Guardare. La storia del cinema si potrebbe riassumere in questa sola azione.
Quando guardiamo un film non stiamo solo osservando delle immagini, ma un linguaggio visivo. La scelta delle inquadrature, il montaggio che le unisce e dona il ritmo al racconto, il colore utilizzato e la maniera in cui la luce si pone su oggetti e personaggi sono tutti elementi che costituiscono una vera e propria comunicazione con lo spettatore. Un dialogo che avviene attraverso lo sguardo.
Il film The Batman di Matt Reeves è uno dei blockbuster che meglio si basa sulla forza comunicativa delle immagini. Come il protagonista che a un certo punto della storia deve lanciarsi con fiducia dal tetto di un palazzo, vincendo le proprie vertigini, anche il regista compie lo stesso salto nel vuoto affidandosi allo spettatore.
The Batman è un blockbuster atipico perché, più che sulle parole, quasi spogliate di significato se non da un punto di vista espositivo, punta alle immagini e alla pura grammatica del cinema. E richiede un piccolo sforzo in più da parte dello spettatore, che – almeno per quanto riguarda i film evento da grandi incassi – sembra essersi disabituato al significato delle immagini. Il rischio è vedere tutte quelle scelte artistiche perdute come lacrime nella pioggia, tacciate violentemente e superficialmente di essere incomprensibili o poco funzionali. Nonostante il grande successo di pubblico, The Batman sta ricevendo alcune critiche riguardo la recitazione di Robert Pattinson, il clima cupo e oscuro del film, la fotografia che lascia poco spazio alla luce e un ritmo dilatato per una storia che, si dice, poteva essere snellita.
Meglio, quindi, analizzare la regia di Matt Reeves e vedere come lo stile del film sia portatore della narrazione della storia.
Questione di sguardo
Non possiamo che iniziare dalla sequenza iniziale del film, che caratterizza subito il tono adulto e diverso di questo Batman targato Matt Reeves. Quasi fosse una dimostrazione d’intenti, The Batman si apre con un’inquadratura soggettiva, uno sguardo dell’Enigmista in prima persona, che osserva la casa del sindaco di Gotham City attraverso le lenti di un binocolo. In sottofondo sentiamo l’Ave Maria di Schubert, pezzo di musica classica che porrà le basi del tema musicale del villain del film interpretato da Paul Dano.
In pochi secondi lo spettatore è subito inserito all’interno del tono dell’opera, il cui sentimento primordiale è un leggero spaesamento. Come fosse il primo enigma del film, in cui il pubblico deve capire cosa sta osservando e di quale sguardo si è appropriato. Un inizio sicuramente diverso rispetto all’oggettività dello sguardo della maggior parte dei film, specie di supereroi. Non sarà l’unica volta in cui Reeves sottolineerà l’importanza dello sguardo (le lenti ottiche che Batman indossa e fa indossare a Selina o le continue inquadrature sugli specchietti retrovisori dei veicoli sono un altro esempio).
La scelta della soggettiva è anche una dimostrazione dei modelli cinematografici a cui The Batman fa riferimento: i polizieschi e i noir autoriali degli anni Settanta del cinema hollywoodiano, la cosiddetta New Hollywood. I modelli principali a cui Reeves ha fatto riferimento per tutto il film, a detta dello stesso regista, sono Il braccio violento della legge e Bullitt, ma in questo caso troviamo più calzanti due titoli fondamentali di quegli anni: La Conversazione, di Francis Ford Coppola, e I tre giorni del condor, di Sydney Pollack. Due film che mettevano in scena la paranoia e l’insicurezza della società americana tra spie, microfoni nascosti e segreti, raccontandola attraverso proprio lo stile di regia, con continui e cambi di sguardo tra oggettive (un’inquadratura esterna alla narrazione) e soggettive (un’inquadratura che appartiene a un elemento del racconto). È il modo migliore non solo per confondere lo spettatore, che si ritroverà partecipe di un enigma sempre più grande a cui deve trovare soluzione, ma rappresentare l’alienazione del protagonista. Batman è un ragazzo ancora inesperto, rabbioso e chiuso in sé stesso. Lo stesso Enigmista è alienato nei confronti della società e, proprio per questo motivo, dà il via alla sua catena vendicativa.
Non solo una scelta che incide sul contenuto tematico del film. Questo stile così personale e autoriale si rivela come una mosca bianca nel panorama dei blockbuster contemporanei, sempre più legati a una formula basilare voluta dagli studios, soprattutto nella messa in scena. Richiamando quei film di rottura degli anni Settanta, The Batman compie una rottura a sua volta, contro la produzione industriale e (a voler essere cinici) senz’anima di questa tipologia di film. Matt Reeves, invece, ha fede in un cinema per il grande pubblico, ma che non rinuncia alle sue caratteristiche più sacre e preziose, quelle della pura forza del linguaggio cinematografico. Una restaurazione che profuma di rinnovamento. La stessa che sembra voluta dall’Enigmista. Un’Ave Maria tra sacro e profano.
Vedere e non vedere: le verità sfocate
I più maliziosi diranno che quella che andremo ad analizzare ora, a dispetto del clima oscuro del film, è una scelta furba per rispettare la classificazione PG-13 del film (cioè ai minori di 13 anni è consigliato l’accompagnamento di un adulto), obiettivo che tutti i blockbuster cercano di raggiungere per poter massimizzare il successo al botteghino (se un film è vietato ai minori meno persone andranno a vederlo). Quello che, invece, va sottolineato, è che spesso i limiti imposti dagli studios possono trasformarsi in un tesoro.
The Batman parla di una città che vive in un sistema marcio e corrotto, dove la verità è ben nascosta sotto il tappeto. Tutto l’operato dell’Enigmista è volto a rivelare ai cittadini di Gotham City ciò che viene loro nascosto. “Basta bugie” è una delle frasi più memorabili del film, scritta sul nastro adesivo che circonda il volto della prima vittima. Si tratta del motore che dà avvio alla storia stessa, il cuore che non solo mette Batman e Gordon alla ricerca del misterioso killer, ma che descrive l’essenza stessa dell’ambiente in cui la storia si svolge. Corruzione, segreti, burattinai dietro le quinte, maschere e talpe: tutto è all’ordine del giorno a Gotham City, addirittura molti lo sanno ma fanno finta di non vedere.
Per questo motivo Reeves utilizza spesso e volentieri la tecnica dello sfocato. L’inquadratura nasconde gli eventi e le azioni, ne sfuma i contorni, rende indecifrabile, come un codice in un biglietto, la verità. Una scelta stilistica che si ripercuote anche sulla scelta da parte di Reeves e il direttore della fotografia Greig Fraiser di dare vita a un’atipica versione del film. Girato in digitale, il film è stato poi convertito in pellicola, saltando il passaggio del bleaching (così da rendere la colorimetria più desaturata) e dando vita a un interpositivo, replicando il look dei film della New Hollywood citati sopra. Il risultato è una generale mancanza di microdettaglio, che nell’epoca del digitale in 4K appare come un calo di risoluzione, e una fotografia generalmente più oscura. Aggiungendo, di conseguenza, lo stile di regia composto da sfocature, personaggi che appartengono all’ombra (sia Batman che l’Enigmista si nascondono nel buio) o che non riescono a mostrarsi integralmente (è il caso del Joker a fine film), anche lo spettatore deve cercare di sforzarsi nel trovare una visione d’insieme. La verità è lì, di fronte a noi, ma complessa da interpretare. Anche questo è racconto.
Luce che sale negli occhi
Il percorso di Batman, dal buio alla luce (tanto da diventare lui stesso una fonte luminosa nell’iconica scena del razzo segnalatore rosso), deciso a mettere sotto i riflettori (o sotto i lampioni) la verità, è lo stesso del film. Il buio che caratterizza il film è duplice: appartiene al caso investigativo e all’interiorità del protagonista. Il punto di vista del film è anche quello di Batman, figura che appartiene alla notte, all’oscurità (anche legata alla propria identità) e che si trova a disagio con le ore del giorno. Da una parte questo disagio si mostra nella quasi assenza totale del personaggio di Bruce Wayne, la controparte umana di Batman, quella pubblica (anzi, spesso nel film Bruce Wayne diventa l’ennesima maschera che indossa per procedere con le indagini). Inoltre, in una breve scena ambientata di giorno, vediamo Bruce che non riesce a sopportare la luce del sole e indossa degli occhiali.
Sentimento che anche lo spettatore potrebbe condividere. Per tutta la durata del film, tranne nell’atto finale, in cui i personaggi e la storia stessa si aprono a livello emotivo, e quindi anche visivo, ogni volta che compare la luce, questa acceca gli occhi dello spettatore. È una luce fastidiosa, che invita a chiudere gli occhi, quasi fosse un avvertimento nel rimanere lontani dalla verità che stiamo raggiungendo. Con la durata monstre di tre ore, il film compie un ennesimo obiettivo: abitua lo spettatore al buio. Il risultato finale è un senso di liberazione appagante quando finalmente il quadro visivo inizia a colorarsi con tonalità arancio, gialle e rosse. Colori caldi per sottolineare un calore che inizia a sprigionarsi dai personaggi stessi, stanchi anche loro di appartenere a quel buio.
La regia come parte essenziale della narrazione. Impossibile, una volta notata, pensare a un film diverso. Perché The Batman è una versione unica, personale e autoriale di un personaggio pop. Una nuova visione che stimola lo sguardo, ammalia e rompe le formule prestabilite. Non è un caso che il primo vero colpo furioso di luce è anche il più memorabile, il più rivoluzionario, il più singolare. Una soggettiva del Pinguino a terra, a testa in giù; il buio della notte rotto da enormi fiamme di fuoco; Batman che, capovolto come un vero pipistrello, si staglia in controluce. Un’immagine che descrive tutto il film. Così nascono i simboli.