È difficile trovare il giusto incipit per addentrarsi in questo delicato argomento. Ci siamo soffermati fin troppo a cercare di trovare un titolo che possa riassumere le intenzioni e il corpo di questo articolo, ma qualunque buttassimo giù, non riusciva mai a soddisfarci.
Alla fine, andando a ripercorrere a ritroso le parole che seguiranno, ci rendiamo conto di come questo testo potrebbe essere una cartella clinica di un paziente affetto da tante e troppe malattie, difficili da debellare perché una cura a tutto non c’è, se c’è è difficilmente applicabile a livello universale. Questo rende tutto estremamente più delicato e difficile da affrontare, ma ci proviamo. Il settore videoludico sta male, soffre tantissimo e l’utente finale – tranne sporadici casi – non sembra accorgersene più di tanto, chiedendosi quanto manca all’uscita del loro nuovo videogioco preferito.
Dalla fine: la macchia d’olio dei licenziamenti
Ne parlavamo solo poco fa qui, in questo articolo riguardo i premi ai The Games Awards di fine anno, sottolineando come il 2023 fosse stato un anno diviso in due fette distinte: la prima è quella dei successi e della concretezza di aver vissuto 12 mesi di giochi grandiosi, da Baldur’s Gate 3 ad Alan Wake 2, passando per Spider-Man 2 o Armored Core Fires of the Rubicon, senza scordare Street Fighter 6, Mortal Kombat 1 o Starfield. Insomma, a seconda dei gusti, chiunque può inserire negli slot precedenti tanti altri titoli amati e giocato fino allo sfinimento giacché la realtà è stata davanti gli occhi di tutti.
L’altra metà però riguarda quella dell’enorme onda di licenziamenti che ha colpito il settore. Questi all’inizio potevano inserirsi in contesti quasi “giustificabili”, vedi la rivoluzione dentro Blizzard, Bethesda o Activision dopo l’acquisizione degli stessi da parte di Microsoft, ma mese dopo mese il numero delle persone nel settore videoludico che hanno perso il lavoro è andato ad aumentare in modo vertiginoso, toccando quasi la cifra di circa 10.000 persone che si sono trovate licenziate dal giorno alla notte. Perché adesso e perché numeri così alti?
Il mondo muta
Un unico male non c’è, bensì si possono racchiudere in degli insiemi specifici alcuni eventi che hanno mostrato quanto il settore videoludico si sia basato per tanti, troppi anni, su sistemi che tutti credevano infallibili per poi vederli crollare miseramente. Pensiamo al 2020 e tutto quello che ha portato il Covid-19. Per molti mesi ci siamo ritrovati a casa isolati. Improvvisamente lo streaming e i videogiochi si sono ritrovati ad essere il centro di un mercato che globalmente si era fermato. Gli acquisti dei giochi in digitale – per ovvi motivi – subirono un incremento pazzesco, con alcune software house che annunciarono l’impossibilità di arrivare fisicamente sugli scaffali in tempi brevi (il caso più eclatante fu Final Fantasy VII Remake, con la versione fisica che tardò globalmente ad arrivare e tantissimi che comprarono il gioco direttamente in digitale).
Al netto dell’incremento delle vendite nel mercato digitale dei videogiochi, le stesse aziende rallentarono notevolmente lo sforzo produttivo nella realizzazione di videogiochi. Alcune di queste pur di non fermarsi iniziarono dei lavori a compartimenti stagni mettendo gli sviluppatori a casa o anche delegando il lavoro a tanti altri piccoli studi nel mondo (a Rockstar questa mossa costò il pesante leak di GTA 6 del settembre 2022), ma queste soluzioni per quanto comode, costano del denaro, più di quello preventivato inizialmente e le tempistiche di lavoro devono necessariamente essere riviste sul lungo periodo. Scelte produttive e fondi aggiuntivi che di certo non fanno felici gli investitori.
Un mercato al rialzo
Per quanto possiamo spesso volgere lo sguardo altrove, nel mondo ci sono dei conflitti che hanno notevolmente mutato le sorti dei mercati mondiali e parliamo chiaramente del conflitto tra Ucraina e Russia che ormai dura dal febbraio 2022 a cui si è aggiunta lo scorso anno anche quella tra lo Stato di Israele e Hamas. Guerre di questo calibro smuovono chiaramente le attenzione di tutti gli altri paesi del mondo e il mercato globale ha trovato il suo baricentro alzando i prezzi di diversi beni, da quelli alimentari al petrolio e il gas, con il conseguente aumento dei tassi di interesse per tutti i mercati.
Quello videoludico non è mai stato esente da questi costi, aumenti o tassi. Bisogna tenere conto di un grande “problema” che tiene banca specialmente in spazi social o affini, ovvero la diretta insoddisfazione del pubblico quando questo o l’altro gioco viene posticipato a data da destinarsi. Bisogna entrare nell’ottica, ormai sempre più ferrea visto il caso di Cyberpunk 2077, che un videogioco Tripla AAA – ovvero quei videogiochi con standard produttivi molto alti – non può permettersi uno sviluppo inferiore ai cinque o sei anni.
Conseguenze
Il 2023 in qualche modo è stata la rappresentazione del sempre abusato concetto per cui dopo essere arrivati in cima, si può solo cadere e più siamo in alto e più grande sarà violento il colpo appena si tocca terra. Se il settore nel 2020 ha avuto un momento di grande difficoltà produttiva, ma anche notevoli entrate, il 2023 è stato l’anno in cui tutti ne hanno pagato le conseguenze, ognuno a suo modo. Pensiamo a Bungie, uno studio storico che da dieci anni portava avanti il progetto Destiny, dopo essere stata acquisita da Sony che aveva investito del denaro nel supporto, è stata la prima che ha aperto le danze dei licenziamenti.
Non che prima non fossero stati comunicati dei tagli altrove, ma il caso di Bungie è una notizia con una cassa di risonanza estremamente importante e delicata. Da lì è stato un continuo aggiungere centinaia di numeri alla lista di licenziamenti, senza dimenticarci di alcuni studi che hanno proprio chiuso i battenti di colpo, quali Volition, creatori della saga di Saints Row, compreso il recentissimo capitolo reboot. Oppure i ragazzi di Mimimi Games che si erano dedicati allo sviluppo di piccole perle strategiche quali Shadow Gambit o togliere la polvere ad una saga quale quella di Desperados.
Entrambi giochi splendidi e realizzati di tutto punto ma segnati dall’aumento dei costi delle risorse di sviluppo e dall’assenza di soggetti interessati a investire denaro per cinque anni di lavori. Gli stessi sviluppatori non volevano più vivere queste situazioni di stress per un altro lungo periodo, preferendo dunque chiudere i battenti. Questa è la dimostrazione che, al netto dei problemi globali degli ultimi anni, è proprio l’infrastruttura di supporto al settore che dovrebbe essere rivista totalmente.
Costi e sviluppo
È risaputo ormai che un titolo come Red Dead Redemption 2 è stato un gioco che ha richiesto più di 7 anni di sviluppo e una cifra non ben definita che si attesta tra i 350/450 milioni di dollari di budget, ma parliamo di Rockstar, una vera e propria istituzione che può avere questo lusso, certa di rientrare facilmente in questi costi, ma tutti gli altri studi?
Il costo per un gioco Tripla A, oltre agli anni di sviluppo, si attesta ormai sempre attorno una cifra indicativa di circa 200 milioni di dollari, soldi che comunque devono essere investiti a fronte di un progetto con obiettivi comuni. Ma quando questa cosa non avviene, cosa succede? Fioccano i Cyberpunk 2077, con un gioco che palesemente è stato realizzato in meno di tre anni e al lancio questo è stato evidente a tutti. Oppure gli Anthem, altro titolo su cui hanno paventato anni e anni di sviluppo, ma i report hanno svelato le difficoltà produttive e il gioco riorganizzato tutto da zero in meno di due anni, tempi assolutamente improponibili al giorno d’oggi.
La storia non cambia per gli studi più piccoli, sicuramente più liberi sul fronte creativo, ma anche nella scelta di poter attuare strategie di sviluppo e di lancio azzardate, alcune volte funzionali, altre meno. Anche lì, la possibilità di sviluppare giochi con team ridotti (30-50 persone) e fondi minori, possono regalare margini migliori di sostentamento in caso di ottime vendite di un gioco (pensiamo al successo mondiale di Hades ad opera dei ragazzi di Supergiant Games), ma siamo tutti privi di una sfera di cristallo per capire quanto effettivamente un gioco possa trovare spazio in un mercato oggettivamente saturo e pieno di competitor.
Il futuro
Cosa aspettarci dal futuro? In prima battuta è facile poter osservare come tutti questi licenziamenti siano alla stregua di una manovra correttiva per cercare di ristabilire un equilibrio che è andato a perdersi molto tempo fa, quando la sfera capitalista ha inglobato il mercato annientando ogni valore umano come delle persone che lavorano nel settore e che con questo lavoro ci riempiono il frigo di casa.
Per quanto in un contesto sicuramente non gioioso, queste manovre dovrebbero almeno sulla carta, portare a dei miglioramenti nel futuro. Basti guardare anche come le stesse major o publisher stiano cambiando alcuni obiettivi produttivi. Sony che voleva lanciare diversi live service nel corso dei prossimi anni ora sta facendo dietrofront, questo perché mentre l’utenza chiede più storie singole, offline e appassionate, vengono sfornati sempre più giochi multiplayer, co-op online che hanno un ciclo vitale davvero breve.
Assisteremo ad altri licenziamenti anche in questo 2024, è triste quanto inevitabile e il trend sembra rivedere le stime di questo anno fiscale in modo opposto ai sogni di investitori e consigli di amministrazione. Dal check up emerso, ci sono tanti virus da debellare, ricominciare con una dieta sana, vivere il momento ed evitare le abbuffate videoludiche o meglio, vivere il prodotto che abbiamo tra le mani fino all’ultimo sorso. Che tutto il settore possa seguire la prescrizione del medico e anche i consigli del pubblico, che male non fanno.
Nota a margine: nel momento in cui questo articolo è stato redatto, non si sono fermati i licenziamenti e diretti progetti videoludici che sono stati cancellati. Solo nel mese di gennaio 2024 circa 5000 persone sono state licenziate (numeri impressionanti se confrontate con i 10.000 licenziamenti avvenuti in tutto il 2023) da studi molto importanti quali Square Enix, Eidos e Microsoft.
A sottolineare quanto questo è un periodo di forte riassestamento del settore, dove a pagarne le conseguenze saranno le persone che dovranno ricollocarsi, ma altro elemento visibile di quanto il settore sia affetto da tanti virus che necessitano di essere curati, uno alla volta.
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