Quando parliamo di Studio Ghibli, titoli di film a parte, le prime parole che ci vengono in mente sono (ovviamente) sempre le stesse: Miyazaki e Takahata. I due maestri, i due geni, i due padri fondatori dello studio animato. Due artisti straordinari che come tutti i giganti hanno messo molto in ombra tanta altra gente talentuosa che ha lavorato al loro fianco. Ecco, questo articolo è dedicato alla storia e alla memoria di una di queste persone. Il suo nome è Yoshifumi Kondō. Un grande artista, da molti considerato il vero grande erede di Hayao Miyazaki. Un uomo che purtroppo ci ha lasciato troppo presto, regalandoci un solo film. Uno soltanto, tanto bello quanto dimenticato. Un film con un titolo che in qualche modo richiama il suo destino silenzioso e pacato: I sospiri del mio cuore. Un’opera sfortunata che nasconde una tragedia che ha segnato sia Miyazaki che Takahata. Talmente tanto che persino Il ragazzo e l’airone porta i segni di questo dolore, proprio quando parla dei problemi e dei patemi di Miyazaki con la sua pesante eredità. Adesso vi raccontiamo tutto.
Talento nell’ombra
Yoshifumo Kondō nasce nel 1950, quindi quasi 10 anni dopo Miyazaki. La sua inclinazione per il disegno è talmente spudorata da farlo esordire giovanissimo. Arrivato a Tokyo, infatti, esordisce come animatore ad appena 18 anni con Tommy, la stella dei Giants, un anime sportivo prodotto dalla Tokyo Movie. Qualche anno dopo, agli inizi degli anni Settanta, lo stesso studio cura l’anime Le avventure di Lupin III dove Kondo conosce Hayao Miyazaki e Isao Takhata. Entrambi restano stupiti per la sua dedizione al lavoro e per la sua completezza: infatti Kondō si distingue come disegnatore accurato, come animatore attento a ogni singolo movimento dei personaggi e del paesaggio, come autore di storyboard ma anche nel character design. E così Miyazaki e Takahata, arrivati alla Nippon Animation, lo coinvolgono in tantissime serie animate come Conan il ragazzo del futuro, Anna dai capelli rossi e Il fiuto di Sherlock Holmes. Per questo, dopo aver fondato lo studio Ghibli nel 1985, Miyazaki e Takhata decidono di coinvolgere anche Kondō. Il primo a prenderlo sotto la sua ala è proprio Takhata che nel 1988 gli affida il delicato ruolo di direttore dell’animazione, character design e responsabile degli storyboard dello splendido Una tomba per le lucciole.
È un battesimo del fuoco che Kondō gestisce alla grande, perché oltre alla tristezza più devastante di sempre Una tomba per le lucciole rievoca movenze curatissime e un’espressività dei personaggi quasi da neorealismo animato. Dopo quello straordinario esordio nello Studio Ghibli, Kondō verrà quasi conteso da Miyazaki e Takahata, che col passare degli anni vedono in lui una persona affidabile. Miyazaki si rivede in lui per la sua etica del lavoro quasi malata, fatta di ore e ore in ufficio, perseveranza e sacrificio. Sono gli anni della dura gavetta in cui Kondō lavora a Kiki consegne a domicilio (ancora supervisionando l’animazione), Porco Rosso, Pioggia di ricordi e Pom Poko. Per poi guadagnarsi, con tanto sudore e immensa fatica la sua grande occasione.
L’eco dei sospiri
La grande occasione arriva nel 1995 quando Kondō finalmente fa il suo tanto agognato esordio alla regia con il bellissimo e sottovalutato I sospiri del mio cuore. Quasi mai citato e ricordato quando parliamo di Studio Ghibli. Un film significativo per almeno un paio di motivi: è uno dei primi film dello Studio Ghibli realizzato con inserti digitali, che poi torneranno in Principessa Mononoke ed è anche la prima storia d’amore tra ragazzini raccontata dallo Studio badandosi sul manga Sussurri del cuore. Alla sceneggiatura c’è Hayao Miyazaki che da buon maniaco del controllo ci ha messo lo zampino anche in qualche scena onirica . Alla regia un Kondo arrivato ormai a 45 anni, che dirige i lavori col tatto di un maestro.
I sospiri del mio cuore è una piccola storia d’amore ambientata nella Tokyo degli anni Novanta e racconta l’incontro tra la giovane Shizuku che sogna di diventare una scrittrice e il giovane Seiji che vorrebbe diventare liutaio. La storia segue a piccoli passi il loro avvicinamento, fatto di timidezza, impaccio e ingenuità. Quello tra Shizuku e Seiji è il tipico innamoramento tra ragazzini che ci riporta in quella dimensione pura e spensierata che solo i primi amori sanno rievocare. Ma la vera bellezza del film è proprio nella sfumatura che riesce a dare al sentimento dell’amore, che diventa in tutto e per tutto una fonte di ispirazione per migliorarsi, non demordere, seguire i propri sogni e alimentare il proprio talento.
I due ragazzini del film si innamorano dei sogni dell’altro, amano il fatto che l’altro abbia una passione profonda e sincera proprio come quella che covano dentro se stessi. E così, attraverso la storia di queste due anime gemelle, I sospiri del mio cuore diventa un grande omaggio alla creatività. Quella che ti brucia dentro e non riesci a spegnere, e che viene alimentata solo dalle persone che ti amano davvero e fanno il tifo per te, proprio come fanno Shizuku e Seiji nel film. Due ragazzini che tra l’altro incarnano l’essenza dell’animazione, visto che lei insegue l’arte e lui l’artigianato. Tutto raccontato da un film che riesce ad abbracciare la doppia anima dello studio ghibli, che grazie a Miyazaki e Takahata ha sempre camminato su un filo sottile sospeso tra realistico e fantastico. Ecco, I sospiri del mio cuore è un film per lo più realistico che imita i tempi della vita, ma che in alcuni punti esplode con momenti visionari davvero splendidi. E a proposito di bellezza, non possiamo non citare un eccezionale lavoro dal punto di vista tecnico. Con I sospiri del mio cuore Kondō ha catturato il fascino di Tokyo con tantissimi scorci urbani e panorami in cui perdersi e allo stesso tempo, da buon allievo di miyazaki, ha donato alle movenze dei personaggi un realismo e una credibilità incredibili.
Eppure, è impossibile oggi guardare questo film senza sentire tanto amaro in bocca. Perché I sospiri del mio cuore guarda al futuro con incanto e ottimismo. Un futuro che il suo autore non ha mai avuto. Infatti, subito dopo aver chiuso la faticosa lavorazione di Principessa Mononoke, Kondō muore a soli 48 anni per un aneurisma. I medici nel referto scriveranno la parola karoshi, parola giapponese che significa “morte per eccesso di lavoro”. Per Takahata e Miyazaki è uno shock con tanto di senso di colpa. Lo stesso Miyazaki riconoscerà questa abnegazione eccessiva di Kondō quando durante il suo funerale disse questa frase: “Yoshifumi era il tipo di persona che amava la nave e tutte le persone che ci stavano sopra. E che avrebbe anche scelto di naufragare con quella nave”.
Il ragazzo e l’eredità
Come detto, la triste storia di Kondō ha avuto delle ripercussioni anche su Miyazaki e su tutto lo studio Ghibli. Questo perché la sua morte prematura ha fatto venire a galla i lati oscuri della maniacale etica del lavoro giapponese, molto comune in ambito manga e anime. Un’ambienta divorato da un malsano senso del dovere, dove la gente si spacca la schiena, si brucia gli occhi e di fatto non ha una vita al di fuori del lavoro. Questo ha creato profondi sensi di colpa in Miyazaki e Takahata. E non è un caso che il primo avesse pensato al ritiro subito dopo la morte di Kondō. In generale ha creato dei turbamenti proprio in Miyazaki che ha sempre visto nel processo creativo dei suoi film una montagna da scalare fatta di ossessione, sacrifici e abnegazione. Il timore è quello di non aver dato un buon esempio. E forse da qui nasce la riluttanza di Miyazaki nell’avere eredi diretti.
Da qui , forse, il suo rapporto controverso con suo figlio Goro, che non è mai stato incoraggiato da suo padre, anzi. E allora ecco che forse ne il ragazzo e l’airone troviamo l’eco di quel sospiro, e un ricordo amaro di Yosshifumo Kondō. Perché tra i tanti temi toccati dal film, Il ragazzo e l’airone parla anche della difficoltà che miyazaki ha non solo nel trovare un erede ma nel gestire la sua eredità. Nel suo ultimo film Miyazaki interroga Miyazaki e si chiede: che cosa ho lasciato al mondo oltre alla mia arte? A livello umano sono stato un bravo mentore per mio figlio e i miei allievi? Un dubbio atroce che trova risposta in una scritta ben visibile all’ingresso della tomba de Il ragazzo e l’airone, dove si leggere una frase proveniente da un detto giapponese, ovvero: “colui che farà come me, morirà”.
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