Dal 15 gennaio, in contemporanea con l’uscita statunitense, True Detective: Night Country è arrivata sugli schermi grazie a Sky e NOW. Un’attesa particolare, quella per la nuova stagione, che ha riempito fan e curiosi di dubbi e domande. Inevitabile, se si pensa a questo show come la prima produzione lontana dall’egemonia creativa di Nic Pizzolatto: lo storico creatore della serie, al timone per tre stagioni, ha mollato la presa dopo alcune diatribe interne con HBO e al momento figura “solamente” fra i produttori esecutivi. Oltre ai particolari squisitamente produttivi, auguri di derive particolarmente potenti rispetto al passato, l’inizio di Night Country è servito soprattutto a rendere evidente un cambio di rotta ancora da decifrare.
Issa Lopez, autrice in rampa di lancio, ha curato nei minimi dettagli quest’opera, dallo script alla regia, affidandosi al talento di due protagoniste potenti e caparbie come il Premio Oscar Jodie Foster e Kali Reis. Un grido al cambiamento dalla chiara voce (e prospettiva) femminile, ma che dimostra sin da subito un profondo rispetto (e una profonda conoscenza) del lavoro di Pizzolatto e soci. Forse per la prima volta, l’ingombrante leggenda della prima stagione sembra esser trattata per ciò che è: un’ispirazione costante, indimenticata e indimenticabile, ma ben lontana dal porsi come metro di paragone in sede di giudizio. Questo approccio, perno centrale dell’opera, dà la sensazione che Night Country sia più True Detective che mai, trainato da quella letterarietà costante che aveva contraddistinto la penna delle prime stagioni ma con abbastanza coraggio da nuotare in quell’abisso dove crimine e orrore generano mostri.
Tra vecchio e nuovo
L’impatto iniziale, tra tradizione e tradimento delle aspettative, lascia spazio a diverse domande. Come nell’epopea di Carcosa in cui Rust e Marty si immergevano esattamente dieci anni fa, le gelide terre d’Alaska aprono il loro racconto oscuro con una citazione al Re in Giallo di Robert W. Chambers: i pilastri che hanno reso iconica la prima stagione di True Detective tornano su schermo in una rivisitazione stilistica che continua ad avvilupparsi intorno a demoni all’apparenza sempre più effimeri, ma mai domi. In un contesto nuovo, dove le ombre si mescolano alle tenebre e pochi riescono a squarciare il buio, Issa Lopez attinge a piene mani dai propri maestri per dar vita a un dedalo che mescola sapientemente vari rimandi.
True Detective ha segnato chiaramente lo spirito dell’autrice, prima ancora che la sua mano: come descritto anche nei crediti dello show, Pizzolatto non è più l’autore che ragiona sulla propria creatura, ma un modello da seguire (e da rispettare) per poter chiudere le porte col passato – forse una volta per tutte. Non è un caso che, proprio nel tentativo di emergere in tutto il suo stile, il primo episodio citi apertamente La sfinge dei Ghiacci di Jules Verne per la sua Tsalal, richiamando proprio quell’orrore gelido nato per omaggiare Edgar Allan Poe. La Lopez sembra costruire lo stesso parallelo per omaggiare Pizzolatto e la sua mitologia attraverso un orrore celato pronto a prendere il sopravvento. Un dualismo da sempre presente nella serie, che qui trova la sua espressione più brillante nel portare in scena un racconto di anime perdute che danzano nella notte eterna in cerca di risposte.
Un citazionismo d’autore
Tralasciando almeno in parte il potenziale della narrazione, con un caso che rappresenta soltanto la punta dell’iceberg, l’aspetto più sorprendente di Night Country risiede proprio nella visione della sua sorprendente autrice: Issa Lopez si muove con sicurezza tra le spire di una storia sempre più articolata e complicata da gestire, e lo fa con uno sguardo che si pone esattamente a metà tra la prospettiva autoriale e il citazionismo sfrenato. Forse è ancora presto per poter giudicare il suo operato, ma è bastato un solo episodio per notare un’attenzione quasi maniacale per il processo deduttivo e la costruzione delle atmosfere. Le ispirazioni qui non vanno solamente a richiamare gli orrori di Carcosa, ma osano scomodare persino Twin Peaks.
L’arte di David Lynch, ostinatamente ricercata nel tentativo di rappresentare un dualismo tra la prospettiva del caso e una dimensione onirica carica di simbolismi, rappresenta il mezzo ideale per permettere ai personaggi e al contesto (forse mai così protagonista) di aprirsi agli occhi dello spettatore. Night Country è un’opera consapevole del proprio potenziale, ma anche delle sue responsabilità, che nello sviluppo della sua struttura non ha paura neppure di citare La Cosa e Carpenter – tenendo sempre fede a quel gioco di rimandi e “spirali” senza fine. Il risultato, almeno in queste prime battute, è un prodotto denso e carico di significato, che gioca costantemente con lo spettatore moderno perché sa esattamente quanto sia cambiato in questi ultimi dieci anni – dall’ossessione per il true crime all’esperienza del pubblico.
Un (vero) ritorno all’abisso?
Se non altro, la Lopez sta dimostrando di nutrire una profonda ammirazione per True Detective, al punto da curare in maniera così profonda ogni aspetto della produzione. Tra distanze e silenzi, orrori ed errori, Night Country ha tutto il potenziale per scaldare il cuore di curiosi e appassionati con un a storia ben più centrata e ispirata (almeno all’apparenza) rispetto al dialogo ingolfato dell’ultimo Pizzolatto. Riprendere l’essenza più pura di True Detective, senza scadere nella ridondanza, per poter comunicare il proprio messaggio è forse il miglior risultato possibile per un’opera che ha rischiato più volte di crollare sotto il peso del suo stesso successo.
Se le premesse dovessero rivelarsi tali, ci troveremmo davanti al miglior True Detective “umanamente realizzabile” visto finora. Certo, la costante ripresa di certi temi ed elementi, specie se svolta con una metodica tanto attenta, potrebbe insinuare il dubbio che si tratti di un compitino svolto ad hoc per riacchiappare l’appetito dei fan lontani dalle derive autoritarie di Pizzolatto. Di certo, la sensazione è che l’operato di HBO, almeno questa volta, non voglia mostrarsi come una tomba per le ambizioni: c’è vita oltre Carcosa. Per uno show come True Detective, l’idea di osare da una parte, riproponendo certi stilemi in chiave diversa, potrebbe davvero essere l’unica via possibile per tornare a convincere, anziché dividere.
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