Altro giro, altro adattamento: il Festival del Cinema di Venezia di quest’anno poggia saldamente le proprie basi sulla letteratura contemporanea, portando su schermo storie sempre più universali. Luca Guadagnino si espone senza timore con Queer, esplorando temi a lui cari nel modo più potente possibile. Il suo ultimo film non è un’opera di semplice lettura, ma è sicuramente la più evocativa e la più ispirata della sua carriera. In ogni scena si percepisce chiaramente l’amore del regista per William S. Burroughs, autore complesso e tormentato, ma anche artista in grado di trasformare l’introspezione in viaggi esistenziali senza fine.
L’approccio del cineasta palermitano si definisce coraggioso e spregiudicato già in partenza, considerando la natura particolarissima del materiale di riferimento. Burroughs è stato il “junkie” per antonomasia, ostinato nel riversare le proprie dipendenze nella sua scrittura, ma la versione cinematografica di Queer è riuscita a preservarne il caos, dalla scostanza all’iperespressionismo. L’ultimo film di Guadagnino potrebbe piacere meno rispetto ad altri proprio perché richiede una comprensione che va oltre lo schermo, ma farà sicuramente discutere (per lo più positivamente) per la sua folle ambizione creativa.
Genere: Thriller, storico, drammatico
Durata: 135 minuti
Uscita: ND (Cinema)
Cast: Daniel Craig, Drew Starkey, Jason Schwartzman
Una storia d’amore e d’omaggi
Alternando il reale e l’onirico, Queer racconta l’esperienza di William Lee (Daniel Craig), alter-ego dello stesso Burroughs. Un autore immerso nel suo sentire, anima errante in un microcosmo che ricorda Città del Messico (ricreato interamente a Cinecittà), schiavo dei piaceri e ossessionato dagli uomini. Ossessione edonistica che finisce per canalizzarsi verso l’aitante Eugene Allerton (Drew Starkey), un giovane con cui l’uomo intraprenderà una relazione complicata e tumultuosa. L’indirizzo del film, per quanto semplice, affascina sin da subito grazie a una cura maniacale per la messa in scena: scenografie e fotografia trasportano in un mondo colorato e ammaliante, con ogni anfratto che respira e vive a prescindere dalla presenza dei personaggi, ma sono soprattutto le musiche di Trent Reznor e Atticus Ross a creare un’atmosfera che avvolge e intriga dall’inizio alla fine.
Il rischio è che il troppo stile possa mascherare goffamente una mancanza di contenuti, ma Queer mostra dei personaggi davvero unici che evidenziano il contrairio. Da Daniel Craig a Drew Starkey, da un eccezionale Jason Shwartzman a Lesley Manville, i membri del cast offrono interpretazioni di assoluto livello che supportano al meglio la ricerca interiore dell’opera. Guadagnino è stato segnato dal testo di riferimento, al punto che desiderava realizzarne un film da più di 30 anni. Ogni inquadratura trasmette consapevolezza e ispirazione, riuscendo a mantenere un ritmo costante che esalta le numerose trovate registiche presenti di scena in scena. La sensazione è che Luca Guadagnino sia al massimo della forma: il suo film più personale è una coccola a icone britanniche come Powell e Pressburger, ma anche una risposta a se stesso, un giovane che sognava di capire e capirsi e che con Burroughs ha trovato nuove strade.
L’equilibrio fra le fonti
Se la verve di Guadagnino prende il sopravvento sapendo di far discutere, la resa generale cala nella seconda metà del film, con la sceneggiatura di Justin Kuritzkes che si fa sempre più distante dal romanzo e il regista che prende le redini della pellicola per scavare ancora più a fondo nel dolore del suo protagonista. Un tentativo lodevole e stilisticamente interessantissimo, il cui risultato è forse troppo sconnesso per raggiungere concretamente l’obiettivo. Un azzardo in tutto e per tutto, che sicuramente sarà capace di sconvolgere nel bene e nel male: che piaccia o meno, Queer fa di tutto per evitare ridondanze e offre costantemente nuovi stimoli.
Il culmine di questa corsa a perdifiato si raggiunge nella sequenza finale, talmente eterea e astratta da meritarsi un’approfondimento esclusivo soprattutto per la sua fortissima carica simbolica. A visione compiuta, l’idea generale è che non tutte le scelte convincano fino in fondo, ma la natura sconnessa e tumultuosa dell’opera rispecchia e omaggia al meglio delle proprie possibilità l’istinto autoriale di un artista ricordato ancora per la sua grande espressività. Guadagnino ne esce forse con meno clamori rispetto ad altre opere, ma conferma la sua caratura internazionale: Queer sarà più difficile da digerire, ma resta comunque un’esperienza da vivere fino in fondo, pensando all’amore più puro attraverso temi sempre più forti.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
Luca Guadagnino adatta un'opera dell'autore che gli ha cambiato la vita e lo fa con un film quanto mai avvolgente. La produzione di Queer sprizza coraggio e creatività da tutti i pori, non preoccupandosi praticamente mai di tenere a freno qualsiasi ispirazione. Il regista brilla in una prima parte di grandissimo fascino, ma rischia di perdersi nell'arrivo al finale. Nonostante un distacco forse troppo eccessivo, la passione di Guadagnino emerge nella forte carica simbolica di ogni scena. Un'opera di azzardi e scommesse, destinata a far riflettere ma soprattutto a far discutere
-
Voto Screenworld