La Leggenda del Pianista sull’Oceano è un film del 1998 di Giuseppe Tornatore, adattamento dell’omonimo libro di Alessandro Baricco. La pellicola racconta l’insolita storia di un neonato che viene abbandonato e ritrovato all’interno del piroscafo Virginian. Fu un operaio della nave, Danny, a trovare il bambino e a decidere di crescerlo come fosse suo figlio. La vera particolarità di questo racconto sta nel semplice fatto che, burocraticamente parlando, quel bambino non esiste.
Nessuno conosce il suo vero nome, non ha una data di nascita, non ha una patria. Vive la sua vita solo ed esclusivamente a bordo della nave, facendo continuamente la spola tra l’Europa e l’America, circondato da operai, migranti e miliardari. Ciò che racconta il film di Giuseppe Tornatore è la vicenda di un uomo, Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, che ha vissuto sempre e soltanto sull’oceano, limitandosi ad osservare il mondo durante le soste nei vari porti dell’oceano atlantico.
Più unico che raro
All’occhio dello spettatore non possono non apparire le enormi differenze che rendono il personaggio interpretato da Tim Roth una creatura più unica che rara. Non conosce il mondo vero, non ha mai toccato la terraferma, non è, dunque, mai stato influenzato da tutte le logiche, pensieri e costumi che investono ognuno di noi. Un uomo che ha vissuto una vita avulsa dal tempo e dallo spazio, una figura quasi mitologica, verso il quale è impossibile non avvertire empatia. A questo ha contribuito anche l’interpretazione di Roth, perfetta coniugazione di intensità emotiva e complessità psicologica, affiancando la genialità musicale al lato più umano e fragile.
Il messaggio è che, una volta immedesimati in Novecento, non si può non cogliere un invito, una sorta di memorandum. Il suo non aver mai vissuto il mondo reale lo ha reso una persona dotata di una enorme bontà e umanità. Qualcuno potrebbe giudicarlo come ingenuo, ma questa vita al confine tra realtà e fantasia lo ha distanziato anche nell’animo dal resto dell’umanità.
La ricerca dell’estate
Una figura cruciale del film è Max Tooney (attraverso la cui voce si fa strada la storia del protagonista). Quest’ultimo, migliore amico di Novecento, tenta più volte di spronarlo a scendere sulla terra, a vivere quel mondo che ha sempre visto solo dall’alto della prua di quella nave, che è sì casa sua, ma che è al tempo stesso anche tutto il suo mondo. Le risposte del protagonista hanno una grande potenza, che ha paradossalmente e sarcasticamente la capacità di riportarci tutti con i piedi per terra. Ricorda come gli uomini siano ormai avvezzi alla costante non-felicità, sempre con lo sguardo volto a ciò che non hanno, a ciò che non stanno vivendo.
Da qui il suo rimprovero: “D’inverno non vedete l’ora che arrivi l’estate, poi d’estate avete paura che ritorni l’inverno”. Mai dediti a vivere e godersi ciò che stanno vivendo in questo momento, ma sempre a rincorrere il posto “dov’è sempre estate”.
Novecento sceglie di non scendere dal Virginian. Conduce una vita apparentemente all’insegna della libertà, sulle acque atlantiche, ma, in sostanza, incatenata alle sorti del piroscafo. Una scelta che può essere interpretata come un rifugio dalla paura del confronto – lui stesso definisce la terra “una nave troppo grande […] una musica che non so suonare”. Al tempo stesso, però, Novecento emerge come un uomo integro, imperturbabile, che non cede alle lusinghe di ciò che non ha. Lo si può vedere come l’incarnazione di una critica all’uomo moderno e alla smania di dover ottenere status, condizioni e oggetti che ci mancano.
L’assenza di competitività
Un secondo aspetto che lo caratterizza è una totale assenza di competitività. Novecento non crea mai alcun paragone con nessun altro: non solo è totalmente sprovvisto di ogni spirito competitivo, ma sembra addirittura non comprenderlo. Il protagonista guadagna un’enorme popolarità per le sue doti musicali con il pianoforte. Suona solo ed esclusivamente “sull’oceano”, ma la forza del suo mito e delle sue note, attraverso tutti i passeggeri del Virginian, si fa largo nell’entroterra americano ed europeo. Così uno dei migliori musicisti Jazz, se non il migliore dell’epoca, il pianista Jelly Roll Norton (esistito realmente a cavallo tra l’800 e gli anni ’40) sente minacciata la propria leadership.
Jelly Norton, avvertendo un’insidia per la sua autorità, sceglie lo scontro. Decide così di salire a bordo del piroscafo e incontrare Novecento per un duello musicale. Sin dalle prime inquadrature che lo vedono protagonista, Jelly Roll Norton parla di Novecento con estrema combattività, pronto a distruggere il mito di questo musicista dell’oceano. Novecento, dal canto suo, è incredulo, non capisce come quel musicista di fama internazionale possa anche solo parlare di lui, ma soprattutto non comprende la dinamica dello scontro. Il suo animo nato, formato e vissuto costantemente nelle sale di quella nave non concepisce il paragone e il contrasto che si è venuto a creare.
Il duello al pianoforte
Quest’aspetto diventa palese durante il duello con il musicista, quando non riesce a rispondere con la sua solita bravura e cerca, invece, di godersi le doti della controparte. Addirittura, durante la performance del suo avversario, mentre la sala esplode in applausi, urla e scommesse sull’incontro, Novecento non può far altro che commuoversi, ricordando all’amico Max che “è troppo bravo”. In questo caso è decisiva la recitazione di Roth, la cui mimica è il perfetto tramite per consegnarci la bontà genuina del suo animo, totalmente estraneo a questo meccanismo di rivalità e capace solo di godersi quegli attimi provando rispetto verso l’altro pianista.
Sarà soltanto l’insistenza dell’amico Max, vero “uomo di mondo”, a spingere Novecento ad avere un atteggiamento competitivo. In quel momento il protagonista scende definitivamente in campo, viene meno il suo animo mite arrivando a regalarci una delle migliori scene della pellicola, con la memorabile accensione della sigaretta.
Questa Leggenda, oltre che meravigliarci e deliziarci con la premiata colonna sonora di Ennio Morricone, può essere un’importante lezione. Per riportarci con i piedi per terra, dovremmo tutti comportarci come se fossimo nati e vissuti sull’Oceano, osservando le sponde che lo circondano solo dall’alto di una prua, tentando di ritrovare una visuale oggettiva ed estranea a tutto ciò che ci impedisce di godere pienamente della vita che abbiamo adesso – un nuovo punto di vista immaginario da cui osservare con modo estraneo la nostra vita, guardandola nella sua interezza per apprezzare fino in fondo ciò che ci è concesso.
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