Cos’altro avrà mai da dire Woody Allen che non ci abbia già raccontato? Un quesito che ci siamo posti con l’arrivo in sala del suo 50° film, Un colpo di fortuna, dal momento che Woody Allen – giunto alla soglia dei 90 anni, è riuscito a stupirci come non accadeva da ormai da diverso tempo.
Costruito su premesse familiari e argomenti chiave nella sua filmografia, con Un colpo di fortuna Allen riesce però a variare sul tema confezionando un film fresco e capace di parlare al pubblico di oggi con la stessa vivacità dei suoi classici di trenta o quarant’anni fa. Qualcosa che rende immediatamente riconoscibile il marchio di fabbrica del regista newyorkese e che allo stesso tempo definisce il film come opera a sé stante.
Fine delle illusioni, fine del sogno
“Ho conosciuto un uomo meraviglioso. Sì, certo, è un personaggio immaginario – non esiste nella realtà – ma non si può avere tutto”. Era il 1985 quando Woody Allen metteva in bocca a, Cecilia il personaggio interpretato da Mia Farrow ne La rosa purpurea del Cairo, questa battuta che riassume molto bene il ruolo centrale delle illusioni nel suo cinema. Illusioni che sfociano in sogni e di cui il cinema, ovviamente, rappresenta la metafora perfetta.
Anche Fanny, la protagonista di Un colpo di fortuna, vive un’illusione e si rifugia, se vogliamo, in un’altra. Intrappolata, più o meno consapevolmente, in un matrimonio infelice con Jean, un marito traffichino e manipolatore, si imbatte in Alain, un ex compagno di liceo, diventandone l’amante. Un colpo di fortuna – termine che Allen intende nel senso di týchē, sorte, che cambierà per sempre le esistenze delle persone coinvolte: dal marito tradito che decide di far uccidere l’amante a quella della stessa protagonista che alla fine apre gli occhi sul reale lasciando da parte qualunque genere di fantasticheria.
Una forma di disillusione che il regista svela a poco a poco, facendo sì che la protagonista torni a guardare il mondo per quello che è realmente, ponendosi in netta contrapposizione rispetto a tutti i personaggi alleniani che preferiscono rifugiarsi nella luminosità di un sogno piuttosto che nel grigiore della realtà. Un aspetto che il regista riesce a raccontare in modo nuovo rispetto a quanto fatto precedentemente (pensiamo ad Alice del 1990) mettendo al centro una figura femminile che gradualmente si emancipa dal marito e dal ricordo dell’amante: uomini bambini che, pur diversamente, la considerano un trofeo.
Tra dramma e commedia
Il conflitto interiore di Fanny e il risvolto thriller della vicenda sono però smorzati da quei tempi comici che hanno reso Woody Allen semplicemente Woody Allen. Questo dà vita a una commistione particolarmente riuscita in cui elementi noti vanno a generare qualcosa di inedito e familiare allo stesso tempo.
Ne deriva che Un colpo di fortuna non è Match Point, ma neanche Crimini e misfatti, Scoop o Misterioso omicidio a Manhattan perché il film ci racconta una storia diversa, nonostante gli innumerevoli punti di contatto. Ma del resto il cinema di Allen è così, da sempre.
Ecco perché per svelare il film non bisogna dimenticare che i punti cardine della filosofia alleniana non sono mai cambiati, semmai cambia il modo in cui lui ce li propone raccontandoci di volta in volta una storia diversa. Una storia in cui il senso dell’esistenza è tutto da decidere, in cui il caso gioca un ruolo preponderante ma in cui comunque è sempre possibile sorridere di fronte a noi stessi. Non dimentichiamo infatti che Allen nasce come stand-up comedian e che i suoi primi film, di fatto, sono comici. Una comicità, la sua, che è più di un genere è che è chiaramente legata al suo background culturale ebraico e che, come è noto, è stata spesso ibridata con toni più drammatici.
Parigi come New York
In questo modo Allen torna a riflettere su uno dei temi a lui più cari, quello della casualità che condiziona la vita delle persone, con una storia di tipi umani che si muovono di una Parigi ancora una volta fotografata come una cartolina, idealizzata come lo è sempre stata la sua amata New York “la città che pulsava dei grandi motivi di George Gershwin”.
Lontano dal trambusto metropolitano, tra location iconiche come i Jardin du Luxembourg e Avenue Montaigne, e spazi chiusi quasi anonimi, la Parigi di Allen risente chiaramente dei riferimenti culturali del regista pur svincolandosene allo stesso tempo; questo permette al regista di trovare quel già citato equilibrio tra inedito e familiare, dando vita a un nuovo teatro su cui far muovere i propri personaggi.
Perciò, con una Parigi mutevole come la sorte, Un colpo di fortuna non è Midnight in Paris ma neanche Tutti dicono I love you; così come, del resto, New York – che comunque ritroviamo nel background di Fanny e Alain, non è mai rimasta troppo simile a se stessa nel cinema di Allen.
Perché, pur da eterno nostalgico, Woody Allen – il più europeo tra gli americani ma al contempo permeato di cultura americana – non ha mai smesso di raccontarsi in modo diverso pur restando ancorato ai suoi fondamentali punti di riferimento. Forse proprio per questo che, a ottantotto anni appena compiuti, è riuscito a confezionare il suo primo film in lingua francese raccontandoci una storia che vale la pena di essere gustata e restando sempre e comunque fedele a se stesso.
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