Il 30 aprile 2004 nelle sale statunitensi debuttava un film destinato a diventare una pietra miliare della cultura pop, tanto da essere citato da Barack Obama sul canale Twitter ufficiale della Casa Bianca. C’è un prima e un dopo Mean Girls nella cultura degli anni 2000, a partire dall’influenza sulla moda, sulla musica, sul linguaggio e soprattutto sul cinema stesso. Ma cosa resta della sua eredità vent’anni dopo?
Tra chick flick e teen comedy
Il lungometraggio diretto da Mark Waters appare in un panorama culturale fortemente influenzato dalle spinte postfemministe. A partire dalla fine degli anni Novanta negli Stati Uniti e nel Regno Unito nasce quella che prende il nome di chick culture, letteralmente “cultura delle ragazzine”, che si riferisce a tutta una nuova ondata di prodotti commerciali destinati a un pubblico esclusivamente femminile. Sono gli anni de Il diario di Bridget Jones (1996) di Helen Fielding e dell’adattamento cinematografico di Sharon Maguire, dove prende forma un nuovo tipo di donna ambiziosa e indipendente ma che sogna l’amore e il matrimonio e lotta con la sua immagine corporea.
La fine degli anni Novanta coincide allo stesso modo con un nuovo e specifico interesse per gli adolescenti come pubblico più specificamente audiovisivo. È infatti l’epoca delle teen comedy come la saga di American Pie (1999-2012), la quale con un umorismo demenziale rappresentava senza filtri alcune dinamiche sociali adolescenziali in modo decisamente inedito.
Queste due spinte furono fondamentali poi per la nascita di una lunghissima serie di lungometraggi ormai diventati cult destinati alle giovani ragazze moderne, le consumatrici culturali che facendosi forza delle conquiste femministe delle madri e delle nonne potevano ora non dover scegliere obbligatoriamente tra famiglia e carriera, riappropriandosi con orgoglio di tutto ciò che era tradizionalmente femminile e quindi svalutante. Esempio lampante di questa nuova femminilità è Elle Woods di Legally Blonde (2001), avvocata brillante che non rinuncia all’amore e al rosa e che è pronta a smentire chiunque confonda il suo amore per la moda per superficialità.
Mean Girls e la società americana
È in questo contesto dunque che Tina Fey decide di scrivere Mean Girls basandosi sulla guida della sociologa Rosalind Wiseman, “Queen Bees and Wannabes”. Il testo, best seller negli USA, aveva l’obiettivo di aiutare i genitori a comprendere le dinamiche sociali delle scuole superiori americane, specialmente per quanto riguardava i rapporti tra giovani donne.
È infatti fondamentale non dimenticare l’origine di Mean Girls, il quale nasce proprio dal progetto di Fey di giocare con quella chick culture attraverso uno script satirico che mostra tutta l’ipocrisia della società statunitense e i suoi limiti, esponendone la crisi e le contraddizioni. Il fulcro del film è dunque proprio l’amicizia e l’inamicizia tra giovani donne, le “ragazze perfide” del titolo, dimostrando come la cattiveria, l’invidia e l’insicurezza siano in realtà caratteristiche intrinseche di un’età difficile e di una società e una cultura tossiche per le ragazzine.
Non è solo Regina George, la queen bee per eccellenza, ad essere la cattiva della storia: la perfidia come un’epidemia si diffonde nelle menti delle giovani donne in una società competitiva e maschilista che ricorda un po’ le leggi animali, come d’altronde osserva la stessa protagonista Cady nel film.
Chi sono davvero le “mean girls”?
Considerato uno dei film più citabili di sempre, Mean Girls deve il suo successo alla scrittura dei dialoghi ormai iconici ma soprattutto alla scrittura dei personaggi. A ben vedere infatti, il lungometraggio passa in rassegna tre tipi diversi di “mean girl”, incarnati dalla queen bee Regina George, la “ragazza nuova” Cady Heron e l’outsider Janis Ian.
Regina è un’“ape regina” a tutti gli effetti, è ricca, bellissima, bionda, magra e alla moda e rappresenta lo stereotipo di bellezza femminile di quegli anni. Allo stesso tempo è una manipolatrice egoista e prepotente che trae la sua forza proprio dalla sua (apparente) grande autostima e dal supporto di figure come le minion Gretchen e Karen, che l’ammirano e le riconoscono tale potere. La queen bee crolla quando Cady e Janis indeboliscono la sicurezza di Regina, la quale progressivamente perde tutto ciò che la rendeva forte: un “bel fisico”, una bella pelle, delle amiche e un bel fidanzato, a dimostrazione che anche la sua popolarità fa parte di una determinata struttura sociale.
Cady dal canto suo è appena arrivata negli Stati Uniti dopo una vita passata in Africa, lontano dal consumismo sfrenato e dalla competizione economica e sociale, e non ha ancora introiettato le dinamiche sociali giovanili, faticando a inserirsi e cercando di trovare posto in un mondo pieno di regole assurde. In questa alterità si confronta anche con l’amore, ostacolato da Regina, e con le sue passioni che per tutti, anche per la stramba Janis, vengono considerate sconvenienti, un vero e proprio “suicidio sociale”. La sua cattiveria sta infatti nell’imitazione di determinati pattern comportamentali perversi in una disperata necessità di sentirsi parte di qualcosa, un sentimento umano e tipico dell’età giovanile.
Janis invece ha apparentemente accettato la sua “diversità” da art freak in coppia fissa con il migliore amico gay Damien, attivissimo nel comitato delle attività extrascolastiche. Pittrice per passione, Janis ha un forte rancore verso Regina che deriva dalla voce messa in giro da quest’ultima su una sua presunta omosessualità (effettivamente mai chiarita). Questo spinge Janis a inventare degli scherzi anche piuttosto perfidi nei confronti di Regina, vendicandosi con rabbia ai suoi atti di bullismo.
Ciò che Tina Fey sembra volerci dire è dunque che nel mondo delle ragazze nessuno si può sottrarre a regole e standard rigidissimi, in nome di uno status quo che è necessario mantenere a tutti costi. In quest’architettura bene e male sfumano e Regina, Cady e Janis sembrano essere tutte vittime della stessa società misogina e classista che le vuole in competizione costante e le costringe ad essere “mean girls” per sopravvivere. Bisognose di affetto e attenzioni, le tre cercano tutte la propria identità, in una riflessione postfemminista sull’ambizione e sulla competizione femminile.
Le interpretazioni di Rachel McAdams, Lindsay Lohan e Lizzy Caplan contribuiscono a cementare nell’immaginario tre personaggi complessi e iconici, rielaborando dei tropi narrativi tipici della teen comedy e informandoli di alcune caratteristiche destinate a influenzare tutto il cinema che è venuto successivamente. Sul grande schermo, da Regina George in poi, è effettivamente cambiata la rappresentazione dell’ape regina, da High School Musical a Do Revenge (2022), fino a Bottoms (2023) che arriva a stravolgere poi tutte le regole della teen comedy.
Cosa resta di Mean Girls oggi?
Il grande successo di Mean Girls ha prodotto un poco fortunato seguito nel 2011 e un musical teatrale debuttato nel 2018 creato da Nell Benjamin e Jeff Richmond. Quest’ultimo ha avuto un adattamento filmico uscito proprio quest’anno con protagoniste Angourie Rice nel ruolo di Cady e Reneé Rapp in quello di Regina. Il lungometraggio, il quale ha mantenuto il medesimo titolo del film originale, è stato accolto in maniera non del tutto positiva, sia per il poco carisma degli interpreti, a parte eccezioni come Rapp, sia per una revisione della sceneggiatura, firmata sempre da Fey, annacquata e ripulita a discapito però dell’incisività della storia. Gli aggiornamenti sulla cultura pop odierna, i social network e una vena queer più carica non riescono a salvare un film che punta troppo sulla nostalgia del cult per sviluppare una narrazione mordace che sembra essersi esaurita proprio al film del 2004.
Oggi infatti, seppur come accennato esistano dei rari titoli che accolgono la lezione di Fey e Waters, la satira adolescenziale sembra non avere più molto spazio. Si sente oggi la mancanza di una critica sociale che sia davvero cattiva e che esponga le contraddizioni di un’epoca complessa per le giovani donne, le quali infatti oggi fruiscono con una certa nostalgia sempre più intensamente di prodotti post-femministi e anni Duemila.
Il ritorno di Mean Girls a ottobre nelle sale americane, come conviene ai grandi cult che hanno segnato la storia del mezzo cinematografico, lo testimonierà: i cinema saranno gremiti di millennials e di gen-z che troveranno ancora nel testo la possibilità di riconoscersi e nel frattempo di farsi anche due risate.
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