Snobbato agli Oscar 2024, e ci sentiamo di aggiungere ingiustamente, Estranei di Andrew Haigh arriva finalmente anche nei cinema italiani. Interpretato da Andrew Scott e Paul Mescal, che ancora una volta riescono a dare corpo a tormenti dell’anima con una gran finezza, oltre che da Claire Foy e Jamie Bell, il film adatta liberamente il romanzo omonimo di Taichi Yamada, già portato al cinema nel 1988 con il film giapponese The Discarnates.
Estranei è un viaggio onirico tra passato e presente che riflette sul significato della memoria e dei ricordi – anche quelli più dolorosi, ma soprattutto su quel senso di solitudine e alienazione che si insinua silenziosamente nel frastuono delle nostre vite così connesse ma allo stesso tempo così distaccate dal mondo.
The power of love
Estranei è una storia d’amore. Adam è uno sceneggiatore in crisi che si ritrova inaspettatamente coinvolto in una relazione con un giovane vicino di casa (Paul Mescal), mentre cerca di risolvere il rapporto con i suoi genitori – morti anni prima in un incidente d’auto, ma che lui riesce inspiegabilmente a vedere. In una Londra spersonalizzata e mai così simile a qualunque quartiere di qualsiasi altra città sparsa per il mondo, Adam cerca di ritrovare se stesso negli occhi di chi ama per provare a fare pace con il passato ma anche per provare a costruirsi un futuro, abbandonando quel senso di straniamento che lo rende emotivamente distaccato ma al contempo desideroso di essere amato.
La ricerca d’amore di Adam non è altro che una fuga da una realtà esterna spogliata di una dimensione umana che lui riesce a ritrovare nella memoria del passato e in un amore che, ai suoi occhi, potrebbe spalancare le porte della realtà sbarrando quelle delle illusioni. Le stesse che permettono al protagonista di vedere manifestati i propri genitori, coi quali ritrova in un senso di famiglia in uno spazio tempo inesistente, oltre che di intrecciare una relazione perfetta senza essere in grado di guardare oltre il sogno. Ecco perché è affascinante che ultimo frame del film coincida con il primo del videoclip di The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood, pezzo leitmotiv del film che si connette a un altro tema importante che viene toccato da Estranei: quello della solitudine.
Noi tutti, estranei
Il senso di alienazione e, di conseguenza, la solitudine del protagonista che viene proiettata nella ricerca – più o meno reale, di legami è infatti il fulcro del film di Andrew Haigh. Il regista rielabora dunque il materiale originale mantenendone gli elementi, alcune caratteristiche e anche il titolo con l’obiettivo però di comunicarci qualcosa di diverso. Mentre infatti il romanzo di Yamada riflette sulla solitudine arrivando a costruire una storia di fantasmi con elementi tipici della sua cultura di riferimento, il film di Haigh non ha velleità di voler essere una propriamente ghost story. Le presenze con cui interagisce Adam, vere o presunte tali, diventano un escamotage narrativo per approfondire da una parte quel bisogno d’amore di cui abbiamo già parlato e, dall’altra, una solitudine da cui talvolta si fatica a uscire o da cui non si vuole uscire.
Una sorta di culla fatale che, anche solo per un momento, può risultare più allettante di una quotidianità di legami sfilacciati e poco profondi. Alla luce di questo crediamo sia un grande peccato che una storia del genere sia stata così poco considerata durante questa award season, ma del resto è un’ulteriore prova che sì, i premi contano ma non sono in grado di raccontarci tutto. Neanche un film come questo che descrive così bene certe dinamiche insieme senza tempo e così proprie dei giorni nostri. Come un pendolo che oscilla tra vita e morte, tra amore e solitudine, Estranei infatti ci parla di noi: sempre più distaccati e stanchi di tormentarci, ma al contempo così desiderosi di (ri)trovare un po’ di noi stessi nel riflesso di qualcun altro.
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