Con MaXXXine, Ti West completa la sua trilogia, esplorando l’incessante ricerca dei sogni e l’intricata commistione tra autodeterminazione e destino di una donna ambiziosa.
X: A Sexy Horror Story
X, il primo capitolo della serie, prepara il terreno, strizzando l’occhio a The Texas Chain Saw Massacre e sovvertendo i tipici topoi dei film slasher, a partire da quello della final girl. Tradizionalmente, esso è utilizzato come faro di innocenza in mezzo alla carneficina; questo archetipo spesso sopravvive aderendo ai codici morali convenzionali di una sola ragazza, in netto contrasto con le altre vittime del gruppo, che si impegnano in comportamenti tradizionalmente considerati “immorali”. La final girl è quindi tendenzialmente pura e virtuosa, ma non Maxine. Il film, ambientato nel 1979, segue una troupe cinematografica di film per adulti in una fattoria scelta come set, dove incontreranno la morte per mano di due anziani assassini, proprietarie del posto. Maxine è l’unica sopravvissuta al massacro e, senza aspettare la polizia, fugge per andare a Hollywood per diventare una star.
Il film consacra la giovane come una forza da non sottovalutare, sia quando si tratta di lottare per la sua vita sia quando parliamo della realizzazione del suo sogno, che sarà pronta a ottenere con qualsiasi mezzo necessario. La sua brama di fama e successo, e la sua sessualità aperta normalmente la contrassegnerebbero come la prima assassina in qualsiasi altro film slasher, non l’unica sopravvissuta e protagonista. Come sappiamo bene da Scream, il sesso è il biglietto di sola andata per la morte. Questa divergenza dall’archetipo costringe il pubblico a riconsiderare i parametri tradizionali di moralità e purezza che hanno a lungo definito il personaggio della final girl. Invece di sopravvivere grazie al destino predeterminato da una moralità di stampo reazionario, Maxine sopravvive prendendo l’iniziativa e salvando se stessa. X approfondisce anche i temi dell’invecchiamento e dell’implacabile passare del tempo. Pearl, la villain del film, è una donna anziana, che un tempo era estremamente ambiziosa nella sua ricerca di diventare una star. I sogni irrealizzati di Pearl e il suo declino fisico contrastano nettamente con il vigore e la brama giovanile di Maxine.
Pearl
In Pearl, l’aspetto desaturato degli anni ’70 di X lascia il posto a un’estetica ispirata ai film di Douglas Sirk. Siamo nel 1918: la nostra protagonista vive sotto il tetto soffocante di sua madre, e il pessimo rapporto tra le due – combinato alla profonda solitudine della giovane – fa sì che Pearl non desideri altro che andare molto (molto) lontano dalla propria fattoria. Il film è una storia di formazione contorta di una ragazza che impara a imporre la propria volontà, pur non avendo le risorse mentali per poterlo fare nel modo più equilibrato. La discesa di Pearl nell’oscurità è contrastata in modo efficace dal luminoso effetto Technicolor del film – in alcune scene sembra di assistere a un horror diretto da Jacques Demy. La nostra eroina pian piano si inasprisce, così come i suoi sogni, e il film, a sua volta, sostituisce gradualmente i fienili rossi, gli spaventapasseri dorati e gli archetipi dell’iconografia americana familiare con immagini ricorrenti di animali in decomposizione e cadaveri bruciati.
Alla fine, non importa quanto Pearl cerchi di sopprimerlo, non esiste posto dove la sua crescente instabilità e i suoi sogni infranti possano essere sepolti – se non in quella stessa fattoria, ma per far ciò la giovane dovrà aspettare 60 anni. Il tema dell’inseguimento dei sogni è dipinto con pennellate luminose e pastose, in contrasto con la realtà oscura e grottesca della psiche di Pearl, implacabile nella sua ricerca per diventare una star, eliminando chiunque percepisca come un ostacolo. Nonostante i suoi sforzi estremi, il suo destino è quello di rimanere bloccata nella stessa fattoria in cui è cresciuta. L’ironia è palpabile: il controllo di Pearl sulle sue azioni è assoluto, eppure il suo sogno rimane irraggiungibile. È un’inquietante esplorazione di come l’ambizione ostinata possa deformare l’umanità di una persona, trasformando i propri cari in semplici ostacoli da rimuovere rapidamente. Il film culmina in un sorriso ininterrotto di Pearl della durata di tre minuti. La capacità di Goth di trasmettere la complessità del personaggio di Pearl in un modo così potente e inquietante consolida il film come il migliore di Ti West e uno degli horror più belli del millennio.
Maxxxine e il femminismo
MaXXXine porta un approccio roboante e stilizzato, che incapsula perfettamente gli anni ’80 mescolando montaggio sfarzoso, transizioni continue e split screen. Questo stile vibrante imposta il tono per il viaggio di Maxine verso la celebrità. Il film esplora più a fondo la dicotomia tra purezza e impurità a Hollywood e la tensione tra destino e agency personale. Sebbene la trilogia di Ti West offra un’esplorazione accattivante dell’ambizione, del controllo e del destino, regala anche il necessario promemoria del delicato equilibrio tra questi tre aspetti. Questo è un film che abbraccia amorevolmente la ferocia della donna “imperfetta”, sottolineando al contempo l’ipocrisia dell’estremo conservatorismo del passato e del presente. MaXXXine inizia nel 1959 con un filmato amatoriale in bianco e nero di una bambina che balla. “Quella è la mia bambina”, dice una voce paterna fuori campo. “Non accetterò una vita che non merito!”, incalza la giovanissima Maxine Minx. Passiamo al 1985, e Maxine è ora a Hollywood e sta per fare un provino per un sequel di un film horror: The Puritan II. La sua audizione va molto bene, in una scena che ricorda il provino di Naomi Watts in Mulholland Drive. “Ho visto il diavolo”, intona Maxine, “perseguitarmi come uno spettro del mio passato”. Ed è esattamente una sintesi di quello che la nostra star dovrà affrontare nel corso del film.
MaXXXine ha molto da dire sull’oggettivazione e l’umiliazione delle donne a Hollywood, come attrici e registe, e, accanto a ciò, anche sulla pratica consueta di sminuire l’horror come genere. “Dimostreremo loro che si sbagliano con un bellissimo bagno di sangue”, dice la regista Elizabeth Debicki a Maxine. Come nei due film precedenti, c’è un sottotesto nascosto, questa volta sulle donne a Hollywood e su quanto sia dura per loro sia davanti che dietro la mpd. Debicki sceglie Maxine contro la volontà dello studio che voleva evitare qualsiasi controversia, perché pensa che sia semplicemente la scelta migliore per il ruolo ed è disposta a combattere per lei. Quando dice all’attrice che “qualunque cosa la distragga deve essere sistemata”, questo fa sì che Maxine diventi una vera Linda Blair in Savage Streets con coloro che si oppongono alla sua ascesa alla celebrità. In tutto questo vediamo anche Maxine elaborare il trauma e il senso di colpa legate all’essere l’unica sopravvissuta del massacro di sei anni prima. Goth continua a brillare come la nostra eroina imperfetta, la riluttanza del personaggio ad assumere il ruolo di badante quando si tratta di salvare altre persone è in netto contrasto con il peso spesso imposto alle donne di dover mettere chiunque al di sopra di sé. A volte Maxine è egocentrica, non in modo stereotipato, ma nel definire chiari confini attorno a sé che protegge con rabbia e ferocia.
In un mondo in cui il diritto delle donne su ciò che accade al loro corpo viene messo in discussione dagli uomini che ricoprono posizioni di potere, è una boccata d’aria fresca vedere sullo schermo una donna che è così sfacciatamente priva di preoccupazioni per ciò che gli altri hanno da dire su come usa il suo corpo e la sua sessualità a proprio vantaggio. C’è anche l’idea che, affinché il personaggio di una donna venga preso “seriamente”, esso debba essere l’opposto di ciò che è percepito come sessuale – richiamando il vecchio adagio “santa o puttana” e annullando qualsiasi sfumatura. Rendere il personaggio di Maxine il fulcro centrale consente invece l’esplorazione di dinamiche complesse alle quali purtroppo non siamo state abituate. Il viaggio di Maxine è simile a quello di Pearl, entrambe donne ambiziose i cui sogni vengono profondamente ostacolati da una società che non le accetta. Tuttavia, Maxine riuscirà nel suo intento e probabilmente non diventerà un’anziana signora che dà in pasto pornostar agli alligatori, ma sarà consacrata come la star Maxine Motherfuckin’ Minx.
Postmodernismo, Hollywood e Giallo in Maxxxine
Maxxxine ci offre anche altre ottiche, come quella postmoderna: ripercorriamo una fetta della storia del cinema horror statunitense grazie a dei referenti iconici (ad esempio Psycho, Non aprite quella porta, Shining) coinvolti nella ricostruzione di diverse scene del film. In secondo luogo, possiamo guardare al percorso verso l’horror americano (e verso il grande cinema in generale) attraverso un altro cliché sociologico con cui è cresciuta più di una generazione: la narrazione del viaggio al successo, dell’American Dream. Ci sono un bel po’ di film contemporanei che raccontano il percorso spinoso da “nullità a superstar”, come Pleasure (2021) o Neon Demon (2016). Tuttavia, solo alcuni di loro rimangono freddi e aperti nel dichiarare la crudele, ingiusta e sanguinaria realtà dietro a questa scalata. Dopotutto, è chiaro da tempo che lo smascheramento di questo mito è già diventato, in un certo senso, un mito in sé. Ti West è riuscito a decostruire e a ricreare sia l’immagine della protagonista che l’immagine del tritacarne Hollywood in modo tale che il pubblico dovrà decidere da solo in cosa consiste questo mondo misterioso, affascinante e spaventoso del Grande Cinema, e rispondere a domande come “Hollywood: inferno o paradiso in terra?”, oppure “Il gioco vale la candela?”. “Hollywood è uno di quei posti in cui le persone hanno la sensazione di poterci andare e farsi scoprire in qualsiasi momento e cambiare la propria vita”, dice West; “Questo è falso per il 99,9% di loro, ma per lo 0,1% delle persone è successo, quindi mantiene vivo il sogno.”
MaXXXine però non è solo un film femminista che racconta l’ambiguità di Hollywood attraverso incursioni nel cinema horror americano, è anche fortemente debitore del giallo italiano degli anni ‘70: l’omaggio è così evidente che l’assassino del film indossa persino guanti di pelle nera e un trench come è tipico dei villain del giallo. Mentre Maxine cerca di ostacolare il suo stalker quando ottiene il ruolo in The Puritan II, rinuncia però a una qualità distintiva del giallo: il suo sfruttamento sessuale e le brutali rappresentazioni di violenza a spese delle donne. Molte delle macabre rappresentazioni di violenza e morte in Maxxxine sono esercitate dalla stessa aspirante starlet in atti di autodifesa. Invece di mostrare numerose donne terrorizzate e scarsamente vestite che incontrano la loro fine per mano di uomini avidi e vendicativi o caricature di donne mentalmente instabili ricalcando L’uccello dalle piume di cristallo o Lo squartatore di New York, qui sono gli uomini che fanno del male a Maxine a finire per essere dall’altra parte. Il film lo chiarisce sin dall’inizio: tornando a casa dal lavoro, Maxine si trova in un vicolo con un uomo intenzionato a farle del male. Lo sorprende tirando fuori una pistola, che ha tenuto dopo gli eventi di X. Immediatamente, ella detiene il potere e fa contorcere sia il suo aggressore che il pubblico chiedendogli di succhiare la canna della sua pistola. Anche quando sembra soddisfatta, non ha ancora finito con lui e gli calpesta i testicoli con i tacchi a spillo mentre se ne va.
Sì, ci sono molti casi nella storia del giallo, incluso quello di Profondo Rosso, in cui l’assassina è una donna, ma la rivelazione è spesso radicata nella misoginia: quando una donna non aderisce a determinati standard, ecco che viene etichettata come “pazza”. MaXXXine applica invece la lente femminista e la rabbia femminile, poiché di volta in volta la stella nascente del grande schermo fa di tutto per proteggersi in modo che nessuno abbia l’opportunità di interferire con il suo percorso e a questo ha contribuito il marchio di Mia Goth. Nel finale, mentre Maxine si scontra con il colpevole e la polizia cerca di interferire dicendole che i rinforzi sono in arrivo, lei dichiara: “Anch’io”. Il classico giallo invece avrebbe visto il personaggio urlare di paura, ridotto in poltiglia. Ancora una volta, la final girl di X rifiuta il ruolo di vittima e prende il posto che le spetta: A star is born.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!