Vivere è cercare di non morire. Non c’è felicità che non passi dal dolore, non c’è gloria senza sofferenza. Sono queste le lezioni di vita (e di morte) impartite dal sommo Hidetaka Miyazaki, presidente di From Software e padre spirituale (nel vero senso della parola) dei soulslike. Quella serie di videogame in cui giocare è una cosa serissima, dove si muore di continuo e il game over è all’ordine del minuto. Nessuna carezza sui volti dei videogiocatori. Niente rassicuranti pacche spalle. Solo brutalità, mondi decadenti in cui aggirarsi come anime in pena e puzza di cadaveri sempre nelle narici. Ce lo hanno insegnato la serie Demon’s Souls, Bloodborne e Sekiro, quella sfilza di titoli di cui avvertiamo ancora le lame affilate e ovviamente il sapore del sangue ingoiato.
La ferocia dei Souls è tornata a riecheggiare nelle terre del fantasy con Elden Ring, senza mezze misure il videogioco più atteso del 2022 e uno dei titoli più ambiziosi di sempre, intenzionato a sconvolgere un territorio vasto e popolato come gli action RPG open world. Dalle recensioni sembra che Miyazaki abbia incantato tutti, confermando il fascino perverso delle sue terre respingenti eppure così affascinanti. Di Elden Ring si è detto di tutto e il contrario di tutto anni prima della sua pubblicazione. Per alcuni era un titolo fantasma, un falso mito, pura leggenda ancor prima di esistere davvero. E invece i Senzaluce, eroi banditi dall’Interregno, sono davvero tra noi. Cerchiamo di capire chi sono e come sono nati, raccontandovi la storia di Elden Ring.
L’altro Miyazaki
La storia di ogni anello parte sempre da quella di chi lo ha forgiato. E la storia di Elden Ring non potrebbe iniziare senza raccontare chi sia e da dove venga Hidetaka Miyazaki. L’uomo dal cognome pesante, che nell’arco di un decennio è stato capace di diventare quasi la copia-carbone del sommo Hayao. Se il vecchio sensei ha fatto germogliare la fantasia più colorata nel suo cinema pieno di utopie, il nostro Hidetaka ha fatto quasi l’opposto: ha preso i videogame, li ha svuotati di vita e li ha riempiti di morte e desolazione. I soulslike ci sconvolgono non solo per la loro difficoltà, non tanto per la facilità e la costanza con cui la scritta “You die” appare sullo schermo, ma anche per un altro motivo: la storia non ci viene raccontata. Siamo noi che dobbiamo mettere insieme i pezzi e unire i puntini. Come? Rovistando tra le rovine, studiando ogni artefatto scovato in ogni anfratto, leggendo pergamene, tomi e documenti scovati in giro. La spiegazione è semplice. Per dare un senso a tutto questo dobbiamo tornare nel Giappone dei primi anni Ottanta. Quello in cui il piccolo Hidetaka è cresciuto nutrendosi di storie. Sì, perché lo stomaco poteva essere riempito da poco altro, visto che la sua famiglia era “tremendamente povera” (parole sue). Così il giovane Miyazaki cercava distrazioni nell’unico posto dove un bambino curioso e affamato come lui poteva trovare pane per i suoi denti: le biblioteche pubbliche.
È qui che il nostro ha iniziato a cibarsi di manga e romanzi, mordendo i racconti di Lovecraft (che torneranno a infestarci nel suo Bloodborne) e Le avventure di Tom Sawyer. Solo che c’è un problema: a volte i libri non sono tradotti, ma lui si sforza di capirli lo stesso, e colma le lacune della trama con la sua immaginazione. Unire i puntini per sfuggire all’abisso dell’ignoranza. Come faremo noi dentro i suoi videogiochi così criptici. Le letture aumentano, il dark fantasy inizia ad ammaliarlo grazie agli spadoni e agli eroi tormentati di Berserk. La fantasia continua a galoppare grazie a Dungeons & Dragons. Ancora una volta il fantasy a infiammare l’animo del ragazzo.
Inizia da qui l’incredibile carriera di un uomo che stava prendendo la strada delle scienze sociali, prima di avere una folgorazione decisiva. Succede quando Miyazaki si trova davanti a ICO, videogioco per PlayStation 2, che lo conquista al primo sguardo. È la storia di un ragazzino esiliato in un enorme castello isolato per essere nato con delle corna sulla testa. Un segno di sventura che porta gli abitanti del suo villaggio a ripudiarlo. L’immaginario spoglio e sinistro di ICO segna Hidetaka, che in quel momento capisce che tutto quel fantasy e il fascino delle cose che non sappiamo devono diventare il suo mestiere. Ci riuscirà, mettendoci anima e corpo.
In compagnia dell’Anello
La frustrazione come fedele compagna di viaggio, l’impotenza davanti al mostruoso, la sensazione perenne di sentirsi briciole di mondi impregnati di angoscia e svuotati di speranza. Ecco le uniche indicazioni familiari per muoversi nei souls immaginati da Miyazaki, da molti definito un architetto sadico. Dalla sorpresa di Demon’s Souls alla consacrazione di Bloodborne, passando per l’amata saga di Dark Souls, il nostro ha creato un immaginario tutto suo. Come un abile alchimista, Miyazaki ha dato vita a una strana miscela in cui riferimenti occidentali e cultura orientale convivono alla perfezione. Da una parte gli eroi fantasy solitari tipici della tradizione europea, dall’altra creature ancestrali e mostruose di chiaro stampo nipponico. Ecco, i mondi dei soulslike sono sempre incastrati tra più culture. E non è un caso che Elden Ring sia ambientato in una terra chiamata Interregno. Nome evocativo per rievocare un posto a metà strada tra chissà cosa. Probabile che non lo sapremo mai. Perché per quel visionario Miyazaki il viaggio conta sempre più della destinazione.
Ma quando e come nasce il più ambizioso videogioco targato FromSoftware? Il suo sviluppo parte 5 anni fa, nel 2017, quando la software house aveva appena concluso i lavori sul DLC di Dark Souls III, chiamato The Ringed City. I lavori partono sottotraccia, senza annunci o grandi reclami. Anche perché in parallelo From Software è impegnato anche su un titolo proibitivo come Sekiro. Passano due anni di nulla cosmico, poi nell’estate del 2019 ecco il primo trailer. Un video a dir poco criptico, evocativo e a tratti disturbante: corpi fatti a brandelli, possenti armi, fabbri, un anello ancestrale nel titolo e poi un nome altisonante nei credits: George R. R. Martin. Proprio lui. Il papà di Game of Thrones. Che ci fa il creatore del Trono di Spade nelle lande desolate di Miyazaki? È tutto merito di un’intuizione del nostro, che questa volta vuole muovere la storia dentro un tessuto narrativo più strutturato e coeso. E così, da grande fan di Martin, Hidetaka ha chiesto al suo idolo di ideare tutta la mitologia di Elden Ring. La sceneggiatura e i personaggi rimangono territorio di Miyazaki ma la lore del gioco è tutta farina del sacco di Martin.
Leggende, miti, eventi passati. Tutto è stato architettato dal padre della madre dei draghi. Insomma, è come se Martin avesse scritto il Silmarillion di Elden Ring e a Miyazaki toccasse il compito di muovere la Compagnia dell’Anello. Non scomodiamo Tolkien a caso, perché Miyazaki ha sempre dichiarato che Martin si è ispirato tantissimo al Signore degli Anelli, ma con una grande differenza: l’anello di Elden Ring non sarà solo un oggetto fisico come nella saga di Frodo, ma avrà un significato più etereo e astratto. Tra le influenze c’è anche Il Campione Eterno di Michael Moorcock, saga letteraria che racconta di un’eterna battaglia tra signori della legge e signori del Caos. Ma se ne Il Signore degli Anelli l’obiettivo principale è quello di distruggere l’Unico Anello, in Elden Ring si parte proprio da un anello distrutto da ritrovare, un evento che sembra svuotare il mondo di pace e grazia.
Se negli altri soulslike l’oscurità sembrava invincibile, questa volte le cose sembrano diverse. In questo gioco la luce c’è. Va solo cercata e riscoperta. Insomma, questa volta la fiamma della speranza da qualche parte esiste ancora. Qui che entra in scena il nostro protagonista, personalizzabile nell’aspetto e nella classe (guerriero, mago, bandito) appartenente ai Senzaluce, stirpe di eroi banditi dall’interregno. Il nostro protagonista, chiamato a ritrovare la via della grazia in un mondo minaccioso, dovrà affrontare una marea di eroi caduti, antiche divinità corrotte e imbastardite dall’assenza di luce. Questa però è solo un canovaccio. Una bozza di una storia che non può essere certo riassunta e raccontata in un articolo, ma vissuta e basta.
Perché anche in Elden Ring quel visionario pazzo di Miyazaki ha riversato il suo amore per la Narrazione ambientale, quella che premia il giocatore più ostinato e capace di addentrarsi in un oscuro dungeon pur di saperne di più. Ecco, forse Elden Ring vuole dirci che non esiste luce più luminosa della conoscenza e fuoco più caldo del Sapere. Cose che si accendono solo con la curiosità e il coraggio di non bastare a noi stessi e riconoscerci come briciole di un mondo troppo più grande di noi. Lo scopriremo presto cavalcando e morendo nell’Interregno.
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