La New Extremity, di cui Martyrs fa parte, è un fenomeno cinematografico contemporaneo, che ha fatto la sua comparsa tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, principalmente in Francia (noto qui come New French Extremity), per poi diffondersi nel resto del continente. La fine degli anni Novanta in Francia è stata caratterizzata da un senso di malcontento sociale e di alienazione. Il mutevole panorama socio-politico e le sfide poste dalla globalizzazione hanno portato a un clima culturale maturo per le espressioni artistiche che hanno affrontato le incertezze e le ansie del tempo. Il movimento trae ispirazione dalle correnti cinematografiche internazionali che esplorano temi trasgressivi e sfidano la narrazione convenzionale. I/le registi/e associati/e alla New French Extremity hanno subìto l’influenza delle opere di David Lynch, David Cronenberg, Michael Haneke e dall’orrore viscerale dei film gialli italiani. Queste influenze internazionali hanno contribuito alla volontà del movimento di esplorare gli aspetti più oscuri e inquietanti dell’esperienza umana.
New French Extremity: storia e caratteristiche
La New French Extremity presenta spesso, se non sempre, una violenza esplicita, a volte al limite del body horror – tutto è in campo. Il movimento approfondisce argomenti tabù, tra cui la sessualità, il sadomasochismo, violenza su animali e bambini/e e gli stati psicologici estremi. Esso sfida le tecniche di narrazione convenzionali, spesso optando per una drammaturgia non lineare e frammentata. Questo approccio costringe il pubblico a impegnarsi attivamente, e lo spinge a mettere in discussione le proprie percezioni e convinzioni. Tutto ciò è stato possibile anche grazie alla sperimentazione di varie tecniche, impiegando stili visivi non convenzionali, disorientanti, concentrandosi sugli stati mentali dei personaggi.
La New French Extremity spesso abbraccia un senso di nichilismo e disperazione, presentando una visione del mondo desolante in cui i personaggi sono alle prese con la futilità delle loro azioni e l’oscurità intrinseca della natura umana. Si può dire quindi con certezza che il nuovo millennio ha inaugurato un’era cinematografica davvero selvaggia. Prendiamo Baise-Moi (2000), un film che fa arrossire l’era grindhouse degli anni ’70. Baise-Moi segue due donne in cerca di vendetta contro gli uomini, in una versione ancora più femminista di Thelma e Louise. È semplice, diretto e visivamente immediato, esattamente ciò che si cerca in un rape and revenge scritto e diretto da donne. Abbiamo anche Claire Denis e Catherine Breillat tra le antesignane del movimento, rinomate per il loro approccio esplicito e conflittuale alla sessualità e alle relazioni. Film come Romance (1999), Trouble Every Day (2001) e Anatomy of Hell (2004) esplorano argomenti tabù concentrandosi sugli aspetti psicologici ed emotivi di comportamenti ritenuti trasgressivi.
La strada verso Martyrs
I film della New French Extremity sono spesso circondati da controversie a causa del loro contenuto e dei temi provocatori. Una certa critica elogia il movimento per la sua audacia e volontà di oltrepassare i confini del cinema, altra lo condanna per la violenza gratuita e l’estremo nichilismo. La controversia che circonda questi film ha acceso dibattiti sul ruolo dei contenuti estremi nel cinema e sui confini dell’espressione artistica. L’eredità della New French Extremity può essere vista nel suo impatto duraturo sul cinema internazionale. Anche se il movimento stesso potrebbe aver raggiunto il suo apice nei primi anni 2000, la sua influenza continua a risuonare nel cinema horror contemporaneo, ma adesso soffermiamoci su uno dei film più importanti del movimento che proprio oggi compie 15 anni: Martyrs.
L’incubo di Pascal Laugier del 2008, inizia con una ragazza picchiata che corre fuori da un edificio industriale e grida aiuto. È un’apertura gelida e appropriata perché nulla potrebbe preparare il pubblico a ciò che accadrà nei prossimi 90 minuti in modo più viscerale della reazione universale alla paura e alla disperazione. Questa sequenza breve ma efficace è un perfetto proseguimento del cuore della storia del film e dei suoi temi principali: dolore, sofferenza e trauma. Ma dato che Martyrs non è affatto un horror tradizionale, il suo incipit in realtà segna la fine di qualcosa piuttosto che essere un punto di partenza. Il primo atto della sceneggiatura di Laugier racconta intenzionalmente una storia al contrario, accuratamente progettata per confonderci e scioccarci fin dall’inizio, prima che possa svuotare e distruggere le nostre anime.
Possiamo parlare di torture porn?
Eppure Martyrs non è uno splatter a buon mercato che mira a creare shock sensazionalistico: Laugier ha addirittura negato che esso sia paragonabile agli altri film francesi della New Extremity, altrettanto violenti, come Inside (À l’intérieur) e Haute Tension. È facile capire, tuttavia, perché così tanti/e lo definiscono l’apice di questo sottogenere spietato che prospera su una brutalità elaborata e un sadismo spesso collegati a impulsi sessuali. Dopo l’inquietante apertura, la trama si sposta su filmati d’archivio per presentarci Lucie (Mylène Jampanoï), la ragazza che abbiamo appena visto fuggire, che è stata rapita e torturata da una coppia per quasi un anno prima di essere messa in un orfanotrofio. Crescendo all’interno di questo luogo, profondamente traumatizzata e tormentata da quello che è successo, ha trovato un’amica in un’altra ragazza della sua età, Anna (Morjana Alaoui), che la tratta con gentilezza e comprensione. 15 anni dopo, ormai adulta e assetata di vendetta, Lucie si presenta nella casa che crede essere la casa dei suoi torturatori. È allora che la trama prende davvero il via e il film si abbatte sul pubblico con incrollabile crudeltà.
Lucie massacra l’intera famiglia di quattro persone (papà, mamma, figlia e figlio) con un fucile e senza esitazione. Il tempo potrebbe aver leggermente modificato l’aspetto fisico dei suoi rapitori, ma Lucie non ha alcun dubbio: si tratta di loro. Anna, però, che aspetta in macchina non lontano dal posto, non ne è poi così sicura. Quando Lucie la chiama dopo che l’omicidio è terminato, Anna le chiede se si è assicurata che fossero davvero loro. Devastata mentre trattiene le lacrime, Lucie borbotta: “Perché non mi credi?”. L’approccio di Laugier alla vendetta a sangue freddo di Lucie è intelligente e deliberato. Anche se le crediamo, l’incrollabile ferocia con cui uccide i genitori e le loro probabili figlie innocenti crea in noi una scomoda ambivalenza. Semplicemente, non sappiamo cosa le abbiano fatto esattamente per giustificare una ritorsione così spietata. Abbiamo la sensazione che abbiano meritato il loro destino, ma a causa della natura inversa della drammaturgia filmica, non possiamo sentire il livello di soddisfazione a cui solitamente mirano gli orrori della vendetta. Non è così d’altronde che funziona il sottogenere, ma la visione di Laugier è tanto cupamente profonda e trascendente da richiedere una narrazione non convenzionale per raggiungere il massimo effetto.
Una dolorosa storia d’amore
Lucie soffre di allucinazioni, ma non è folle. Le sue visioni inquietanti di una donna orribilmente brutalizzata e fatta a pezzi derivano dal senso di colpa e dal trauma della sopravvissuta. Attraverso un flashback, apprendiamo che quando è sfuggita ai suoi rapitori ha dovuto lasciare dietro di sé un’altra vittima, condannandola a morte certa. La donna, che lei vede ripetutamente come un mostro terrificante, è un sottoprodotto della sua coscienza sporca e del trauma travolgente che non riesce a elaborare, e qui entra anche un discorso molto doloroso sull’autolesionismo. È un peso emotivo sconvolgente che Lucie semplicemente non può più sopportare – e che probabilmente è responsabile della voce urlante nella sua testa, che la spinge a uccidere queste persone nella speranza di una sorta di redenzione. Ma, poiché la violenza genera solo violenza, e la New French Extremity insiste molto su questo, Lucie alla fine si rende conto che non può liberarsi del suo demone e sceglie l’unica opzione possibile per porre fine al suo insopportabile tormento: il suicidio. Attraverso l’unica sopravvissuta, Anna – che ha appena perso la persona che amava di più nella sua vita – Laugier ci fornisce il pezzo mancante della storia di Lucie che è servito da motivazione e giustificazione per le sue azioni. In altre parole: il peggio deve ancora arrivare. Anna dovrà pagare la sua incredulità con dolore e sofferenza inimmaginabili per comprendere finalmente ciò che Lucie ha passato e ha dovuto sopportare per un decennio e mezzo. Martyrs, d’altronde, è innanzitutto una storia d’amore.
Lucie è scappata dalla sua prigione, ma non può sfuggire ai fantasmi della memoria che è nata lì, nascosta negli angoli oscuri della sua mente e trova la pace definitiva solo nella morte. Da questo momento in poi, Martyrs diventa qualcosa di diverso. A quaranta minuti dalla fine del film, il pubblico non ha più la sua protagonista, l’ancora di salvezza è stata tagliata, ed è in questo momento che si apre un buco nella struttura narrativa. Anna ora è sola in casa, i corpi sono stati sepolti ma il sangue resta sui muri. Ella scopre una porta nel seminterrato che conduce più in basso, in una sorta di laboratorio ad alta tecnologia nel profondo della casa. Lungo le pareti ci sono immagini di donne torturate, sul letto di morte, con gli occhi rivolti al cielo. È qui che trova il suo fantasma: una donna incatenata al pavimento, un elmo di metallo inchiodato agli occhi e al cranio, ossuta, sfregiata e terrorizzata. L’oscurità che discende nel secondo e nel terzo atto di Martyrs è progettata per inghiottire per intero il suo pubblico. Una volta che Anna si dirige nel seminterrato, il male puro a cui assistiamo si trasforma da spaventoso e cruento a cupo e deprimente. Quando le persone dietro a un’organizzazione segreta arrivano per ripulire il pasticcio che Lucie e Anna hanno combinato, la loro leader, chiamato solo Mademoiselle (Catherine Begin), si siede con Anna per rivelare il loro scopo, che però in questa sede non riveleremo. Basti sapere che, con questa spaventosa confessione, Laugier dà un significato alla ferocia immorale del film e ad un complesso, anche se spregevole, incentivo al male.
Senza speranza
In un’intervista, Laugier ha affermato che mentre scriveva la sceneggiatura si è reso conto che la violenza e la brutalità erano il punto centrale del film. Quindi, non importa quanto disperatamente desideriamo che queste persone siano punite, distrutte e bruciate all’inferno per l’eternità, il loro obiettivo rimane puro. Indipendentemente dai vari metodi disumani di tortura che impiegano, le loro intenzioni non vengono mai corrotte dalla perversione sessuale o da altri tipi di devianza. Qualsiasi potenziale motivo sessuale viene eliminato nel corso del film per evitare di contaminare la rappresentazione del male. Dobbiamo sperimentare tutte le fasi della sofferenza insieme ad Anna per comprendere il grado di buio morale che queste persone possiedono e rappresentano. Il terzo e più estenuante atto è così pesante che diventa fisicamente difficile da sopportare.
Non è solo l’intensità della violenza che è quasi insostenibile, ma anche la distruzione mentale ed emotiva. Osserviamo Anna perdere la sua umanità poco a poco fino a quando lei come persona scompare completamente e ci aiuta a connetterci con una profondità relativa al dolore con la quale difficilmente facciamo esperienza al cinema. Insieme a molti altri film della New French Extremity, Martyrs costringe il pubblico a guardare la ferita aperta dai disordini sociali. Scava nelle profondità dell’oscurità che si nasconde sotto la superficie e indugia a lungo sulle immagini di donne sofferenti e incomprese. Tortura e brutalità sono in piena mostra, ma è con il tetro nichilismo dell’esistenza che il film termina. Siamo costretti/e a riconoscere la verità all’interno della discussione ricca di sfumature sulla religione e sugli atti terribili inflitti con il pretesto della ricerca della conoscenza, tutto nel tentativo di superare la nostra inevitabile fine e la nostra paura della morte. Martyrs è una brillante rappresentazione della manifestazione del trauma e di come una vita possa venir alterata per sempre dalla violenza.
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