È un vero peccato che The Holdovers – Lezioni di Vita arrivi in sala così tardi rispetto all’uscita statunitense. Il nuovo lungometraggio diretto da Alexander Payne, infatti, è ambientato durante il periodo natalizio e, per quanto possa sembrare scontato, l’ambientazione temporale ha una grande importanza nella costruzione diegetica di questo piccolo gioiellino interpretato da Paul Giamatti. In effetti, come si vedrà più ampiamente nella nostra recensione di The Holdovers, il film per cui Paul Giamatti ha di recente vinto un Golden Globe alla miglior interpretazione maschile in una commedia, è a tutti gli effetti un film di Natale, sebbene abbia il retrogusto amaro della perdita e della nostalgia.
The Holdovers – Lezioni di vita
Genere: Commedia, drammatico
Durata: 133 minuti
Uscita: 18 gennaio 2024 (cinema)
Cast: Paul Giamatti, Da’Vine Joy Randolph, Dominic Sessa, Carrie Preston, Tate Donovan
Il Natale come maestro di vita
Esistono dinamiche interne al mondo della distribuzione cinematografica che rendono spesso difficile intuire le motivazioni che si celano dietro una determinata scelta: The Holdovers – Lezioni di vita è, come dicevamo appena qualche riga più su, un vero e proprio film di Natale, che però arriva da noi il 18 gennaio, quando l’albero è tornato in cantina, impacchettato insieme al nostro spirito natalizio. Quasi in concomitanza con quel Blue Monday che viene descritto come il giorno, in media, più triste dell’anno. Naturalmente, dato che le case di distribuzione non sono onlus che spargono sapere e conoscenza – come piacerebbe a molti intellettuali -, il primo obiettivo da raggiungere è il profitto ed è chiaro che un film “di nicchia”, dall’anima profondamente indie, non sarebbe uscito vivo da una stagione cinematografica come quella natalizia dominata da altre pellicole destinate a richiamare il pubblico italiano in sala. Pur comprendendo queste “mosse strategiche”, dispiace che The Holdovers non abbia potuto fare affidamento su una coerenza tra il tempo del racconto e il tempo dello spettatore: di sicuro l’impatto sarebbe stato più forte se il film fosse stato visto nel mezzo delle vacanze di Natale.
Questo perché il motore del film è la scelta – obbligata, più che altro – di un insegnante scontroso e burbero (Paul Giamatti), di rimanere alla Barton Academy, una scuola privata per ricchi ragazzi bianchi, in modo da fare da “sorvegliante” ai ragazzi che non possono tornare a casa e passare il Natale con le loro famiglie. Tra questi c’è anche Angus (Dominic Sessa), un adolescente fondamentalmente buono, ma con problematiche che lo portano a scontrarsi col suo insegnante, altrettanto problematico. In questa piccola cornice ammantata dal bianco della neve che cade e dal silenzio delle aule vuote, tra studenti ricchi e arroganti e borsisti con una forte nostalgia di casa, trova spazio anche la cuoca Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph), che ha recentemente perso il figlio in Vietnam e resta alla Barton solo perché questo è l’ultimo luogo in cui lei e suo figlio sono stati insieme, felici.
La storia si dipana soprattutto intorno a questi tre personaggi sconfitti, schiacciati da una vita che sembra avere in serbo per loro solo delusioni e sconfitte. Nel periodo che va dalla Vigilia di Natale fino a Capodanno, The Holdovers punta la sua macchina da presa su tre solitudini che decidono di prendersi per mano, di coesistere anche quando la convivenza porta a menzogne, scoppi d’ira o tentativi di fuga. Si tratta di un film che, pur coi toni delicati di una commedia d’autore, non può fare a meno di una profonda e struggente malinconia, una nostalgia dell’anima che serve a ricordare a chi guarda come il Natale non sempre sia il The most wonderful time of the year, ma un buco nero che ingoia la luce, un mostro assettato di dolore, che ingigantisce le assenze e sottolinea le mancanze: degli affetti, delle ambizioni, dei sogni per il futuro. La società vuole che a Natale siamo tutti più buoni, ma la realtà – come ci ricorda il film di Alexander Payne – è che a Natale siamo tutti un po’ più soli, con l’unica compagnia dei fantasmi del nostro passato.
Niente di nuovo, ma nulla di sbagliato
Il nuovo film di Alexander Payne non è uno di quei lungometraggi che possano essere applauditi per il coraggio o per l’originalità. Al contrario, The Holdovers, pur nella sua corrente indipendente, è un film abbastanza canonico, che sembra rispondere ai canoni dettati dal genere, come se stesse seguendo una ricetta specifica e il regista stesse spuntando un’immaginaria lista da seguire, punto per punto. È fin troppo facile, ad esempio, notare tutti i vari riferimenti a L’attimo fuggente, con il corpo docenti che sembra indossare gli stessi abiti di quelli presenti nel film con Robin Williams. Persino la stanza solitaria in cima ad una torre sui generis dove vive il protagonista sembra una rivisitazione di quella del professor Keating.
Al di là di questi paragoni che servono fino a un certo punto, e che riguardano anche altri film come Breakfast Club e Will Hunting – Genio Ribelle, The Holdovers è un film dove tutto è abbastanza prevedibile, le dinamiche tra i personaggi, così come il finale dolce-amaro. Questo fa sì che lo spettatore non riceva sorpresa alcuna durante la visione, ma d’altra parte The Holdovers non è propriamente un film pensato per colpire o sconvolgere. È un film che vuole al contrario far riflettere sui complicati sentimenti che abitano un essere umano, l’intreccio di malinconia e rabbia. Si tratta, dunque, di un film character driven, che si concentra più sui personaggi che sulla storia. Un tipo di pellicola che deve piacere, perché altrimenti corre il rischio di apparire fin troppo lenta e vuota a un pubblico abituato a ben altri ritmi.
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La recensione in breve
Alexander Payne, con The Holdovers, dirige un film di Natale sui generis, pieno di malinconia e timori struggenti. Non un film particolarmente originale o sorprendente, ma una bella riflessione sulle dinamiche umane e su come il Natale non debba essere per forza il periodo più bello dell'anno
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Voto ScreenWorld