Nel 2004 ogni appassionato d’animazione giapponese – fuori dal Sol Levante un numero decisamente minore rispetto al giorno d’oggi – non poteva che parlare quasi esclusivamente dell’ultima fatica di Hayao Miyazaki, Il castello errante di Howl. Alle sue spalle, molto in sordina, due titoli provavano a farsi spazio e trovare risonanza: il mai celebrato abbastanza Millennium Actress di Satoshi Kon e, soprattutto, l’esordio di quello che da lì a pochi anni – complice l’uscita dalle scene o il progressivo rallentamento nel lavoro di molti autori di rilievo – diventerà uno degli animatori più influenti del nuovo millennio, punto ideale di contatto tra istanze artistiche Occidentali e Orientali.
Alla prima visione di Mind Game di Masaaki Yuasa non è difficile restare a bocca aperta, spiazzante quasi quanto non lo fu vent’anni fa, quando questo modo di raccontare era tutt’altro che prassi. Yuasa, intanto, è diventato negli anni un nome sempre più presente nel panorama internazionale, ottenendo con merito riconoscimenti legati non solo al suo ruolo di animatore ma cineasta a tutto tondo. I vent’anni di Mind Game sono l’occasione utile per riflettere non solo sul gioiello che diede il via alla scalata verso il successo dell’animatore ma anche, per estensione, su Yuasa stesso.
Uno, nessuno, centomila
Tra le caratteristiche che contribuiscono a rendere grande un autore non andrebbe sottovalutata la capacità di restare riconoscibile a fronte diverse e sfaccettate anime. Concetto che permea, specie a posteriori e retrospettivamente, tutto Mind Game. L’esordio del giapponese è come un museo del fantastico e della meraviglia, quasi un bignami dell’animazione. Yuasa conosce le potenzialità del mezzo, rifugge dalla ricerca di realismo e sfida i limiti della visione e prova ad andare oltre, a spingersi verso un’espressività esasperata ed esasperante. Sa che animando può raccontare quello che vuole, come vuole. Il suo cinema risulta a tratti dispersivo e ingestibile ma proprio per questo esprime una forza visuale e ritmica dirompente.
Quello di Yuasa, al netto di un’identità stilistica riconoscibile, è un lavoro che, senza fermarsi, è in continua evoluzione, in costante ricerca di linguaggi differenti. Che prova a parlare a quanti più spettatori possibili senza rinunciare ad osare, scendendo poche volte a compromessi. Mosso da una curiosità genuina, l’animatore nipponico trascina e diverte anche perché sembra divertirsi egli stesso. Ogni fotogramma di Mind Game, così, è un micromondo a sé, racconta con ogni suo mezzo a disposizione una storia nella quale potersi perdere estaticamente, per poi catapultare nuovamente e improvvisamente al grande insieme del racconto, per reimmergersi velocemente in nuovi frame, più selvaggi e imprevedibili dei precedenti. È un approccio non solo al medium ma all’intrattenimento, in senso lato, fuori da qualsivoglia convenzione, privo di ancore certe, stimolato e stimolante.
Siete pregati di allacciare le cinture
Mind Game martella, almeno nella sua prima metà, ininterrottamente, arricchito da intuizioni drammaturgiche e sceniche memorabili. Tra esse, esemplificativa del clima di disomogeneo disordine psichedelico, l’incontro con la divinità mutaforma, un mini-saggio di trasformatività e di creatività visuale che sfrutta appieno e magnificamente, e in maniera spassosissima, tutto il potenziale del mezzo animato. Il sistema visuale d’insieme non pare intenzionato a compiacere, anzi sembra piuttosto rivolto ad ostacolare l’adattamento dello sguardo, a mettere ogni volta in discussione l’occhio di chi guarda con qualcosa di imprevisto, di mai visto. Un mosaico caleidoscopico, come se all’interno della mente di Yuasa esistessero almeno altri tre-quattro creativi, ognuno con un’idea di impressione ed espressione visuale differente. Ciò che risulta più difficile è però avvicinare tutti questi linguaggi e renderli coesi. Tradizionale 2D, CGI, papercraft, rotoscoping, nessuno calpesta i piedi all’altro e l’effetto finale raramente rallenta in termini di fluidità o lucidità.
Attingendo ad una vastissima gamma di influenze e contaminazioni – da Tezuka a Tex Avery, Chuck Jones e i Looney Tunes, dalla pittura surrealista ai cromatismi dei Fauve o del cinema di Jacques Demy – Yuasa guarda al passato, non solo giapponese, ma se ne distacca fortemente, infrange le aspettative, mette KO ogni tentativo di caratterizzazione. Così il suo primo film da regista pare spontaneo ma è calcolatissimo, giocoso ma concentrato, ipercinetico ma al contempo riflessivo e metafisico, estroverso e intimo. Troppo, talmente tanto che, inevitabilmente, qualche frame si perderà per strada, alcuni passaggi risulteranno chiari solo a posteriori o addirittura resteranno ignoti. È, come sempre davanti a titoli così ambiziosi, prendere o lasciare.
Mind Game prende in prestito, incrocia e rimedita modelli del passato dell’animazione e del cinema “dal vivo” per creare una forma nuova. Un ibrido postmoderno che nelle sue singole sezioni funzionerebbe altrettanto bene: dalla sequenza del ristorante all’inseguimento, passando per il lisergico segmento tra danza e coito all’interno della balena, ogni parte del racconto ha una sua identità ma si riallaccia alla visione generale di un’opera pensata e calibrata al millimetro, anche nell’apparente follia di libere associazioni. Un’animazione trasformativa che riflette lo spirito dello stesso visionario che sta a monte, che ritorna agli elementi primordiali del medium e, dopo averli smontati pezzo per pezzo, li converte in fuochi d’artificio per il contemporaneo. Vibra ogni singola linea, ogni cromatismo, così che personaggi, ambienti e oggetti possano avere una propria personalità anche se il loro aspetto non sembra mai stabile.
Tecnica che di rado è esercizio di stile, perché ogni camaleontico elemento trova la sua armonia e dimensione adeguata accanto al successivo e al precedente. Yuasa provoca, bonariamente e senza rinnegare, l’animazione tradizionale nipponica – casualità vuole che sia uscito lo stesso anno di uno dei più grandi successi dello studio Ghibli – e così proietta verso il futuro l’eredità di chi, come Yamamoto o Kuri tra i tantissimi, nell’ambito degli anime aveva già, decenni prima, giocato con l’alterità e lo sperimentalismo. Ma ciò che conta, e di frequente si dà per scontato, è l’utilizzo dell’immagine, del raccontare attraverso segni e policromie che ora si piegano alla storia ora prendono le redini e comandano il discorso. Immagini che raccolgono la modernità fuori dallo schermo e la proiettano all’interno di esso fino ad emulare la velocità di un contesto odierno così veloce da apparire inafferrabile.
Giochi mentali e sogni elettrici
Una sarabanda, quella dell’arte Yuasa, che domina e disintegra il design, i tratti e le anatomie, in favore del dinamismo umoristico e del senso di velocità dei corpi. Ciò che appare in scena perde di aderenza con il reale, diventa schizzo puro e grezzo – da ricercare nell’ultimo Takahata, con il quale aveva per altro, lavorato per I miei vicini Yamada. E mentre le texture si piegano all’azione e ai sensi, la concezione di realismo viene superata definitivamente: lontano dalla verosimiglianza e dal legame visivo con il reale, in Mind Game viene data concretezza vivida all’intricata mente umana, al groviglio di idee e percezioni, espulso sotto forma di caos.
E se l’animazione, per sua peculiare natura, può rimodulare spazio e tempo, Mind Game spinge in questa direzione performativa fino a deflagrare i già amplissimi limiti. Distorce fino all’inverosimile, trasporta in qualcosa di molto simile ad un sogno. O un incubo. È una dimensione liquida, a metà, che sembra esistere solo nei film e nelle serie tv di Yuasa. In essa il movimento stesso perde i suoi connotati materici e cinetici, il passo leggero diventa volo, la corsa trasmuta in nuoto. Il bello muta in orrorifico, il grottesco in filosofico.
«Questa storia non è mai finita»
Mentre l’estro creativo elabora, al suo massimo, forme psichedeliche e deformate, Yuasa, parallelamente, scava anche nelle stratificazioni della psiche. Mind Game, lungi dal non avere (come si è detto a lungo) una trama o uno sviluppo avvincente oltre le sue animazioni, è infatti anche una profonda analisi di sé, come individuo e in rapporto con gi altri. Nella seconda parte, dall’approdo all’interno del cetaceo – non-luogo fuori dal tempo, tra Collodi e racconto biblico, nel quale la vicenda si stacca dal flusso iperveloce dell’esterno – l’autore si ferma, riflette e trova, in un contrappunto narrativo calibratissimo, modo di tessere una densa amalgama di dialoghi, di intrecci mentali, di storie.
Speranze, motivazioni, sofferenze, indissolubilmente legate all’azione scenica. In una storia pulp, tra noir e formazione, romanticismo e fantascienza, Yuasa proietta i concetti stessi alla base del film sui suoi stessi personaggi, nel tentativo di portarli a sfidare i loro limiti per ritrovarsi e rinnovarsi. Mind Game celebra, attraverso molteplici voci, la vita e l’indipendenza. Ogni individuo per Yuasa – che riprenderà tali concetti in buona parte delle opere successive – può essere ciò che vuole, come meglio crede, risultato delle proprie scelte, autore del proprio destino e in grado di poter resettare e ripartire. Definendo se stessi, poi, si può anche operare sulla realtà circostante, modellare gli spazi e la forma delle paure – in quest’ottica quel vorticoso trasformismo di Dio assume un nuovo e coerente senso.
Quello di Yuasa resta a distanza di vent’anni un esordio folgorante, anche e forse soprattutto in virtù della sua stranezza. Ma se questo è, forse, un modo per indicare la novità, il cinema dell’autore di Inu-oh sembra non potersi staccare mai da quell’idea di strano perché destinato ad apparire ogni volta come qualcosa di nuovo.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!