Negli ultimi anni il rapporto tra Cinema e Musica è andato intensificandosi. Questo grazie ai numerosi biopic presentati al grande pubblico, i quali nei giorni nostri sembrano andare tanto. Talvolta questi prodotti risplendono di luce propria e permettono di rivivere la grandezza musica di un determinati artisti. Come se non bastasse mostrano anche dei loro lati della vita personale, solitamente più fragili e vulnerabili, rivolgendo lo sguardo allo spettatore, il quale si immerge in vicende identitarie così sfaccettate. Spesso, però, queste operazioni commerciali non sono del tutto vincenti e mostrano solo una parte delle vicissitudini dei musicisti, i quali spesso restano incastrati all’interno di uno scafandro di idealizzazione da parte di vecchi fan e nuovo pubblico, da cui è impossibile uscire.
Non si offre una visione completa ma si tende a sfociare nell’idolatria più pura, il che è un male perché impedisce ad un pubblico più generalista di immedesimarsi un quegli artisti che spesso portavano con sé diverse controversie. È il caso dell’ultimo Back to Black, il nuovo film di Sam Taylor-Johnson, la quale è andata a complicarsi la vita con un nuovo film che rimette sotto i riflettori la vita di Amy Winehouse, una delle icone di stile e di musica più in voga degli anni 2000. Cerchiamo, nella nostra recensione, di comprendere l’utilità di un progetto del genere, evidenziandone i difetti ed i punti di forza per capire come una storia simile, così com’è rappresentata, possa essere interessante al giorno d’oggi.
Genere: Biografico, Musicale
Durata: 122 minuti
Uscita: 18 aprile 2024 (Cinema)
Cast: Marisa Abela, Jack O’Connell, Eddie Marsan
Musica come ancora di salvezza
Chi è Amy Winehouse? Per comprenderne la portata e l’impatto bisogna necessariamente attingere dalla veridicità storica del suo personaggio. Amy è una ragazza come tante, nata in un contesto povero in una Londra fredda e cinica. L’unica differenza è la sua grande dote canora e la sua propensione appassionata nei confronti della Musica. Talento che fa presto ad emergere in lei, soprattutto quando viene costantemente spronata dalla famiglia: nonna e papà in particolar modo. Dall’inizio si evince che la famiglia per Amy è fondamentale, un elemento di unione e di forza, il quale dovesse vacillare la farebbe inevitabilmente sprofondare.
Amy è una ragazza disinibita, difficile credere che abbia solamente 18 anni. Trasgressiva ma debole, irriverente ma spesso insicura. È una ragazza dal rapporto viscerale con la sua musica dalla quale non può mai distaccarsi. Deve vivere le proprie canzoni ed immergersi in esse. L’espressività di Marisa Abela, l’attrice protagonista, rende bene in questo, mostrando una Amy che è anche Winehouse, un personaggio di musica ma anche di chiacchiera, di compagnia di cuffiette nelle orecchie ed esibizioni nei piccoli palchi dei sobborghi di Londra. In testa ha un’idea: lei non è una delle Spice Girls, le quali fanno musica esclusivamente per il pubblico.
Amy rifiuta quell’immagine idealizzata di ragazze pon pon e si interroga su cosa sia il girl power. Ai suoi occhi, quel tipo di musica appare come qualcosa di solo estetico, sfarzoso sì ma terribilmente privo di significato, rappresentato da figure spente e vuote che non hanno davvero qualcosa da comunicare, a differenza sua che, invece, ha come un fuoco dentro che arde e deve essere continuamente ravvivato per non sopperire davanti alle insidie della vita e dell’amore. Sì, perché Back to Black è soprattutto una storia d’amore nei confronti di un uomo in particolare: Blake, il grande protagonista di tanti dei suoi brani.
Dualismo tra dentro e fuori
La frase cardine che fa da porta bandiera all’intero progetto è: “Io non sono Rock, sono Jazz!”. Pronunciata dalla stessa Amy confrontandosi con il suo uomo, appunto, il quale gli fa un’osservazione relativamente al suo look. Ciò che questa frase vuole trasmettere è il disincantato dualismo che contraddistingue il personaggio di Amy Winehouse. In primo luogo, abbiamo l’immagine esteriore rappresentato dal genere rock e tutti gli stereotipi che ne conseguono. Questi fattori influenzavano l’immagine che la cantante presentava al mondo: sfacciata e sboccata, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, la quale l’avrebbe sicuramente compromessa.
Dall’altra parta, invece, il jazz: estrema eleganza, raffinatezza ed esemplificazione del talento puro. Tali prerogative costruiscono l’interiorità di Amy, ciò che è dentro di lei e come si impegni così tanto a nasconderle. Un lato più dolce, costruito sugli affetti famigliari dai quali trae forza vitale. È quel lato più empatico che il film indulgentemente cerca di mostrare al pubblico, essendone il lato più oscuro. In entrambi i casi, questi due aspetti dimostrano come lei, ed ognuno di noi, cerchi costante affetto; che questo avvenga attraverso il pubblico delirante ai concerti, piuttosto che dalla famiglia e specialmente, nel caso dell’artista di Londra dagli uomini.
Nel corso degli anni, la ragazza diventerà donna, e la sua celebrità si farà sempre più ingombrante nel rapporto con Blake. I due sono una coppia trasandata e a tratti grottesca, con tutte le connotazioni negative del termine, sfociando spesso in siparietti imbarazzanti ed esageratamente sdolcinati. Il loro è un amore che non c’è, consumato a tratti ed esasperante in altri, è un rapporto di vuoti da colmare e di compensazioni da riempire. Sembrerebbe un amore tossico in piena regola? Ebbene sì, perché quei due pazzi squinternati finiranno per divorarsi a vicenda attraverso un baratro di autodistruzione deflagrante.
Da questo bizzarro rapporto, però, si evince uno sguardo interessante ed estremamente contemporaneo, cioè la donna non più come oggetto del desiderio da parte dell’universo maschile, ma la stessa, che pretende di essere osservata e soprattutto desiderata, bramata. Amy, nella vita, non è di certo un personaggio da imitare, però sta di fatto che la sua forza stava nel voler essere se stessa a prescindere da tutto e da tutti.
Per chi è questo film?
Alla fine, il quesito sorge spontaneo: per chi è stato realizzato questo film? Se in prima battuta si potrebbe pensare che questo nuovo biopic sia rivolto alle nuove giovani ragazze e ragazzi, i quali approcciandosi alla figura di Amy Winehouse possano trovare nella sua musica, un’ancora di salvezza ma un distacco da un’esistenza tanto costellata da tragedie. D’altro canto, in seconda battuta, questa operazione commerciale odora di fan service. Un servizio gratuito per gli estimatori, i quali rincuorati dalla presenza scenica della loro idola, possono auto-convincersi della sua immortalità.
Peccato, che il film non riesca mai a trovare la quadra ed il piglio giusto per mettere d’accordo le due parti, cioè rivolgersi sapientemente sia ad una parte del pubblico che all’altra. Sorge anche spontaneo la domanda dello scopo, cioè di cosa questo film voglia parlare. Ciò che traspare maggiormente alla fine della fiera è un malmesso caos di pensieri e suoni. Quella che inizialmente sembra essere una pista da seguire, viene presto travisata per intraprenderne un’altra immediatamente successiva. La sensazione è che si sia cercato di andare verso più direzioni, toccando tanti punti, con lo scopo di parlare della profonda vicenda drammatica che ha devastato la vita dell’artista, senza però concentrarsi su un elemento specifico da sviscerare per trasmettere al meglio il messaggio dell’intero film.
Ciò che rimane è una grande confusione che non può essere destata dalle splendide note della sua musica, così evocativa, dato che in primo piano è sempre presente la sua vicenda amorosa personale e non la musica. In fin dei conti chi la ama apprezzerà il film. La tiepida (in questo caso) rappresentazione del femminile è sempre interessante specialmente se posta all’interno di una contemporaneità che continua a tingersi di splendidi personaggi di donne. Peccato che l’innovazione da apportare per destrutturare il biopic ed essere veramente originale, all’interno di questo film, sia una concezione ben distante.
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Conclusioni
Back to Black è il nuovo film sulla vita dell'artista britannica Amy Winehouse. Sam Taylor-Johnson dirige un biopic, il quale è interessante poiché consegna alla contemporaneità un nuovo volto femminile, evidenziando quanto sia fondamentale la voce delle donne. Tuttavia, risulta anche essere un'operazione confusa, la quale non trova quasi mai la quadra al fine di trasmettere la drammaticità di Amy Winehouse, ci gira intorno senza mai scavare in profondità.
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Voto Screenworld