Doctor Who è ufficialmente arrivato su Disney+ con il primo di tre nuovi speciali dedicati all’atteso ritorno del cult televisivo britannico. Un nuovo inizio per lo show, rinvigorito dall’accordo siglato tra BBC e Disney per la distribuzione della serie in tutto il mondo, segnato però da un ritorno al passato: David Tennant e la companion Donna Noble (Catherine Tate), sua spalla più apprezzata, sono i vecchi, nuovi protagonisti della transizione verso la prossima rigenerazione del Dottore, con lo showrunner Russell T. Davies nuovamente al timone della produzione. Superata la complicata gestione di Chris Chibnall e il primo Dottore donna di Jodie Whittaker, gli spettatori e i fan si aspettano di ritrovare nei loro volti del cuore tutti gli elementi che hanno reso il revival di Doctor Who uno dei più grandi successi della tv moderna.
Bisognerà ancora attendere qualche settimana per capire se le storie raccontate per il sessantesimo anniversario saranno valide quanto le stagioni più fortunate della serie, ma il ritorno di Davies e il breve reintegro di Tennant potrebbero bastare a soddisfare l’appetito dei fan in attesa di Ncuti Gatwa, già rivelato come prossimo Dottore. Con le sue stagioni storiche prima, ma soprattutto con il percorso del “New Who” iniziato diciotto anni fa, Doctor Who ha sempre avuto un grande talento nel muoversi verso strade inesplorate. Mescolando sapientemente nuove idee a un particolare fan service (colmo di scelte stilistiche ed elementi ricorrenti) la produzione BBC è riuscita a raggiungere vette elevatissime, ma si trova più che mai a uno snodo importante della sua storia. Dopo tutti questi anni, ha ancora senso che Doctor Who vada avanti?
Occorre riflettere su una risposta che potrebbe sembrare scontata, narrativamente parlando, ma che non lo è affatto da un punto di vista comunicativo. Non più, almeno.
Un’icona moderna
Proprio Russell T. Davies, lo showrunner da cui cominciò la rinascita nel lontano 2005, è oggi chiamato a fare il miracolo. BBC e Disney si aspettano che Doctor Who riesca a consolidarsi come nuovo fenomeno mondiale, attirando tanti nuovi spettatori grazie a una distribuzione su larga scala e stuzzicando nuovamente l’appetito dei fan di vecchia data. Lecito chiedersi, specialmente da profani, cosa abbia permesso a uno show all’apparenza sconclusionato, noto per la sua semplicità e leggerezza, di brillare tanto in un contesto televisivo sempre più ambizioso e competitivo. La risposta al quesito è molto più complessa e affascinante di quanto potrebbe apparire a uno sguardo poco attento.
Al di là dell’ovvia importanza culturale per il suo paese d’origine, ciò che ha contraddistinto da sempre il valore di Doctor Who (specialmente ai giorni nostri) è il suo elevatissimo grado di rappresentatività: per molti, lo show BBC è a tutti gli effetti un manifesto per lo UK nel mondo. Non è un caso che, proprio per questa ragione, quasi tutte le eccellenze britanniche abbiano in qualche modo contribuito a rendere lo show ciò che è oggi. Il percorso avviato da Davies e proseguito da Steven Moffat (già autore di Sherlock) non ha solamente assunto i connotati della produzione patriottica, ma ha mostrato le incredibili potenzialità di un’opera in cui è possibile ridere di gusto, emozionarsi, riflettere e persino apprendere qualcosa tra un’avventura e l’altra.
I temi di Doctor Who
Spiegare a parole il perché ci sia questo effetto tanto appetibile è tutt’altro che semplice. Difficile stabilire se sia dovuto più alla forza culturale britannica o al grande cuore profuso in storie che appassionano e fanno appassionare. A ritmi scostanti ed eccessi episodici si contrappongono picchi narrativi enormi, interessanti rappresentazioni culturali e costruzioni narrative geniali: che si tratti di personaggi curiosi o di cast talentuosi, Doctor Who è riuscito a farsi baluardo della modernità ed emblema del post-moderno. Tra citazioni, rimandi più o meno attuali e tematiche sempre di peso, la serie ha assunto le caratteristiche di un fenomeno generazionale capace di accompagnare giovani e adulti verso i nuovi orizzonti di un tempo colmo di cambiamenti.
Proprio la novità è un concetto chiave per questo show che dal passato ha sempre cercato di trarre ispirazione per smuovere le coscienze, invitando ad abbracciare il cambiamento con la mente aperta e la speranza nel cuore. In questo senso, ogni stagione e ogni Dottore hanno rappresentato dei momenti precisi della nostra storia, affrontando temi importanti senza aver paura di criticare in maniera più o meno aperta i problemi universali dell’uomo o alcune difficoltà del mondo contemporaneo. Ciò che più sorprende, al netto di scelte coraggiose e spunti più o meno azzeccati, è proprio l’idea di fare tutto questo seguendo l’epopea di un personaggio estremamente eccentrico: il Dottore è un essere geniale, enigmatico e cangiante, che pur essendo un alieno dimostra sempre di avere più cuore di chiunque altro (non a caso ne ha due, dalla nascita).
Il meglio di noi, tra contrasti e cambiamenti
Anche se questo primo special sembra più un’operazione nostalgia che possa scaldare nuovamente il cuore degli appassionati, Davies è riuscito a rimettere in carreggiata Doctor Who con il minimo sforzo. Questo perché è uno di quelli che più di chiunque altro ha compreso e assimilato il senso profondo del cambiamento attraverso la serie. L’evoluzione continua dello show, tra sprazzi di maturità e stimoli costanti provenienti da ogni dove, non ha mai reso facile appassionarsi al Dottore – specialmente se si ha la tendenza a cercare nuovi stimoli. Eppure, ciò che Davies ha dimostrato in un solo episodio, è proprio quel talento innato nel rappresentare un po’ del mondo attraverso ogni Dottore.
Lo special non è privo di difetti, ma è un buon punto di ripartenza per uno show che rischiava di perdere la propria identità dietro a storie poco efficaci per il pubblico. Mantenendo la propria, delicata natura senza tradire le aspettative, il Dottore conferma ancora di essere il migliore tra noi. Amabile e divertente, accorato e coraggioso, David Tennant ci ricorda con semplicità ed eleganza perché è importante che il Dottore sia ancora qui. Anche oggi. Al netto di qualche sbavatura, è bastato rivedere quella sensibilità emotiva nel rappresentare un mondo che cambia, quel guizzo nel parlare a tutti con l’intenzione di far riflettere su ciò che conta davvero, per ritrovare il valore (culturale e non) di un’opera come Doctor Who. Con The Star Beast, Davies e soci hanno poggiato le giuste basi per preparare (e prepararsi) all’ennesimo cambiamento – questa volta di portata universale.
Il futuro di Doctor Who
Dopo il ritorno di David Tennant, giusto il tempo di questi episodi speciali, arriverà la tanto attesa quindicesima rigenerazione che permetterà a Ncuti Gatwa di vestire i panni del Dottore. La star di Sex Education sarà quindi il volto di un nuovo, epocale cambiamento per Doctor Who. I dubbi sulla riuscita di questa maxi-operazione continuano a esserci, inutile negarlo viste le molte difficoltà e le grandi ambizioni di Disney; ma si percepisce chiaramente una lucidità che non si avvertiva da tempo. Anche di fronte a cambiamenti così importanti, la chiarezza espressiva e lo stile dei tempi d’oro danno più di qualche speranza.
Pensando al quesito del titolo, appare evidente che la risposta sia ancora positiva, ma non ci sono parole migliori del miglior autore britannico, Steven Moffat, per spiegare perché abbiamo ancora tanto bisogno di Doctor Who:
“Gli eroi sono importanti. Ci dicono qualcosa su noi stessi, su chi vorremmo essere. Quando hanno creato questo eroe non gli hanno dato una pistola, gli hanno dato un cacciavite per aggiustare le cose. Non gli hanno dato un carro armato, una corazzata o un caccia X-Wing, gli hanno dato una cabina telefonica da cui puoi chiamare aiuto. E non gli hanno dato un superpotere, orecchie a punta o una pistola a raggi laser. Gli hanno dato un cuore extra. Gli hanno dato due cuori. E questa è una cosa straordinaria. Non ci sarà mai un momento in cui non avremo bisogno di un eroe come il Dottore.”
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