Se ancora oggi, nel 2022, in una serie di successo internazionale come Mercoledì, la mossetta delle mani che fanno finta di ghermire, coreografia resa celebre dagli zombie di Thriller, viene omaggiata in una scena di ballo ormai già diventata instant-cult, un motivo ci sarà. Probabilmente se il videoclip di Michael Jackson fosse stato girato negli anni’90 la regia sarebbe stata affidata a Tim Burton, mentre negli anni Duemila magari sarebbe toccato a Guillermo Del Toro.
Questo solo per dare un’idea dell’iconicità del cortometraggio musicale diretto da John Landis nel 1983, basato su Thriller, settimo e ultimo singolo a essere estratto dall’album omonimo di Michael Jackson pubblicato l’anno precedente. L’affidarsi a un regista cinematografico di chiara fama, ovviamente versato nel genere horror, fu uno stratagemma assolutamente inedito per l’epoca e infatti, nella storia dei videoclip musicali, esiste un prima e un dopo Thriller. Quest’anno, con i 40 anni dalla pubblicazione dell’album più venduto della storia della musica pop, ne approfittiamo dunque per tentare un’analisi filmica del videoclip di maggior successo nella storia della musica filmata.
Un lupo mannaro americano nella pop music
Se Thriller costituisce uno spartiacque nel mondo del videoclip musicale è per molteplici ragioni: il budget spropositato per l’epoca, 500.000 dollari, l’uscita a un anno di distanza dall’album, cosa inusuale poiché i video servivano a fare da traino a un album in uscita e a consolidarne le vendite con i successivi singoli rilasciati in genere nell’arco di pochi mesi, ma soprattutto una visione chiara, da parte di Michael Jackson, nel voler realizzare qualcosa che non era un semplice video di commento a qualcuno che cantava e ballava, ma qualcosa di più, che avrebbe aperto la strada ad un modo di pensare e realizzare la musica filmata che avrebbe fatto scuola.
L’intuizione fulminante per Thriller fu di chiamare John Landis, il cui Lupo mannaro americano a Londra, nel 1981, aveva colpito la fantasia del pubblico con una perfetta alchimia, raramente ripetuta in seguito, di horror e commedia, con discrete spruzzate di sangue. Sembra che non fu Jackson il primo a pensare di chiamarlo, bensì il suo manager Frank DiLeo. Ma questo non ha importanza: ciò che importa è la telefonata che Jacko fece nel cuore della notte a Landis, che era a Londra, per proporgli l’idea. Superati i problemi di fuso orario, il coinvolgimento del regista di The Blues Brothers fu determinante per arrivare a quella forma, assolutamente inedita per l’epoca, di cortometraggio musicale, in cui venivano contaminati per la prima volta il linguaggio del videoclip con quello della narrazione cinematografica.
Non dimentichiamo tra l’altro la presenza sul set del mago degli effetti speciali Rick Baker, responsabile dell’incredibile trasformazione a vista di uomo in licantropo, di Un lupo mannaro americano. Il risultato fu epocale e infatti il video vinse 3 MTV Award all’MTV Video Music Award 1984, nonché un Grammy Award nel 1985, quando uscì la VHS contenente il video e il relativo Making of. Ma soprattutto riportò l’album di Jackson, uscito un anno prima, in vetta alle classifiche di tutto il mondo, rendendolo di fatto il disco più venduto della storia.
Tra omaggio all’horror classico e sperimentazione narrativa
Ciò che Landis e Jackson, co-autori del soggetto e della sceneggiatura, intendevano realizzare era un affettuoso omaggio alle atmosfere horror dei classici di una volta (soprattutto della Universal), attualizzati con lo spirito degli anni ’80. Ecco dunque l’uomo lupo, come nel cult del 1941 con Lon Chaney jr., rivisitato però con fattezze gattesche, e gli zombie resi celebri dal film di rottura di George Romero del 1968, La notte dei morti viventi, riportati ulteriormente in auge dal bellissimo sequel del 1978 Zombi.
In questo oscillare tra tradizione e sperimentazione, tra omaggi affettuosi e soluzioni inedite risiede molto del fascino di Thriller. Da un lato abbiamo dunque scelte narrative volutamente ingenue, in linea con gli horror del passato, come la ragazza (interpretata da Ola Ray) che si rifugia nella casa abbandonata, in stile Psycho, per sfuggire agli zombie; dall’altro abbiamo una struttura del videoclip rivoluzionaria, in cui la parte musicale è subordinata alla narrazione: all’uscita dal cinema Michael Jackson prende in giro la fidanzata per lo spavento e, nel far questo, sciorina tutte le strofe del brano Thriller senza ricorrere mai al ritornello.
La canzone viene così ridotta ad una versione monca, in favore della storia raccontata, con lo spettatore che alla fine di ogni strofa vorrebbe ascoltare l’iconico ritornello ma, in una sorta di continua dilazione del piacere, non verrà accontentato, almeno fino al balletto zombi, durante il quale finalmente Jacko esplode negli iconici versi “‘Cause this is thriller, thriller night…”. Nessuno aveva mai fatto questo con una canzone di successo. A causa della natura ibrida del prodotto alcune cose certamente non tornano: Michael diventa Zombi, poi ridiventa normale per cantare il ritornello, infine ridiventa zombi per inseguire la ragazza nella casa. È chiaro che qui intervengono ragioni che esulano dalla coerenza narrativa e che invece hanno a che fare con le esigenze commerciali del videoclip.
Il sonoro
Anche l’utilizzo del sonoro d’ambiente, col rumore dei passi ritmati degli zombi durante la canzone, costituisce un’assoluta novità per l’epoca. Infatti quest’utilizzo del suono reale verrà ripreso in molti videoclip, come per esempio in Thursday’s Child (199) di David Bowie, in cui questa soluzione viene portata all’estremo, scegliendo di ascoltare addirittura il rumore del rubinetto di un bagno allo stesso volume della canzone.
I livelli narrativi
Infine il videoclip diretto da John Landis gode di ben 3 livelli di enunciazione narrativa: il primo è quello del film sul “gatto mannaro” che viene visto al cinema; il secondo è quello di Michael con la sua fidanzata che vedono il film e poi vengono aggrediti dagli zombi; il terzo e ultimo è quello in cui la ragazza si risveglia dall’incubo sul divano di casa. Alla luce di tutto questo, in effetti quest’ultimo livello dovrebbe essere considerato il primo, ovvero quello generatore di tutti gli altri. Se al cinema lo stratagemma del sogno o del film nel film era già ampiamente abusato, nel videoclip era la prima volta che si tentava una cosa del genere.
I luoghi oscuri di Michael Jackson
In seguito alle proteste della chiesa di Geova di cui Michael Jackson faceva parte, all’inizio del video fu aggiunto un disclaimer in cui il cantante dichiarava di non avere alcuna credenza nell’occulto. Suona quasi profetico tutto questo, alla luce di quanto in seguito avremmo appreso della vita privata di Jacko. Quei mostri in cui si trasforma l’idolo pop all’interno del video, prima il gatto mannaro, poi lo zombi, sembrano prefigurare quelle tare psicologiche che il cantante si portava dietro fin dall’infanzia negata e che sarebbero poi esplose nelle accuse di pedofilia, arrivate in seguito. L’attrazione di Jackson per le atmosfere horror e per la doppia personalità non possono non far pensare al suo lato più vulnerabile e mentalmente instabile, di cui purtroppo tutto il mondo è venuto a conoscenza successivamente. In questo senso dunque Thriller rappresenta un primo ingresso, inconsapevole, del pubblico nei luoghi oscuri della sua anima.
L’eredità di Thriller
A 40 anni di distanza, l’influenza di Thriller nel mondo dei videoclip e, soprattutto, nella cultura pop è più viva che mai, come abbiamo visto anche dalla danza dell’adorabile Jenna Ortega nella serie burtoniana Mercoledì. Non si contano infatti le citazioni, gli omaggi, i meme e gli ammiccamenti a Thriller, alla sua danza degli zombi e ai molti elementi iconici presenti nel videoclip, sparsi in questi ultimi 4 decenni e sarebbe tedioso enumerarli tutti qui. Su tutti basti ricordare il fermo immagine sugli occhi felini di Al Jankovic nel finale di Eat It (1984), parodia di Beat It, e i gorilloni animati del videoclip Clint Eastwood (2000) dei Gorillaz, che imitano la Zombi-Dance. Ciò che conta però dell’eredità di Thriller è un modo di concepire e realizzare il videoclip musicale assolutamente rivoluzionario, che sarebbe diventato una modalità produttiva e narrativa ampiamente diffusa negli anni a venire.