Cosa succede quando un killer professionista sbaglia il suo bersaglio? Questa la premessa di The Killer, il nuovo film di David Fincher che, dopo essere stato presentato al Festival di Venezia (trovate la nostra recensione qui), è sbarcato su Netflix il 10 novembre. Costruito su una sceneggiatura di Andrew Kevin Walker (che nel 1995 scrisse anche Se7en), il quale adatta a sua volta la graphic novel omonima di Alexis “Matz” Nolent e Luc Jacamon, The Killer segue un misterioso sicario senza nome (interpretato da Michael Fassbender), il quale si impegna a rifuggire qualsiasi impulso, per la prima volta in cerca di vendetta.
Un thriller dall’eleganza algida che, a partire dal protagonista, spregiudicato e calcolatore mette al centro proprio l’eterno contrasto tra passioni e razionalità. Man per capire meglio che cosa succede e svelare il significato del finale del film facciamo un passo indietro.
Killer professionista o giustiziere?
Un assassino su commissione si prepara a colpire il bersaglio designato. Eppure, nonostante i meticolosi preparativi e una lucidità alienante, il suo colpo attraversa i tetti di Parigi e non va a segno. Tornato nel suo rifugio a Santo Domingo scopre che la sua compagna è stata aggredita da altri killer, probabilmente al soldo del cliente che aveva commissionato la mancata esecuzione.
Inizia così un viaggio in cui il protagonista, per la prima volta, decide di farsi giustizia da solo, visitando a uno a uno tutte le figure che lui ritiene essere coinvolte. Il primo è Hodges, un avvocato di New Orleans, nonché suo capo; convinto che l’uomo conosca i nomi degli assassini il killer decide di farlo parlare, torturandolo, ma questi muore rapidamente. I nomi vengono però forniti dalla segretaria dell’avvocato che l’assassino risparmia.
L’azione si sposta così in Florida dove il protagonista trova il primo killer e lo uccide per poi spostarsi in una cittadina alle porte di New York. Proprio qui l’assassino si ritrova faccia a faccia con una rinomata professionista (interpretata da Tilda Swinton) che uccide, dopo un lungo faccia a faccia, prima che questa riesca a pugnalarlo.
Infine il protagonista si reca a Chicago. Qui, eludendo qualunque controllo di sicurezza, entra nell’appartamento del magnate mandante dell’omicidio andato male. Proprio questi, nuovo nell’ambiente dei sicari, rivelerà al killer di non aver alcun risentimento personale nei suoi confronti, ma che la sua eliminazione gli era stata caldamente suggerita da Hodges. Il protagonista risparmia così l’uomo per poi tornarsene nel suo rifugio caraibico, forse iniziando a pensare alla pensione.
Impulso e raziocinio
Mettendo al centro della narrazione un personaggio con una morale ben lontana da quella del senso comune, pare che Fincher abbia qui voluto riflettere sulla portata delle passioni umane; qualcosa di sempre presente, anche in un individuo che, per necessità, deve metterle da parte e che, come tutti, non è immune a esserne schiavo. Infatti nonostante il killer continui a ripetere che non si tratti di vendetta ogni sua azione è mossa da motivazioni fortemente personali, anche sul finale quando per scelta decide di risparmiare il cliente – a meno che in futuro non ci siano motivazioni per farlo fuori.
Una doppia maschera, quella di sicario e giustiziere, che Fassbender indossa senza fare una piega, connotando il suo personaggio in modo peculiare e straniante. Il suo mantra infatti “Niente empatia. L’empatia è debolezza. La debolezza è vulnerabilità”, via via che il film procede suona sempre più come un autoconvincimento. Ne deriva che il misterioso protagonista diventi, più o meno consapevolmente, molto più umano di quanto lui non creda dal momento che le sue azioni, per quanto calcolate, sono frutto di una pulsione di vendetta.
Ma è proprio la necessità di mettere definitivamente al loro posto coloro che avevano violato la sua vita personale, dove presumibilmente l’assassino ha un nome e non si muove in base a regole prestabilite, a squarciare quel velo tra le sue identità. Non lo ammetterà mai ma la sua vendetta è personale e, forse anche per questo, alla fine sceglie di non accanirsi contro il cliente.
Chi è l’assassino?
Sotto questo aspetto il personaggio interpretato da Fassbender, tra l’altro bravissimo nel dare vita a un sicario glaciale nei movimenti quanto nelle espressioni, può essere l’estremizzazione di una qualunque persona vivente sulla faccia del pianeta. Essere dei sicari a pagamento non significa che sia impossibile sbagliare un colpo: chiunque può sentirsi sul filo del rasoio, in bilico tra scelte di pancia e decisioni razionali.
Ecco perché il killer protagonista, nell’esatto momento in cui sceglie di iniziare il suo viaggio, si spoglia metaforicamente degli abiti del sicario per comportarsi come un uomo in quella che, presumibilmente, sarà la sua ultima missione. Il film mette in scena questo scollamento dell’identità ponendo al centro della narrazione un conflitto umano eterno. Fincher spersonalizza ambientazioni e personaggi fino all’osso, come in un teatrino di figure di carta, perdendosi tra echi di film già visti o altri che ci sembra di aver visto. Ecco perché la figura stessa dell’assassino sia un escamotage per mettere in scena quel contrasto tra razionalità e irrazionalità che muove ogni azione umana.
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