Ora lo possiamo dire: L’attacco dei giganti è ufficialmente finito. A voler essere precisi il percorso dell’opera di Isayama era arrivato a conclusione già due anni fa, prima con la pubblicazione del capitolo 139 e infine con l’uscita del volume 34 che andava ad aggiungere alcune tavole finali. Mancava all’appello solo l’anime, la cui realizzazione dalla quarta stagione è stata gestita dallo studio MAPPA con tempi e dinamiche distributive a dir poco particolari. Prima due blocchi da 16 e 12 episodi rilasciati a un anno di distanza l’uno dall’altro. Poi un terzo blocco, diviso a sua volta in due macro-puntate rispettivamente da 60 e 85 minuti, rilasciate a svariati mesi di distanza l’una dall’altra. Una gestione che nel tempo ha un poco raffreddato i sentimenti dei fan per la serie.
Alla fine però è arrivato anche quest’ultimo macro-episodio, uscito in contemporanea in tutto il mondo su Crunchyroll lo scorso 4 novembre. La rivoluzionaria opera di Isayama, di cui non solo l’industria orientale ma tutta l’industria dell’intrattenimento dovrà tener conto in futuro, si è conclusa definitivamente. Le critiche, tanto dopo la fine del manga quanto dopo quella dell’anime, non sono mancate.
Ma, come vedremo nella nostra spiegazione del finale de L’attacco dei giganti e nell’analisi del suo significato, si tratta di un epilogo perfetto e coerente col percorso decennale dell’opera e le lamentele, come e più che con Il trono di Spade, sembrano derivare dai capricci degli spettatori e dei lettori.
L’attacco dei giganti: lo scontro finale
Riprendiamo il racconto da dove lo avevamo lasciato mesi fa, nella prima parte di questo finale. Il gruppo di protagonisti sul velivolo, tra cui Armie, Mikasa, Levi, Jean, Reiner e Pieck, si lancia sulla schiena di Eren in modalità Gigante Fondatore. L’obiettivo è quello di trovare ed eliminare Zeke, in modo da recidere il legame tra i due e fermare il Boato della Terra. Armie viene però rapito quasi immediatamente da una creatura particolare e nel mentre compaiono delle copie di tutti i Giganti Mutaforma del passato. Inizia un combattimento che vede i nostri protagonisti rischiare di soccombere. Vengono salvati da Annie che arriva sulla schiena di Falco, il quale grazie al sangue di Zeke ha sviluppato la capacità di volare. Armie nel mentre si trova all’interno della coordinata e parla con un Zeke disperato. I due discutono dell’importanza dei piccoli momenti felici della vita.
Appaiono altri personaggi del passato, tra cui Berthold e il padre di Eren, interessati alle vicende del mondo e al discorso del ragazzo. Mikasa, Levi, Annie, Reiner, Pieck e Falco si riorganizzano e provano un ultimo disperato attacco, nel tentativo di fermare il Fondatore e liberare Armie. Ciò che è avvenuto all’interno della coordinata ha avuto un effetto: alcune copie dei Giganti Mutaforma prendono coscienza di sé e aiutano i protagonisti, mentre Zeke si palesa all’esterno, attirando l’attenzione di Levi per farsi uccidere e fermare il Boato, occasione che il Capitano non si lascia sfuggire. I Colossali si sono fermati e Armie, ormai liberato, decide di trasformarsi nel tentativo di distruggere le ossa del Fondatore. Tutto sembra ormai essersi risolto ma Eren si rialza, in forma di Gigante d’Attacco, per un’ultima offensiva. Armie gli si oppone in un durissimo scontro e Mikasa, si rende conto che deve intervenire per fermare l’amato. Entra nella bocca del Gigante e decapita Eren per poi baciarlo, in una scena tanto potente quanto coraggiosa.
L’attacco dei giganti: l’epilogo
Con quell’ultima scena si conclude nel manga il capitolo 138 e, a voler essere precisi, è quello il vero finale. Segue tutto il 139, che rappresenta principalmente un epilogo. Lo stesso avviene nella versione animata. Lo scontro è finito ma vediamo Eren e Armie da bambini che dialogano su quanto appena successo. Una scena con svariati cambi di scenografia in cui il ragazzo racconta all’amico di aver ucciso l’80% della popolazione e cancellato per sempre il potere dei Giganti, al fine di rendere eroi coloro che lo avrebbero fermato, cercando di creare un duraturo periodo di pace. Ma, nonostante l’anime rispetto al manga (l’unico momento di questo finale in cui si discosta) voglia essere più morbido e confusionario, è in questo momento che Eren ammette di essere un genocida. Che per lui la libertà è una terra desolata senza nessun tipo di ostacolo all’orizzonte.
Un dialogo spaventoso, anche se ripetiamo meno incisivo rispetto alla controparte cartacea, in cui Armie gli dice che non potrà essere perdonato per questo ma al contempo ammette anche di essere, lui come tutti i suoi compagni, un assassino pronto a uccidere i propri amici. Si torna al presente. A tutti gli eldiani tornano i ricordi: Eren li aveva avvertiti di quello che avrebbe fatto. Nell’epilogo vediamo che in realtà sia Paradise che Marlene si stanno organizzando per eventuali nuovi conflitti. Mikasa, dopo un dialogo con la Fondatrice, è tornata a Paradise per seppellire Eren. Vediamo il passare del tempo in una sorta di time-lapse: la ragazza è sempre stata vicino fino alla fine dei suoi giorni alla tomba dell’amato, sono in arrivo nuove città, nuovi sviluppi tecnologici, nuove guerre e di nuovo un ragazzo che entra alla base di un albero, simile a quello in cui la Fondatrice Ymyr aveva trovato il potere dei Giganti. Come direbbe Rust Cohle: “Time is a flat circle”.
La coerenza nel mondo crudele di Isayama
L’attacco dei giganti si apre con la tranquillità di un piccolo villaggio spezzata da un gruppo di giganteschi mostri. Strage in cui vediamo la madre del piccolo protagonista divorata davanti ai suoi occhi. Una dichiarazione d’intenti che magari, all’epoca, poteva sembrare poco più di un preambolo. Ma il percorso di Isayama, nonostante l’enorme quantità di misteri prima e di shockanti rivelazioni poi, è sempre stato una linea retta. Capitolo dopo capitolo (o episodio dopo episodio) abbiamo scoperto le decine di sfaccettature di un mondo che lo stesso autore, attraverso i suoi personaggi, ha costantemente definito crudele. Un’oppressione a tratti sfiancante, in cui anche i pochi casi di distensione non rappresentavano altro che un preludio ad un’ulteriore tragedia. Se per Hegel la guerra era motore della storia, in un percorso dialettico di sviluppo e di raggiungimento di una sempre maggiore libertà, per Isayama questo processo viene quasi ribaltato. Anche per l’autore giapponese, la guerra è senza dubbio il motore della storia.
Ma porta a uno sviluppo fittizio, un percorso ciclico e violento, in cui tutto viene costantemente riportato al punto di origine e dove anche il desiderio di libertà diviene genesi di male e dolore. Sempre rimanendo in ambito filosofico, potremmo dire che il pendolo che per Schopenhauer oscillava tra dolore e noia, per Isayama è fisso sulla prima posizione. Una conclusione mal digerita all’epoca da alcuni lettori e oggi da diversi spettatori. Eppure, nei due anni trascorsi dalla conclusione del manga, abbiamo visto quello stesso motore accendersi prima nel conflitto russo-ucraino e più recentemente nella tragedia israelo-palestinese. Il nostro sguardo è stato riportato sull’orrore della guerra, concetto che con negligenza cercavamo di omettere dalle nostre vite e su cui Isayama ha basato per dieci anni un manga indirizzato, teoricamente, a un pubblico di ragazzi.
Amori da recidere e piccoli momenti da preservare
Ripetiamo un concetto che sembra scontato ma non lo è. Isayama ha creato un’opera, dedicata principalmente a un pubblico adolescenziale, incentrata sugli orrori della guerra e il cui protagonista si rivela un genocida convinto delle proprie azioni. Il mondo intero, per oltre 139 capitoli e per svariate ore della trasposizione animata, ha fatto il tifo per lui nonostante, fin dall’inizio, il suo intento fosse piuttosto chiaro: uccidere tutti. “L’orrore ha un volto” esclamava il Colonnello Kurtz di Marlon Brando e per Isayama quel volto siamo noi, come razza e senza alcuna distinzione.
Anche l’amore, spesso visto e raccontato come forza trascendente e pura per definizione, è origine del male nell’opera dell’autore giapponese. Tutto ne L’attacco dei giganti nasce da quel sentimento, corrotto e mal riposto. Il dolore della Fondatrice Ymir e la sua conseguente rabbia nascono dall’amore. Lo stesso sentimento che Mikasa recide nel momento forse più distensivo e impressionante di tutto il finale dell’opera. Eppure quello stesso amore che non è in grado di lasciare indietro, la porterà a seppellire Eren, stargli accanto fino alla fine dei suoi giorni e far ripartire la stessa tragica storia.
Ma allora cosa esiste di buono ne L’attacco dei giganti? Cosa ci resta se tanto l’amore quanto la speranza nel futuro vengono meno e, anzi, diventano progenitori di un mondo crudele? Rimangono i piccoli e singoli momenti e la loro memoria. Quando tutto sprofonda, quando non si vede un domani, quando il sentimento ci intossica, l’unico appiglio a cui aggrapparsi sono degli attimi in cui eravamo felici. Istanti di serenità, in cui il tempo sembra fermarsi e con esso il dolore: giocare con una persona speciale o un pomeriggio d’infanzia insieme agli amici più cari. E allora grazie Isayama per averci regalato una visione così coerente, uno sguardo così tragico e soprattutto un’opera in grado di diventare uno di quei momenti a cui appigliarci lungo questa vita tragica, dentro questo mondo crudele.
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