Il re si gode il suo castello. Una piscina, due figlie educate, una regina con cui fa ancora l’amore. Un regno isolato da tutto e da tutti, immerso in una periferia che potrebbe essere ovunque. Un giorno, però, il re scende nelle segrete del castello e trova tanto fango che sta venendo a galla, pronto a sporcare il suo regno che sembrava così perfetto.
Apriamo la nostra recensione di America Latina raccontandovi la nuova fiaba oscura scritta dai fratelli D’Innocenzo. Dopo aver chiuso il libro di Favolacce, i registi romani si dedicano a un nuovo capitolo della loro filmografia così impregnata di disagio e male di vivere. Lo fanno con una maturità e consapevolezza a tratti spiazzante, perché il cinema firmato D’Innocenzo è una mosca bianca. Qualcosa che in Italia non fa nessuno. Il loro ronzio è fastidioso, per certi versi scomodo da ascoltare.
Perché America Latina, così come i due film precedenti, mette il dito nella piaga della famiglia. Ovvero l’habitat sacro e intoccabile di ogni buona società. Peccato che nel libro delle fiabacce di Fabio e Damiano D’Innocenzo non ci sia spazio per magia, miele e quadretti illibati. No. Il loro è un cinema ostile e fastidioso, che fa venire il prurito in zone che credevamo intoccabili.
America Latina (2021)
Genere: Drammatico/Thriller
Durata: 90 minuti
Uscita: 13 gennaio 2022 (Cinema)
Cast: Elio Germano, Astrid Casali, Sara Ciocca, Carlotta Gamba
Cry, macho
Com’è il regno di Massimo Sisti? Il nostro stimato dentista ha una bella villa di periferia e (come detto) una bella famiglia che lo coccola con carezze e sorrisi quotidiani. Senza dimenticare un caro amico di bevute (Stefano) con cui ridere, scherzare e magari sognare qualche fuga immaginaria dall’abitudine. Questo presunto idillio, però, è destinato a finire. D’altronde quella piscina così sporca e stagnante di Villa Sisti ci aveva avvisato. Iniziava a puzzare. Massimo un giorno scende in cantina e trova qualcosa che lo sconvolge. Un elemento straniante che, come dentro un romanzo dei primi del Novecento, altera poco per volta la percezione delle cose. Non si può dire di più sulla trama di America Latina. Non solo per evitare lo spauracchio dello spoiler, ma perché stiamo parlando di un film che va vissuto. Non raccontato.
Una storia torbida, che assomiglia a una scala a chiocciola. I fratelli D’Innocenzo prendono il loro Massimo (interpretato con incredibile misura da un eccezionale Elio Germano) e lo fanno scendere poco per volta nei meandri delle proprie insicurezze, nelle crepe che si aprono poco per volta nel suo quadretto idilliaco. Per questo è interessante la scelta fatta per il poster del film, che rappresenta la testa di Massimo come un guscio d’uovo rotto. È un’immagine potente, che descrive bene il viaggio introspettivo che faremo nel film. America Latina puzza davvero di uovo marcio. Un tanfo che sale man mano che Massimo scende a patti con i suoi affetti. Un vuoto d’amore inquietante travestito da normalità, in cui i D’Innocenzo non fanno altro che soffocare di continuo un urlo di dolore trattenuto in gola. Massimo è un marito, è un padre, è un figlio. Un maschio messo di prepotenza davanti alle sue fragilità. Una persona dispersa, che non riesce più a trovare le coordinate della sua rassicurante routine. Rassicurante come il cinema firmato D’Innocenzo non è stato (e forse non sarà) mai.
La terra del mai abbastanza
Dov’è il regno di Massimo Sisti? È impossibile parlare di America Latina senza avere tante domande che frullano in testa. Il film vive di suggestioni, non indica mai una scorciatoia per essere davvero risolto e lascia al pubblico quella nausea fondamentale per essere digerito nel tempo. Tra le domande più assillanti rimane quella sul titolo: perché America Latina? Le interpretazioni possono essere tante. Forse richiama una terra di confine destinata a essere attraversata, proprio come quella tra Bene e Male, Incubo e Realtà che calpestiamo nel film? Oppure è un efficace gioco di parole? Un espediente per dirci che il marcio spesso associato agli Stati Uniti è rintracciabile anche in una città del Centro Italia. Non lo possiamo (e forse vogliamo) sapere. E va bene così.
America Latina non impone una soluzione, e per questo è destinato a dividere. I D’Innocenzo evitano le didascalie, non ci danno mai la penna in mano per unire i puntini, ma seminano indizi qua e là. Un cinema che ha il coraggio di abbandonare la dittatura della parola per rievocare la forza primitiva delle immagini. Parlano le inquadrature, sono i riflessi a raccontare, le composizioni a suggerire. Con questo thriller paranoico i fratelli D’Innocenzo continuano a mostrare una sensibilità non comune, respingente nel dare voce e forma a un male di vivere incurabile. Un groviglio di disagio e malessere impossibile da sbrogliare. Dentro ci sono genitori balordi, adulti frustrati e figli che li guardano fissando il loro vuoto. Dentro convivono istinti e rassegnazione che fanno il girotondo. E ovviamente cascano per terra. America Latina (proprio come Favolacce) è un film che respinge, che non vuole essere abbracciato. Come fanno i film disinibiti, ostici ma affascinanti, forse più sinceri e autentici con le immagini che con le parole. Un cinema che se ne frega delle risposte e sopravvive grazie ai suoi punti interrogativi.
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La recensione in breve
Torbida e paranoica, l'opera terza dei fratelli D'Innocenzo è un thriller che alimenta la loro poetica del disagio. Un film che ha il coraggio di scardinare le sicurezze borghesi e di stimolare il pubblico attraverso tante suggestioni visive.
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Voto ScreenWorld