Se tuo padre va in giro col monopattino una la cosa la sai: non potrà portarti troppo lontano. Non potrà tenerti al sicuro. E allora la giovane Bailey capisce presto che dovrà cavarsela da sola. Non più bambina e non ancora donna, la ragazzina si rimbocca le maniche e affronta la vita consapevole di non avere guide, esempi, appigli. È questa la difficile prospettiva in cui ci cala subito Andrea Arnold nel suo ultimo film. Nella recensione di Bird, in concorso al Festival di Cannes 2024, vi racconteremo come è stato questo bel viaggio nei tumulti di un’adolescenza vissuta ai margini, fatta di solitudine, botte e silenzi. Da sempre interessata all’intimità giovanile, Arnold conferma ancora una volta il suo tatto e ci fa entrare nella quotidianità di una giovane donna costretta a cambiare pelle per trasformarsi finalmente in sé stessa.
La vita come viene
Figlia di genitori separati, Bailey vive con suo padre in una casa abusiva del Kent. Il genitore la trascura, pensando soprattutto a spassarsela con droga, amici e la sua fidanzata che si appresta a sposare. Dall’altra parte c’è una mamma assente, con cui vivono le altre sorelle e gli altri fratelli di Bailey. La ragazza non riesce nemmeno a legare tanto con i suoi coetanei, rimanendo così incastrata in un purgatorio tutto suo. Un limbo che assomiglia tanto all’adolescenza che incombe. Proprio come incombe un nuovo amico nella sua vita.
È il misterioso Bird, uno strano individuo con cui finalmente Baliley scopre una bella sintonia. Fin dalle premesse è facile capire quanto Bird sia un gran piccolo film sulle piccole cose, fatto di giorni tutti uguali e di tanta normalità. Anrold riesce a farci entrare subito dentro un microcosmo familiare fatto di disagio e squallore grazie a una regia affezionata ai corpi dei personaggi. La camera a mano segue tremante i loro movimenti, cattura i loro respiri, spia le loro giornate. Uno stile quasi documentaristico perfetto per farci respirare l’odore di questo bel coming of age dove lo straordinario è sempre soffocato dall’ordinario.
Lucky Man
Per una ragazzina che sta crescendo, c’è un padre che non riesce a farlo. Eterno Peter Pan con il gusto per l’eccesso, il papà interpretato dal sempre carismatico (e istintivo) Barry Keoghan sarebbe il contraltare perfetto per Bailey. Un uomo impermeabile alle sue fortune, che sta buttando via un rapporto con sua figlia per inseguire chissà cosa. Peccato che il film non approfondisca tanto questo rapporto con un ottimo potenziale (lasciandolo decantare in sottofondo), preferendo soffermarsi sull’amicizia tra Bailey e l’amico misterioso.
Una relazione in cui Arnold, forse, eccede nel mostrare e sottolineare cose che si sarebbero capite comunque. Questo, però, toglie poco alla bellezza di Bird. Un film che, anche grazie a una selezione musicale perfetta (che scava nel pop-rock anni Novanta con grande gusto), conquista ed emoziona grazie a una scena madre (o forse dovremmo dire padre) che ci ha ricordato Mommy di Xavier Dolan (Wonderwall degli Oasis vale come indizio) e a un finale potente nella sua semplicità. Semplice come il visto della bravissima protagonista Nykiya Adams. Volto perfetto di un film che ti rimane dentro con un bel ricordo.
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La recensione in breve
Coming of age sincero e realistico, Bird ci fa entrare nella vita di una ragazzina ai margini della società pronta ad affrontare la sua adolescenza.
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Voto ScreenWorld