla famiglia, il secondo, invece, non riesce a non compiere la scelta morale. Se Michael Corleone vira verso l’abisso malavitoso in nome della sua famiglia, Frank Serpico, in nome della sua moralità e dell’onestà, vere oasi nel deserto di corruzione, si ritrova isolato. Il primo cede alla disintegrazione morale, il secondo resiste mantenendosi integro.

Oltre i cliché

Al Pacino nei panni di Jimmy Hoffa nel film The Irishman (2019)
Al Pacino nei panni di Jimmy Hoffa nel film The Irishman (2019) © TriBeCa Productions
Sul ruolo dell’attore

“I personaggi che reciti ti identificano, e a volte gli attori rimangono incastrati e recitano sempre gli stessi ruoli” – Al Pacino

Nella sua autobiografia, Sonny Boy, Pacino scrive questo monito importante in merito ai cliché per l’attore. Un avvertimento decisivo, perché pur ricoprendo ruoli decisamente riconoscibili (il gangster ne Il Padrino, il poliziotto “ribelle” in Serpico) creando veri simboli della settima arte, Pacino non si è mai ritrovato imprigionato in uno di questi. Si è sempre garantito la libertà di spaziare, portando in scena ogni angolo dell’animo umano. La sua recitazione non resta mai incastrata nel cliché, ed è questo che rende unico ogni suo ruolo. Il suo mafioso, il suo criminale, il suo poliziotto non rimandano mai ad altre impalcature precedenti, sono costruzioni ex novo, persone a sé stanti nelle quali ha scavato.

Si è calato del tutto nelle complessità e nelle crepe del boss mafioso che lotta per le sorti della famiglia, dell’onesto e integro poliziotto isolato dai colleghi e isolatosi dagli affetti. Una continua indagine che lo porta a guardare il mondo con occhi sempre differenti – del resto “The eyes, chico. They never lie”. Per riprendere nuovamente le parole conclusive del discorso di Robin Williams: “For you, Godfather!”.

Condividi.

Classe 1995. Una volta ottenuto un diploma in Ragioneria ed una Laurea Triennale in Scienze Politiche, Luca, che dall'adolescenza avverte una sempre maggiore vicinanza al mondo del Cinema, decide di dare spazio a questa passione. La sterzata avviene prendendo parte ad una compagnia teatrale amatoriale e con una Laurea Magistrale in Scienze dello Spettacolo all'Università di Firenze. Un'iniziale e forte attaccamento all'accoppiata De Niro-Scorsese e ai loro Gangster Movies, si è con il tempo rivelato vero amore per la Settima Arte e molte delle sue sfumature.