Quanto ci eri mancato John Kramer. Bastano pochi minuti e una convincente interpretazione di Tobin Bell per colpire noi fan della saga di Saw – L’enigmista, creata nel 2003 da James Wan, con un insperato attacco nostalgico. Arrivata al decimo episodio, la saga di Saw non ha davvero più nulla da dimostrare, se non riproporre, episodio dopo episodio, i due ingredienti fondamentali che fanno la gioia degli appassionati: i giochi mortali di Jigsaw e un colpo di scena finale con la solita musica di accompagnamento. Ma ciò che fa davvero la differenza, questa volta, è la presenza di John Kramer, il vero unico e originale enigmista che non vedevamo da anni.
Ambientato, infatti, tra il primo e il secondo capitolo della saga, Saw X vede come assoluto protagonista il personaggio interpretato da Tobin Bell, malato terminale di cancro al cervello, ideatore di tutte le trappole mortali, strumenti con cui offre alle vittime la possibilità di una redenzione (non senza un tributo di sangue). La scelta di puntare i riflettori su John Kramer, sulla sua storia e la sua etica ha reso questo decimo capitolo uno dei più riusciti della saga, oltre che il meglio accolto da parte della critica. Ma causa anche un problema non di poco conto, che stravolge il nostro punto di vista sulla saga. I metodi di John Kramer sono affascinanti, ma mai, fino a questo momento, eravamo davvero decisi a tifare per lui, come fosse l’eroe.
È solo un gioco
Ogni medaglia ha sempre due facce. Testa: tra tutte le saghe horror degli ultimi anni, Saw è l’unica che non si nasconde dietro la violenza, lo splatter e l’esagerazione. Il che la rende una saga che, arrivata al decimo capitolo e nonostante una serie di passi falsi, non ha ancora stancato il pubblico. Inutile girarci troppo attorno: lo spargimento di sangue gratuito, la maniera complessa e allo stesso tempo incredibilmente divertente del funzionamento dei giochi e delle trappole, i colpi di scena nel finale (più o meno) inaspettati basterebbero già per giustificare e superare tutti i limiti di questi film sempre più di fattura televisiva.
Come se non bastasse, il personaggio di John Kramer ha tutto il fascino del miglior serial killer. Non uccide direttamente, ma offre seconde possibilità a chi sta sprecando la propria vita. Malato terminale e con una certa insofferenza verso chi non riesce a cogliere il dono della vita, Kramer è un Messia (da notare la gestualità e il tono con cui parla) del Male, un maestro etico il cui messaggio che possiamo anche definire, sotto un certo punto di vista, positivo è adombrato dai metodi che usa per farlo valere. Ogni vittima lo è non solo nei confronti di Kramer, ma anche nei confronti di sé stessa. Obiettivo: rinascere, non senza un tributo di sangue.
Le trappole e il loro funzionamento sono il vero motivo per cui la saga funziona. Per quanto assurde, vengono valorizzate da tutto ciò che il cinema horror, specialmente in campo mainstream, non fa più: indugia sulla carne lacerata, fa percepire il dolore tramite le urla, insiste sui fluidi che fuoriescono e le ossa che si rompono. Saw X, nel 2023, torna a far valere il sottogenere del torture porn, meno che sui contenuti sessuali ma più legato al piacere di vedere la sofferenza sullo schermo. E sì, quando non si è più abituati da tempo, si ha la sensazione di star osservando un film che vuole giocare poco.
Vivere tanto a lungo da diventare il buono
Accade qualcosa di imprevisto in Saw X. Per un terzo del film, salvo una veloce parentesi giusto per ricordare allo spettatore che non ha sbagliato sala e sta davvero guardando il decimo capitolo della saga, sembra di osservare un dramma intimo. John Kramer sta morendo, il cancro al cervello lo rende sempre più debole e Tobin Bell, nell’interpretare questo personaggio che noi conosciamo bene, ci crede così tanto da renderlo incredibilmente umano. Tutta la prima parte del film, che vede Kramer tentare il tutto per tutto fidandosi di un gruppo di medici all’avanguardia per curare la sua malattia, spinge lo spettatore a provare empatia nei suoi confronti. Come se non bastasse, dopo aver scoperto la truffa nei suoi confronti e aver rinchiuso i finti medici in uno scantinato, pronto a mettere in atto le sue trappole, Kramer diventa definitivamente il nostro eroe.
Se prima era solo fascino ora è comprensione. Se prima poteva essere mania di protagonismo di una persona che, senza più nulla da perdere, giocava a fare Dio, ora Kramer è diventato simbolo di ogni persona debole e truffata che però ha la forza di vendicarsi. Diventa un giustiziere per cui tifare. Il dilemma morale in Saw, aspetto che però consideriamo come un punto a favore all’interno della saga, è sempre stato problematico ma di indubbio fascino. Saw X, però, giustifica le azioni terribili di Kramer rendendolo vittima di persone più cattive di lui, usando come scusa la malattia terminale.
Il piacere di gustarsi un horror d’intrattenimento con tutti i suoi contenuti splatter si trasforma quindi in un appagamento particolarmente giustificato e mai del tutto sazio. Se nei precedenti episodi percepivamo comunque un certo tipo di distacco nei confronti dell’Enigmista (sì, le vittime stavano sprecando la loro vita, ma soffrivamo con loro e in qualche modo tifavamo per la loro seconda possibilità, nonostante il più delle volte fossero persone detestabili), qui non abbiamo mai un momento di separazione. Non avviene, come nel recente Joker, un evento che ci separa dal protagonista problematico, lasciandoci traditi dall’empatia che fino a quel momento avevamo provato nei suoi confronti. Usciamo da vincitori, godiamo della morte delle sue vittime.
Il vero enigma
Questo discorso non toglie la patina d’intrattenimento che ha il film di Kevin Greutert, ma ci spinge a riflettere, pur – lo sappiamo – senza arrivare a una risposta certa sulla scelta narrativa apportata. L’horror è da sempre un genere che non dovrebbe rasserenarci, mettendoci di fronte alle nostre paure e mostrando tutta l’oscurità che ci circonda (e quindi di noi stessi, di conseguenza). Viene da chiedersi, però, soprattutto trattandosi di un film che raramente sembra appartenere a una dimensione cinematografica, e quindi autoriale (i filtri verdi e gialli per rappresentare il Messico, ma anche la qualità dei dialoghi e alcune scelte di montaggio e fotografia pongono Saw X perfetto per la dimensione domestica), quanto di questo sia voluto e quanto, invece, sia una conseguenza di un’idea non realizzata e ragionata nei minimi dettagli.
Perché c’è differenza tra il piacere divertito delle immagini gore e la portata morale e vendicativa che questo piacere va a sprigionare. E crea un corto circuito non indifferente vedere un sadico moralista con l’attitudine messianica farsi giustizia da solo, trovandosi pure dalla parte della ragione. Che questo dilemma rimanga insoluto, e che possa avere più o meno importanza nei confronti di un film che in ogni caso porta a casa il risultato, è forse il vero enigma finale che Jigsaw ci rivolge a nostra insaputa. Una controversia che da una parte eleva la natura più pura del genere horror, togliendoci la comodità, e dall’altra ci spinge a trovare un’etica positiva giustificata. Tra tutti, ci ritroviamo nel gioco più difficile, nella trappola più pericolosa.
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