Uno è il fenomeno improvviso e inatteso che, a partire dallo scorso autunno, ha catalizzato l’attenzione di oltre centocinquanta milioni di spettatori in tutto il mondo, imponendosi come la serie in streaming di maggior successo di tutto il 2021. L’altro è uno dei titoli più blasonati degli ultimi anni: un prodotto con un nutrito zoccolo duro di fan e adorato dai critici, che per le sue prime due stagioni gli hanno attribuito un’enorme quantità di riconoscimenti (compresi due Golden Globe e nove Emmy Award).
Il primo è Squid Game, la nuova gallina dalle uova d’oro del catalogo Netflix; il secondo è Succession, fiore all’occhiello della scuderia HBO, giunto nel 2021 alla sua terza stagione: si tratta delle due serie che, questa domenica, si sfideranno in un serrato testa a testa alla settantanovesima edizione dei Golden Globe e, con tutta probabilità, si contenderanno anche il premio come miglior serie drammatica del 2021.
Testa a testa ai Golden Globe: Squid Game o Succession?
Sono due opere che hanno poco o nulla in comune, Squid Game e Succession, al di là dell’ampio seguito che ha investito entrambe, seppure in proporzioni diverse, e del consenso che sono state in grado di suscitare fra i membri della Hollywood Foreign Press Association, l’associazione che assegna i prestigiosi premi dedicati al grande e al piccolo schermo. Squid Game, produzione sudcoreana realizzata e diretta da Hwang Dong-hyuk e ascrivibile al genere del survival drama alla Battle Royale, è candidato ai Golden Globe come miglior serie drammatica, per l’attore protagonista Lee Jung-jae e per l’attore supporter O Yeong-su. Succession, caustico affresco familiare creato nel 2018 dallo sceneggiatore britannico Jesse Armstrong, ha ricevuto invece ben cinque nomination: come miglior serie drammatica, per gli attori protagonisti Brian Cox e Jeremy Strong, per l’attore supporter Kieran Culkin e per l’attrice supporter Sarah Snook.
Quale fra questi due titoli sarà decretato la miglior serie dell’anno? La categoria principale include ovviamente altri tre candidati, vale a dire il thriller francese Lupin, sempre di casa Netflix, la seconda stagione di The Morning Show per Apple TV+ e la stagione finale di Pose per FX; ma salvo colpi di scena, i due grandi favoriti per la vittoria restano appunto Squid Game e Succession. A cosa è legato dunque il rispettivo successo, quali sono i principali meriti dell’uno e dell’altro e quale, fra i due show, ha maggiori possibilità di aggiudicarsi il Golden Globe più ambito?
Squid Game: quattrocentocinquantasei piccoli coreani
In Squid Game alcune centinaia di individui, tutti in difficoltà finanziarie, vengono coinvolti in un misterioso concorso basato su tradizionali giochi per bambini: si parte con il celeberrimo Un, due, tre: stella!, mentre il titolo stesso della serie deriva dal “gioco del calamaro”, tipico della Corea. In palio ci sono quarantacinque miliardi di won (oltre trenta milioni di euro), ma perdere una partita equivale a morte certa. Su questo presupposto, Hwang Dong-hyuk innesta un sadico meccanismo di suspense imperniato sulla progressiva eliminazione dei partecipanti, decimati di puntata in puntata con modalità decisamente macabre e sanguinarie (da qui il prevedibile codazzo di polemiche relative all’elevato tasso di violenza della serie).
L’appeal di Squid Game è tanto ‘semplice’ quanto efficace: è la formula alla Dieci piccoli indiani, con i personaggi destinati a perire uno dopo l’altro mentre lo spettatore prova a indovinare in quale ordine e in quale maniera. E se lo svolgimento dei singoli ‘giochi’ corrisponde al picco di tensione di quasi ogni episodio, gli autori si rivelano senz’altro abili nell’applicare quegli espedienti essenziali a mantenere l’attenzione di un pubblico il più vasto e trasversale possibile: dai classici cliffhanger ben piazzati (tra cui la fine di un episodio nel bel mezzo della gara di tiro alla fune) a un ritmo narrativo piuttosto spedito, che tuttavia lascia spazio ad alcuni momenti di introspezione utili a farci conoscere più da vicino alcuni fra i concorrenti e a individuare coloro per cui parteggiare e i ‘detestabili’ con funzioni da villain.
Succession: il fascino discreto dell’altissima borghesia
Se Squid Game vuole far leva sulla nostra empatia nei confronti di un ristrettissimo gruppo di protagonisti, in primis il concorrente numero 456 Seong Gi-hun di Lee Jung-jae, sommerso dai debiti e sull’orlo della disperazione, una serie come Succession naviga in direzione del tutto opposta: all’identificazione sostituisce il distacco critico, al pathos predilige il sarcasmo e l’ironia. La materia è quella di un’epopea familiare dei nostri tempi: le rivalità e gli intrighi all’interno del clan dei Roy, a capo di un gigantesco conglomerato mediatico, con il tirannico patriarca Logan di Brian Cox che, a mo’ di novello Re Lear, distribuisce tra i propri figli favori e strali (ma soprattutto strali), innescando un feroce braccio di ferro in particolare con il ribelle Kendall, interpretato da Jeremy Strong. Anche quest’ultimo, però, è un uomo troppo viziato ed opportunista per rientrare nella categoria dell’eroe di turno.
Succession, in sostanza, mette in scena una faida fra parenti-serpenti ma con i toni cadenzati e tutto sommato lievi della commedia nera: perfino il lutto, la solitudine, il senso di colpa, dopo l’impatto iniziale, vengono assorbiti in quell’ovattata atmosfera di lusso e di privilegio in cui si sviluppa la movimentata routine dei personaggi, fra pranzi d’affari, voli transoceanici e riunioni del consiglio d’amministrazione. Dall’adorabile sprezzatura della sopraffina Shiv di Sarah Snook alle infantili eccentricità del Roman di Kieran Culkin, passando per l’impacciato “cugino Greg” di Nicholas Braun, Jesse Armstrong ci mette di fronte a un nugolo di comprimari contraddistinti da un inguaribile egoismo e da un desolante squallore morale, ma le cui interazioni risultano irresistibili.
Duello all’ultimo voto fra le due serie dell’anno
Se c’è un fil rouge che può essere rintracciato fra queste due serie, semmai, è il ruolo svolto dal denaro come strumento regolatore degli equilibri di potere nella società contemporanea, ma ancor di più come status symbol in grado di neutralizzare la bussola etica delle nostre azioni. Detto questo, Squid Game agisce su un livello più superficiale: il suo intento è suscitare reazioni ed emozioni immediate nel pubblico, e bisogna ammettere che ci riesce benissimo, lavorando con modelli consolidati e archetipi facilmente riconoscibili da parte di chiunque. Succession, pur proponendo un racconto accessibile a tutti proprio in virtù del suo registro da black comedy, è senz’altro un’opera più complessa e sofisticata: il divertimento che offre è sempre molto sottile, come un ghigno a denti stretti, e non ci sono catarsi volte a ‘nobilitare’ lo spettatore.
Quale, fra le due, è la serie più meritevole? A nostro avviso, Succession si mantiene in un’altra categoria rispetto a Squid Game, che comunque resta un prodotto dai numerosi pregi e la cui popolarità non è certo frutto del caso. Quale ha più probabilità di trionfare alla premiazione di domenica notte? I giurati dei Golden Globe hanno dimostrato più e più volte di prediligere le novità di maggior richiamo rispetto alle serie già consolidate (a differenza degli Emmy), e questo gioca a tutto vantaggio di Squid Game, dato che Succession era già stato ricompensato due anni fa. Ciò nonostante, la violenza esplicita della serie coreana potrebbe costituire un forte deterrente, permettendo così a Jesse Armstrong e soci di riconquistare lo scettro. Insomma, per gli appassionati del piccolo schermo si preannuncia un duello appassionante almeno quanto il “gioco del calamaro”… se non altro, perché in questo caso l’esito non è per nulla scontato.