È possibile cambiare il mondo? Perdonateci l’esagerazione, riformuliamo. È possibile cambiare un’industria, come quella hollywoodiana, che col globo condivide sia le dimensioni che l’idiosincrasia nei confronti del nuovo e delle realtà “minori”? Per Jason Blum sì. Nel 2000, dopo aver militato nella Miramax, decide di fondare una sua società. Quella Blumhouse in grado, nel giro di qualche lustro, di aprire una terza via, lontana dalle spese folli delle major ma senza rassegnarsi all’anonimato, condanna di buona parte del cinema indipendente. Un esempio nuovo e talmente dirompente da diventare apripista per nuove realtà, A24 su tutte.
Cogliamo quindi l’occasione dell’uscita di Imaginary, nuovo film Blumhouse che segue i roboanti successi di M3GAN e Five Night’s at Freddy’s in arrivo nei cinema italiani il 14 marzo grazie a Eagle Pictures, per raccontare la storia di una rivoluzione produttiva in grado di sconvolgere il mercato cinematografico occidentale.
Paranormal Activity: il primo grande successo
Oggi il marchio Blumhouse è conosciuto principalmente per il suo lavoro nel campo del cinema horror. Ma soprattutto all’inizio – e, come vedremo, anche nel proseguo – il lavoro della neonata casa di produzione svariava tra i generi, alla ricerca di un suo spazio nel mercato. Così si spiega la presenza nel catalogo firmato Jason Blum di una commedia romantica come Griffin e Phoenix (2006) o addirittura di un film per ragazzi a budget sostanzioso come L’acchiappadenti (2010). Ma, proprio qualche mese prima dell’uscita del titolo con The Rock come protagonista, arriva il vero fenomeno destinato a cambiare le sorti di Blumhouse.
Il 9 ottobre 2009 fa il suo esordio in sala Paranormal Activity, mockumentary diretto da Oren Peli, costato soli 150.000 dollari e che nei due anni precedenti aveva fatto il giro di svariati festival horror. Blum, dopo averlo notato, ne acquista immediatamente i diritti e si mette in cerca di un accordo distributivo in grado di portare il film su più schermi possibili. Paranormal Activity incassa quasi 200 milioni di dollari, diventando un vero e proprio caso studio che in molti reputavano irripetibile, equiparandolo a un episodio isolato com’era stato per The Blair Witch Project, che lo stesso fondatore di Blumhouse si era lasciato sfuggire con imperituro rammarico. Ma Jason Blum aveva capito la formula ed era pronto a replicarla con continuità.
Replicare la formula per il successo
Si stava uscendo con fatica dalla crisi del 2008, che non aveva risparmiato neanche il grande mercato dell’intrattenimento americano. I progetti ad alto budget erano diventati troppo rischiosi per le case di produzione che, per rientrare in determinati investimenti, dovevano impegnarsi in elaborate manovre di marketing che andavano a gravare ulteriormente sulle spese. Così Blum decide di optare su un modello basato su costi ridotti all’osso. Se un progetto non funziona come sperato si passa al successivo, senza rimpianti e soprattutto senza ulteriore esborso. Ma come raggiungere ampie platee? Stringendo accordi, vantaggiosi per tutti, con i nomi della grande distribuzione.
In questo modo Blumhouse inizia a macinare risultati impressionanti anno dopo anno. A partire dal sequel di Paranormal Activity, per passare al primo Insidious, La Notte del Giudizio, Sinister. Titoli costati meno di 3 milioni di dollari e in grado di dar luce a franchise milionari. Spese ridotte significa anche dar spazio a un certo tipo di creatività e ridurre a zero gli effetti digitali, caratteristiche che con l’horror si sposano molto bene. Ma Blumhouse si specializza negli anni, come poi farà anche A24, nello dar spazio ad autori, giovani o in cerca di rilancio.
Shyamalan, Chazelle, Spike Lee, Jordan Peele: tutti passano dalla Blumhouse
Leggere il paragrafo precedente potrebbe far pensare a un Jason Blum interessato solo a un approccio quantitativo. Eppure Blumhouse negli anni è diventata anche fucina dove si son potuti mettere in mostra svariati autori del cinema contemporaneo. Abbiamo già citato Insidious e SInister, diretti rispettivamente da James Wan e Scott Derrickson, all’epoca entrambi alla ricerca di una ripartenza di successo. Lo stesso percorso che qualche anno dopo seguirà M. Night Shyamalan prima con The Visit e poi con l’accoppiata Split – Glass che darà vita alla trilogia iniziata (più o meno inconsapevolmente) con Unbreakable.
E anche per quanto riguarda i nomi in rampa di lancio la lista è particolarmente lunga. Su tutti spiccano Mike Flanagan e Jordan Peele, diventati oggi tra i massimi autori dell’horror americano contemporaneo e che hanno mosso i primi passi sotto l’etichetta Blumhouse con Oculus e Get Out. Quest’ultimo ha fatto guadagnare a Jason Blum una nomination all’Oscar per Miglior Film, risultato già ottenuto con Whiplash di Damien Chazelle e poi raggiunto di nuovo con BlacKkKlansman di Spike Lee, a testimonianza di un lavoro che non si è mai limitato “solo” all’horror.
I nuovi successi di M3GAN, di Five Nights at Freddy’s e l’arrivo di Imaginary
Sulle orme dei grandi nomi della categoria, com’è stato per esempio per Jerry Bruckheimer tra gli anni ’80 e gli anni ’90 nell’action, il suo nome è diventato una firma in grado di far capire immediatamente il tipo di prodotto che si ha davanti. Ma Jason Blum non si ferma mai. Negli ultimi anni ha continuato il suo percorso, nel tentativo di surfare su un mercato in costante cambiamento. Prima stringendo accordi con l’Atomic Monster di James Wan (e si parla anche di una possibile fusione in futuro) e poi cercando di intercettare le possibili nuove tendenze. I risultati, come dimostrano tanto i numeri di M3GAN quanto quelli di Five Nights at Freddy’s, sono incredibili. E con Imaginary, in arrivo nelle sale italiane il 14 marzo, sembra voler proseguire sulla medesima e fortunata strada.
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