Il successo della serie tv di Fallout, che trovate su Prime Video, è stato un po’ un fulmine a ciel sereno. Nel grande disegno produttivo dei film o serie televisive tratti da videogiochi, nel tempo siamo andati contro a risultati tra il pessimo e l’incoraggiante. Solo negli ultimi anni qualcosa sembra essere cambiato: Sonic ha trovato un’ottima casa al cinema, The Last of Us e – appunto – Fallout in forma seriale stanno convincendo tutti e anche Castlevania non se la cava male come prodotto d’animazione.
Ma al netto della buonissima qualità del prodotto, della narrazione e dei ritmi frizzanti e briosi, cosa ha reso Fallout, almeno sul fronte videoludico, così estremamente magnetico sin dal momento dell’uscita del primo capitolo? Proviamo ad affrontare il discorso per punti.
Fallout In Medias Res
Dopo una guerra atomica che ha visto deflagrare il mondo come lo conosciamo, il genere umano (non tutto) si è rintanato in alcuni bunker strutturati sia in termini di sopravvivenza che di organizzazione sociale denominati Vault. Il canovaccio narrativo spesso si fa bastare un piccolo evento per portare il nostro protagonista ad uscire dal Vault per andare alla ricerca di qualcosa o qualcuno, avventurandosi dunque in un mondo post-atomico sconosciuto, misterioso, pericoloso e abitato da creature di ogni tipo.
Con l’evento nucleare avvenuto nel passato e un’ambientazione maturata centinaia di anni nel futuro, la sensazione di trovarci nel mezzo di qualcosa che non conosciamo del tutto è forte, rendendo l’aria frizzante (e nucleare) portandoci a prestare attenzione a ogni singolo dettaglio attorno a noi. Sarà dunque divertentissimo recuperare testimonianze, libri, ascoltare racconti e capire come si sono organizzati i sopravvissuti nella Zona Contaminata. Quello è il nuovo mondo e chi non conosce le regole, non durerà molto.
Ironia tagliente
Fallout, pur affrontando una realtà tutt’altro che ilare e positiva, anzi abbastanza tragica e desolante, utilizza un’arma a cui non si può opporre resistenza: l’ironia. Non si può non rimanere affascinati da una nuova organizzazione sociale che vede ognuno guardare al proprio piccolo orticello e nulla più. Le fazioni si muovono per ideali alcune volte folli o strampalati e si vende cara la pelle per un paio di tappi, la valuta del mondo post-atomico.
La nostra stessa logica basata su una coscienza caritatevole e umana viene sempre messa a dura prova con la spietatezza di quel che ci troveremo ad affrontare: uccidere o essere uccisi? Far esplodere una testata nucleare sepolta in una città e guardare da lontano lo spettacolo bellico, o rifiutarsi? Scrivere o leggere tali affermazioni dovrebbe far accapponare la pelle, eppure l’ironia con cui si affrontano temi delicati come questi viene supportata da una causa forte più sfiziosa, ovvero una critica aperta ai falsi ricordi.
Un falso ricordo
Ampiamente marcata specialmente nella serie tv di Fallout e ripresa in modo ancor più brillante in Fallout 3, tra le pieghe della storia serpeggia una feroce critica al falso ricordo di una “golden age” sempre più reclamizzata e forse mai davvero avvenuta. Nella serie tv si palesa un forte amore per quegli anni 50/60 statunitensi costruiti su una caccia al comunismo, al benessere personale, al raggiungimento del sogno americano e di una costruzione perfetta del canale pubblicitario per vendere sogni (Mad Man ci ha insegnato bene).
Tutto questo teatrino solo per distogliere lo sguardo dalla crisi nucleare, evento non solo relegato al contesto videoludico o televisivo, ma che troviamo perfettamente anche nei libri di Storia. Proprio quella finestra temporale è stato il teatro di una costante Guerra Fredda che ha visto anche nella Crisi di Cuba momenti di forte disagio atomico. Nella corsa agli armamenti, i cittadini non possono fare altro che guardare e sperare che tutto possa andare bene. Nell’intervallo ci sono vagonate di pubblicità colorata, divertente e bibite gassate vendute come non mai, tutto per distogliere lo sguardo altrove e non avere più pensieri e nubi (atomiche) per la testa.
Un confronto con il mondo nuovo
Come accennato sopra, un aspetto intrigante del progetto Fallout, che si mostra nella serie con il personaggio di Lucy, è la contrapposizione tra gli abitanti del Vault e tutti gli altri. Durante l’olocausto nucleare, i più ricchi e rispettati cittadini si sono rintanati nei Vault, gli altri sono rimasti fuori. All’interno dei Vault è stata ricreata una società democratica e meritocratica, valori che sono andati perduti nel periodo atomico. Uscire dal Vault e affrontare il mondo fuori è come la fine di una lunghissima gravidanza andata avanti senza alcun rischio.
Usciti al mondo e vista la prima luce, riorganizzare il pensiero, gli approcci e confrontarsi con la follia di una scenario secondo solo a quello di Mad Max, non è cosa da poco. Ma gli abitanti del Vault rappresentano a pieno regime quella bugia figlia delle pubblicità, del Vault Boy che ci ricorda che va tutto bene e che dobbiamo fare attenzione a qualunque tipo di pericolo, con quel sorriso sterile e rassicurante al tempo stesso.
L’approccio estetico
In qualunque forma si veda, Fallout è pregno di uno stile estetico retro-futurista straniante, ma da cui difficilmente stacchiamo gli occhi. Pensare e immaginare il futuro con lo stile tecnologico e ideologico di una società di metà anni 50 o poco più avanti partorisce un suo diretto futuro ancor più folle e abile nelle sperimentazioni visive. Il mondo di Fallout è quello di un’umanità che ha sognato un futuro di grande cooperazione con le macchine, per poi avere tra le mani, letteralmente, granelli di polvere contaminata da radiazioni.
Il sogno e la corsa alla tecnologia ha portato alla stessa disintegrazione del genere umano che in tantissimi media abbiamo visto rappresentare in vari modi e Fallout ne propone uno tutto suo, quasi decadentista, a tratti romantico e terribilmente rozzo e mal funzionante. Una distopia quasi parodistica di chi pensava di vivere nel lusso, un prodotto di quel falso ricordo di un passato felice che ha, infine, generato un futuro distruttivo, causato da chi sognava la grandezza.
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