Quella di Matrix è sempre stata una storia d’amore. Lo era nel 1999, quando uscì il primo film della saga diretta da Lana e Lilly Wachoswki. Lo era con i suoi sequel Matrix Reloaded e Matrix Revolutions, distribuiti entrambi nel corso del 2003 trasportando direttamente gli spettatori dal cuore della realtà digitale a quella umana di Zion. Ma l’amore è il veicolo su cui ha da sempre viaggiato la poetica delle due autrici, le quali sono andate intrecciando le loro opere perseverando nella proclamazione di un sentimento che travalicava ogni cosa e creando un collegamento metatestuale tra il cult di fine anni Novanta e il resto della loro filmografia. Un incastrarsi di personaggi e racconti che, proprio come in Cloud Atlas, si ripetevano negli anni per portare a compimento la visione universale delle sorelle: un sentimento capace di superare qualsiasi tempo e qualsiasi spazio, regolando i destini di ogni singolo essere vivente.
Un fulcro che Lana Wachowski, unica alle redini del quarto capitolo, ha sigillato con la dedica di Matrix Resurrections ai propri genitori, che le hanno insegnato come l’amore sia ciò da cui si genera tutto il resto e, così, anche la sua nuova pellicola. Un film, questo inusuale Matrix, che non poteva che ergersi a manifesto di una teoria che nel corso degli anni era andata tratteggiandosi tra testi accademici e dichiarazioni stesse delle registe che volevano nella rivoluzione di Neo un messaggio di trasformazione legato a una visione transgender dell’opera. Un’occasione per poter rendere le dichiarazioni di Lilly Wachowski nel documentario Disclosure un fatto concreto. Oltre a spingersi lì nel cuore di una tematica di cui insieme alla sorella è stata protagonista in prima persona e che negli ultimi vent’anni può finalmente essere espressa con la libertà negata alle registe sul finire del secolo scorso.
Interconnessione e binarismo tra Neo e Trinity
Se, in fondo, con il primo Matrix era già possibile cogliere la poetica transgender, quest’ultima è diventata evidente dopo la sua esplicazione nel saggio Femmine della critica e scrittrice Andrea Long Chu, che compie così un ulteriore passo proprio con Matrix Resurrections grazie alla capacità intrinseca del film di non aver bisogno di spiegarsi oltre. La filosofia su cui si tiene l’intero cosmo della quarta operazione, che parte come una ricostruzione metacinematografica su cosa è stato e come si evoluto Matrix dal momento della sua uscita ai successivi anni di successo, finisce per confluire nella dichiarazione filmica della strada intrapresa dalle sue sorelle fin dal principio. L’incontro tra due monadi, due identità, due generi, due persone che giungono al punto di fondersi insieme diventando un’unica, sola cosa.
Nello scambio continuo tra Neo e Trinity nel corso della serie di film, nell’interconnessione potente e destinata a compiersi tra i personaggi di Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss, Matrix Resurrections trova la svolta decisiva per la comprensione di una saga ventennale. Quella che meglio si inserisce nelle politiche sociali contemporanee, che finalmente permettono la stabilizzazione di un maschile e di un femminile posti ora sul medesimo piano. Neo non può essere protagonista se non possiamo attribuire a Trinity lo stesso ruolo, e Trinity non può che essere la chiave di risoluzione di un Matrix Resurrections in cui Neo si ritroverebbe altrimenti allo sbaraglio senza la sua perfetta, necessaria metà.
Un solo corpo, una sola mente
Nella ripartizione dell’importanza dei due protagonisti e in un riequilibrio che trova la propria solidità proprio nell’esistenza l’uno per l’altra e viceversa, l’opera di Lana Wachowski si immette con prepotenza nel circolo di osservazioni sul cambiamento della società e su come oramai la donna, allo stesso livello dell’uomo, possa ricoprire il ruolo di salvatore. Come solamente nella collaborazione, che diventa per le sorelle-autrici amore e rispetto, possa riscoprirsi la resurrezione. Neo e Trinity sono quei due codici binari che, proprio in virtù della loro natura così definita e complementare, si incontrano fino a sciogliersi assieme per formare una sola possibile realtà.
È una doppia visione, dunque, quella che Matrix Resurrections offre: l’imperativo categorico di un cinema, di un’arte, che vuole essere specchio della realtà pur passando dalla finzione per mostrare come la rappresentazione del femminile al cinema possa cambiare e modificare anche il reale. E, insieme, la ripresa di un amore come quello tra i due personaggi il cui fato è di diventare un unico corpo, una sola mente, un cuore che batte dimenticandosi così di qualsiasi binarismo e facendosi espressione non-binaria dell’eroe del domani – e, di conseguenza, della società che lo accoglie.
La stella polare di Matrix Resurrections
Riempiendo di significato quelle prime spie accese sulla teoria transgender del film del 1999, dall’acquisizione di Neo che abbandona il suo nome Thomas Anderson al primo incontro tra Trinity e il personaggio di Keanu Reeves (“Non pensavo fossi una donna” confessa Neo “Sì, non sei l’unico” risponde il personaggio di Moss), Matrix ha raggiunto lo stadio massimo della sua mutazione ed è così, con l’ambivalenza di due persone che sono sia distinte che una sola, che può finalmente presentarsi al mondo. Un oggi di cui Matrix Resurrections può essere sia proiezione del presente che stella polare per ciò che andremo a delineare da qui in avanti. Volare verso un nuovo Matrix, che per il cinema e il mondo è anche un nuovo domani e un nuovo inizio.