Con L’amore bugiardo – Gone Girl, adattamento del romanzo di Gillian Flynn, David Fincher ha firmato quello che al momento è il suo ultimo lungometraggio concepito per il cinema (dato che successivamente ha firmato un accordo con Netflix, il che limita fortemente la circolazione in sala dei film realizzati in base a quel contratto). E per certi versi è giusto che sia stato così, perché tramite la prosa di Flynn l’acclamato regista ha potuto dire, ancora una volta e con grande sagacia, la sua sul contrasto fra verità e finzione. Arrivando a una conclusione brillantemente agghiacciante, di cui parliamo nella nostra spiegazione del finale di L’amore bugiardo – Gone Girl. Ovviamente questo articolo contiene spoiler.
La coppia perfetta
Nick e Amy Dunne non vanno più d’accordo, pur rifiutando di ammetterlo apertamente, ragion per cui lei, una volta scoperto l’adulterio di lui, decide di simulare il proprio decesso e farlo arrestare e giustiziare per un omicidio che non ha commesso. Un piano a base di inganni e percezione pubblica: lui, apatico da tempo per quanto riguarda il suo matrimonio, è l’indiziato ideale perché, implicazioni criminali a parte, l’assenza di Amy lo lascia indifferente (e qui la poker face di Ben Affleck, abituato a stare sotto i riflettori, è fondamentale); e poi ci sono le parole di lei, create ad arte tramite un diario, principale lascito cinematografico dei punti di vista multipli presenti nel romanzo (la prima parte è quella con la narrazione pubblica dei due protagonisti, mentre la seconda svela la verità). Ed è, paradossalmente, un’altra menzogna a salvare Nick: su consiglio del suo avvocato, va in TV e finge di essersi pentito del tradimento. Amy, vedendolo in quelle condizioni, capisce che le loro personalità sono perfettamente compatibili e decide di perdonarlo, simulando un rapimento per mano di un ex geloso e possessivo (che lei uccide per portare a compimento l’inganno).
L’uso dei media
David Fincher ha un percorso dove il ruolo dei media nella costruzione della realtà è spesso parte integrante del discorso: l’indagine in Zodiac si avvale della partecipazione di due collaboratori del San Francisco Chronicle; in Millennium il giornalista Mikael Blomkvist accetta un nuovo incarico in cambio di informazioni che dimostreranno che un uomo d’affari da lui diffamato in realtà è colpevole di tutto ciò che era scritto nell’articolo; e poi c’è Fight Club, con Tyler Durden come portavoce di un’intera generazione disillusa dai sogni venduti da riviste e TV, il film più cinico e arrabbiato di Fincher, ma anche per molti versi il più divertente per come satirizza la società consumista (satira che è andata avanti oltre il film stesso: il DVD contiene finti spot per la sicurezza nei cinema in cui Tyler e il Narratore deviano con gioia dal copione). Probabilmente a Tyler piacerebbe molto L’amore bugiardo, che sin dal titolo italiano chiarisce spudoratamente dove intenderà andare a parare con il suo discorso sull’armoniosa vita di coppia.
Il figlio della discordia
Nella prima parte del libro e del film Amy incastra Nick tramite una finta gravidanza (simulata con i campioni d’urina di una vicina di casa che è veramente in dolce attesa), e alla fine lo intrappola in un matrimonio infelice con una gestazione vera che, come tutto il resto della loro vita, è in realtà puro artificio (lui aveva lasciato campioni di sperma in una clinica, e lei si è fatta inseminare con gli stessi). Incapace di dimostrare che lei è una pazza assassina, Nick cede al ricatto e rimane a casa, convinto di doverlo fare per il bene del nascituro che altrimenti rimarrà nelle sole cure di Amy, la cui empatia è pari a zero. Due individui con nulla da spartire, a parte un dono per la manipolazione emotiva che però nel caso di lei è a dir poco estremo, sono legati indissolubilmente dall’unica cosa potenzialmente bella della loro unione, ottenuta – naturalmente – con l’inganno.
Fincher demolisce con autentica gioia i luoghi comuni sulle coppie felici e condanna definitivamente i due con la scena finale, dove Nick e Amy annunciano in televisione che diventeranno genitori, sancendo la versione finale della loro vita perfettamente artificiale e dando alle telecamere il lieto fine che il pubblico catodico si aspetta e crede di meritare. Mentre quello cinematografico assiste alla verità, crudele e beffarda, frutto dell’ideale sodalizio tra una scrittrice interessata ai confini tra immagine e verità e un regista che di quel contrasto ha fatto parte della sua ragion d’essere.