In Wim Wenders la potenza evocativa che solo le immagini e la messa in scena potevano dare, è da sempre uno dei suoi grandi tratti distintivi, e sicuramente in Paris, Texas questo tocco sensibile è trattato con raffinatezza sopraffina. La grazia attraverso la quale gli elementi si posizionano all’interno della macchina da presa di Wenders e la cura estetica delle immagine danno l’idea di un’America fortemente legata ad un tempo e ad un luogo con insegne al neon dei motel e dei diner esaltate e saturate da abbaglianti studi sulla luce del direttore della fotografia Robby Müller, e la grande indulgenza nell’inquadrare i luoghi più oscuri e trasandanti della Los Angeles dei primi anni 80′.
Al festival di Cannes, Paris, Texas vinse la Palma d’oro consacrando il successo di un regista affermato in campo nazionale, a seguito di titoli come: Alice nelle città, Falso movimento, Nel corso del tempo, tre lungometraggi che costituiscono la “Trilogia della strada”, le cui tematiche erano un forte realismo visivo ed intellettuale e ambientazioni fosche e sconfortanti; ma anche internazionali, con l’ambizione statunitense iniziata nel 1977.
Il primo fu «L’amico americano» poi, «Lo stato delle cose» (Leone d’Oro, 1982) e il discusso «Hammett – Indagine a Chinatown. Un periodo eccezionale, dunque, per un regista tedesco in grande fermento creativo e volenteroso di affermarsi a livello internazionale, soprattutto all’interno dell’industria hollywoodiana. Oggi, quarant’anni dopo, Paris, Texas, non solo è considerato uno dei suoi film più apprezzati, ma è senz’altro il migliore tra quelli realizzati durante il periodo americano.
Il deserto e l’umana condizione
«Paris, Texas» si apre con l’immagine di Travis Henderson (Harry Dean Stanton), il quale è un vagabondo intonito e smarrito che vaga nell’arido deserto al confine tra Messico e Stati Uniti. A seguito di un mancamento, il medico che lo soccorre casualmente trova l’indirizzo del fratello Walt che, appreso l’accaduto, lo raggiunge per riportarlo a Los Angeles e riunirlo al figlio Hunter, dopo la scomparsa della madre Jane. Le ragioni del tormento di Travis sono legate alla fine della relazione con la moglie. L’uomo decide così di intraprende un viaggio alla sua ricerca, portando con sé il figlioletto.
Paris, Texas narra la storia di un viaggio che racconta di rapporti familiari, in cui il deserto del Texas con i suoi paesaggi dall’ampio respiro ma sempre solitari diviene parte integrante della storia stessa. Esso racchiude l’essenza del paesaggio americano che descrive perfettamente la fragilità dell’animo umano, avvinghiando una forma di racconto toccante e netta da parte di Wenders. Da europeo va alla ricerca del significato delle cose e delle relazioni, addizionando al viaggio per luoghi e strade in quelle terre di miti statunitensi, dallo sfondo austero e allucinato tuttavia evocativo, ad un percorso intimamente spirituale.
La grandezza sta nel saper fondere una semplicità emotiva imbevuta di immagini e suoni per mettere in luce la solitudine e l’alienazione dei personaggi; Il deserto diventa così luogo in cui i protagonisti si confrontano con problematiche che affliggono il cuore. Il film si assume il rischio della retorica al fine di esporsi attraverso tematiche quali la ricerca di identità, l’appartenenza ad un mondo alienante, la solitudine e la difficoltà di comunicare e connettersi con gli altri; esorcizzandole attraverso un percorso di espiazioni personali e familiari.
Tornare ad amare dopo la perdita
Il viaggio di esplorazione che Wenders applica tra lui e il pubblico non riguarda solo lo spazio bensì anche il tempo. Mediante una narrazione riflessiva e contemplativa, infatti, il film analizza minuziosamente i sentimenti dei personaggi e ne ricostruisce gradualmente le relazioni. È proprio questa pazienza che permette a “Paris, Texas” di rivelare tutte le sue numerose sfaccettature, e la complessità delle relazioni tra i personaggi.
Il film espone linearmente e, in alcuni punti, allegoricamente questioni esistenziali cardini, come: l’isolamento rappresentato dal viaggio di Travis, cioè quello di un uomo solo e in balia del suo passato doloroso attraverso il deserto che risveglia in lui quella forza vitale ormai sepolta. Una metafora raffigurata dalla deriva dell’animo smarrito alla comprensione del valore da attribuire alle cose, laddove il vuoto immenso dei territori americani materializzano le paure dell’abbandono dell’essere umano, dei muri invalicabili e del suo insaziabile desiderio di essere connesso a luoghi e persone.
Il tentativo di Travis di riappropriarsi dei suoi affetti più intimi descrive la voglia di redenzione attraverso l’espiazione delle proprie colpe: gelosia, come indifferenza e dipendenza, in un percorso esteriore ed interiore affinché la riconciliazione con il passato, sia anche una forma di perdono verso se stessi. L’autoanalisi del protagonista lo conduce ad un processo di responsabilità, scaturito a seguito di ferite ancora aperte, dolorose, ma necessarie per fronteggiare il proprio passato e accettare il peso delle conseguenze delle proprie scelte.
In tal senso, i meccanismi d’interazione familiare e sentimentale in Paris, Texas, sono due: se da una parte, il legame tra Travis e Hunter diventa esempio di connessione tra padre e figlio attraverso, ancora una volta, un viaggio di riscatto e guarigione, dall’altro il rapporto tra Travis e Jane affronta la difficoltà di continuare ad amare, e di perdonare nonostante la perdita. Il culmine di ciò, giunge con il confronto finale tra la coppia, separata da una barriera di vetro così sottile e labile mediante la quale si può solo vedere ma non toccare: l’esemplificazione di quanto le divergenze emotive seppur esili e sottili, se mosse da profondo dolore continuano a separare.
Il significato scompare nell’orizzonte…
Nastassja Kinski (Jane),all’epoca appena ventiduenne, esprime con giovanile insolenza una dolce e tenera drammaticità che Wenders abilmente lambisce posandole una flebile luce soffusa sul volto, grazie alla visione del suo storico direttore della fotografia Robby Müller. Quest’ultimo fu incaricato di dar vita ad atmosfere realiste seppur sempre enfatizzate da un aspetto quasi surreale, in bilico tra sogno e realtà, un prodotto finale ispirato dagli artisti: Edward Hopper, Norman Rockwell, Andrew Wyeth, Georgia O’Keeffe, i grandi esponenti della pittura americana del novecento.
Per quanto concerne le musiche di Paris, Texas, il compositore Ry Cooder evidenzia con lirismo che la protagonista indiscussa del tema musicale è la chitarra slide, , la quale funge da faro in un paesaggio abitato dai silenzi del deserto o dai suoni dell’ambiente circostante, scintilla alla fine di un orizzonte sconfinato che scava sull’intimità dei personaggi. Per citare Ennio Morricone: “Non c’è mai un grande film senza una grande musica che lo ispiri.”
Scritto a sei mani, in collaborazione con Sam Shepard e L.M. Kit Carson, il titolo richiama una delle poche e iniziali parole che Travis pronuncia durante la prima parte del film: «Paris, Texas», in un momento in cui il protagonista rivela al fratello di avere acquistato un piccolo pezzo di terra nella cittadina texana natale dove la madre gli aveva confessato di averlo concepito. Alla sua uscita, il critico Peter Bradshaw scrivendo sul film, disse: «una storia inquietante triste il cui significato scompare nell’orizzonte, come su un’autostrada che si dirige verso il deserto».
La grandezza della pellicola si misurava sulla bravura di Wenders e degli sceneggiatori nel costruire dei personaggi che per via della loro fragilità riuscissero ad immedesimare facilmente lo spettatore. Con Paris, Texas, l’attore Harry Dean Stanton grazie aduna prova intima e sentita dimostrò grande talento, giocando molto con gli sguardi e con il corpo seppur rimanendo muto per buona parte del film. Il critico Roger Ebert, sulla sua interpretazione così scrisse: «Dopo aver passato molto tempo negli angoli bui del noir americano, Stanton, con la sua faccia sottile e i suoi occhi affamati, in questo film crea una triste poesia».
Per quanto riguarda Wenders invece, Paris, Texas fu il film che gli fece vincere la prima e unica Palma d’oro, la nota definitiva sul periodo americano. Un film che mischia l’esistenzialismo europeo al mito americano, la cui bellezza visiva, lo stile distintivo assieme alla profondità delle tematiche emotive e la maestria di una narrazione suggestiva lo rendono un’opera universale e senza tempo, nonché una testimonianza di come il Cinema sia in grado di catturare la complessità della condizione umana.
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