Nel 2008 un preciso cinecomic è riuscito a entrare nell’immaginario collettivo e a venire considerato uno degli esempi più raffinati e preziosi dei supereroi sul grande schermo. Stiamo parlando de Il Cavaliere Oscuro, secondo episodio della trilogia dedicata a Batman di Christopher Nolan, con protagonisti Christian Bale e Heath Ledger nei panni di un indimenticabile Joker. Il Cavaliere Oscuro è riuscito ad affrontare un genere che veniva considerato infantile sotto una luce più matura e adulta, più seria e tragica, dove l’eroe, alla fine della storia, era costretto a distruggere la propria icona, diventare “l’eroe che Gotham merita, ma non quello di cui ha bisogno adesso”. Fu una rivoluzione per l’approccio supereroistico al cinema.
Di lì a poco la Warner Bros. avrebbe cercato di replicare il mood dell’operazione di Nolan con Zack Snyder e il suo Uomo d’Acciaio e la Marvel avrebbe reagito quasi immediatamente con l’inizio di quell’universo condiviso che continua a sfornare successi, andando proprio all’opposto del tono: solare, colorato, pop, ironico. Tredici anni dopo, i Marvel Studios utilizzano il loro personaggio di maggior successo per compiere un’operazione sul ruolo dell’eroe molto simile a quanto narrato da Nolan.
Lo fanno a loro modo, mettendo e togliendo una maschera, forgiando un nuovo costume e un nuovo supereroe, diverso da quello che lo spettatore aveva conosciuto nei primi due film legati al personaggio. Lo fanno compiendo un’operazione eccezionale e mai vista al cinema, rivoluzionaria, coraggiosa e incredibilmente riuscita (qui trovate la nostra recensione del film). Una volta giunti ai titoli di coda si ha una sensazione degna del miglior arrampicamuri di quartiere, un senso di ragno che fa venire la pelle d’oca. Il pensiero che Spider-Man: No Way Home sia Il Cavaliere Oscuro per le nuove generazioni.
Attenzione: contiene spoiler!
Questione di tono
Prima di procedere con la nostra analisi è necessario compiere un passo indietro e fugare ogni dubbio, perché ci si potrebbe domandare come sia possibile che due film così diversi nel tono e nel senso del divertimento possano assomigliarsi così tanto. Per farlo bisogna spogliare i film degli abiti che indossano e che nascondono il cuore della storia: Batman è un adulto, un pipistrello notturno che vigila a Gotham City, una città corrotta e marcia; Spider-Man è un ragazzino, con la sua visione del mondo meravigliata, a suo modo viziato (non ha davvero mai lottato per diventare Spider-Man, ricevendo tute, tecnologia e scorciatoie al suo percorso attraverso Tony Stark), inserito nella nevrotica e vitale New York.
Non è una questione di tono, perché entrambi i film, al di là della superficie, mettono in scena il momento più cupo e basso dell’eroe. Attraverso l’arrivo di un villain capace di portare l’anarchia e il caos (l’imprevedibilità del Joker, la doppia personalità di Osborn) e togliergli una delle persone più care, collante di un equilibrio, soprattutto mentale, che l’eroe è costretto a perdere. All’interno del Marvel Cinematic Universe, Spider-Man: No Way Home rimane fedele e coerente, per gran parte del film, al tono imposto della saga, perché il pubblico di riferimento è soprattutto quello dei giovani adolescenti, coetanei del protagonista e perfettamente inseriti in una società contemporanea (con tutta la diversità di raccontare le storie, di osservare uno schermo, di concepire l’umorismo e rappresentare lo zeitgeist del 2021), ma è pronto a cambiare il peso tragico degli eventi alla prima occasione.
Le due facce di una moneta
La morte di Rachel e la morte di May. La prima è il punto di non ritorno di Batman/Bruce Wayne e di Harvey Dent/Due Facce; la seconda di Peter Parker, ricolmo di rabbia e con il forte desiderio di vendetta. La stessa ira che trasforma l’amato procuratore interpretato da Aaron Eckhart in un uomo sfiduciato dal sistema giuridico e che lascerà al lancio di una moneta il destino degli altri. Una moneta a due facce come lo sono Bruce e Harvey: è grazie al loro scontro e al loro conflitto che Il Cavaliere Oscuro rappresenta il tema fondamentale della storia, quel “Morire da eroe o vivere tanto a lungo da diventare il cattivo”. In Spider-Man: No Way Home questo conflitto compie un passo in avanti: le facce della moneta raffigurano entrambe Peter Parker, quello del presente e quelli del passato. Lo scontro è, come nel film di Nolan, quasi più intellettuale che fisico.
Il Peter Parker di Tom Holland si confronterà con i Peter Parker di Tobey Maguire e Andrew Garfield, e viceversa. Ognuno porterà le proprie esperienze, il proprio vissuto, i propri dolori e il proprio bagaglio di scelte. Soprattutto, avranno modo di confortarsi a vicenda, conferendo al Peter giovane una consapevolezza del proprio ruolo maggiore rispetto all’inizio. La domanda è sempre una: cosa significa essere un eroe? Venendo a conoscenza del proprio opposto e del proprio what if (che sarebbe successo se Bruce Wayne fosse diventato come Harvey Dent?), il protagonista prenderà la decisione che lo forgerà, diventando finalmente un eroe compiuto.
Morire da eroe
Ogni scelta comporta una conseguenza. O, per dirlo con una frase da tutti conosciuta, da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Per rinascere bisogna prima un po’ morire. Alla fine del film di Christopher Nolan, l’eroe smette di essere Batman e rinasce come Cavaliere Oscuro (tanto che persino il sequel ne mantiene questa denominazione); alla fine di Spider-Man: No Way Home, Peter Parker è costretto ad abbandonare ciò che lo rendeva Spider-Man (almeno fino a questo momento) e ricominciare da capo. L’incantesimo di Strange, che fa perdere la memoria all’intero mondo sull’identità del protagonista, è un reboot identitario che cancella la versione di Spider-Man del MCU fin qui conosciuta, facendolo di fatto morire. Al posto dell’appartamento di lusso, un monolocale fatiscente; invece di un intero set Lego molto costoso, un semplice mattoncino; nessuna tuta tecnologia, avanzata e _smart_ firmata Stark Industries, ma un costume realizzato a mano con una macchina da cucire.
Spider-Man: No Way Home definisce il supereroe che tutti noi amiamo facendogli compiere un passo indietro, nell’ombra, per andare avanti. Non dissimile dalla decisione finale presa da Bruce Wayne, quella di Peter Parker completa il percorso di responsabilità che il personaggio sembrava mancare da troppo tempo. Perché un eroe è anche e soprattutto questo: compie scelte difficili e impopolari, deve scontrarsi con sé stesso e da quello scontro far nascere la sua versione migliore, sacrificandosi per il bene comune. Spider-Man: No Way Home riassume al meglio, ad altezza di adolescente, cosa vuol dire crescere. Per diventare eroi che meritiamo di essere.