“I cinecomics non sono vero cinema, ma parchi divertimento che non ti lasciano nulla. Sono film senza mistero, senza rischio e senza spessore“. Pacate (e ormai celebri) parole perentorie di un certo Martin Scorsese, che si è spesso scagliato contro il genere, paragonandolo quasi a un fast food dove tutto è preconfezionato. Qualche giorno fa il regista italo-americano è tornato sull’argomento cercando di articolare meglio la sua tesi: “Il pericolo è rappresentato da ciò che questi film stanno facendo alla nostra cultura. Perché si formeranno generazioni di persone che penseranno che i film siano solo quello”. Insomma, il senso del discorso è chiaro. Per Scorsese il problema non è tanto guardare i cinecomics, ma guardare solo i cinecomics, e quindi non crearsi uno spirito critico pieno di riferimenti e diversità.
Le parole di Martin Scorsese, che qualcuno definirebbe “da boomer,” in realtà intercettano un malessere condiviso che si avverte da almeno un paio d’anni. Senza troppi giri di parole: i cinecomics hanno stancato il pubblico e perso il loro fascino. Come mai? Proviamo a rifletterci insieme.
Calo fisiologico
Partiamo dal motivo più semplice e banale. Ovvero dal fatto che l’era del cinecomics prima o poi doveva tramontare o comunque entrare in crisi, perché un calo era fisiologico e naturale. Pensiamoci: l’età d’oro dei film di supereroi è iniziata per convenzione nel 2000 con X-Men (ma non dimentichiamoci dell’importanza di Blade appena due anni prima). Un film con un approccio realistico, personaggi carismatici e un’estetica verosimile che si allontanava dai colori sgargianti dei fumetti. Un film che in qualche modo ha cambiato tutto. Dopo arriveranno gli approcci autoriali di Sam Raimi con Spider-Man, di Nolan con Batman e ovviamente l’ascesa inesorabile (e ineluttabile) del Marvel Cinematic Universe.
Insomma sono passati 23 anni dall’inizio di questo trend supereroistico, e dentro il calderone dei cinecomics abbiamo visto di tutto: una marea di origin story, mini-saghe, assemble di eroi e soprattutto vari generi all’interno del genere. I cinecomics hanno toccato la commedia, la spy story, l’horror, il dramma, la sit-com, l’avventura fantascientifica. Fino a diventare la parodia di loro stessi. Per informazioni rivolgersi al signor Taika Waititi. Normale quindi essere saturi di personaggi e nauseati da questo eccesso di offerta che ormai sembra superare la domanda. La gente forse ha voglia di cose nuove e quello che un tempo era moda è diventata pian piano noia. Soprattutto se consideriamo le derive che molti di questi film hanno preso.
Stanchi degli universi
Ed eccoci davanti all’altro grande problema. Forse questo “affaticamento da supereroi”, come viene ormai definito dall’industria, non nasce solo dal contenuto dei cinecomics, ma dal modo in cui vengono distribuiti e concepiti i film. Motivo della discordia? I prima amati e ora sempre più odiati universi condivisi. Adesso è facile darlo per scontato e parlare di noia, ma mettiamo una cosa in chiaro: a livello editoriale il Marvel Cinematic Universe ha fatto qualcosa di eccezionale e unico. Legare decine di personaggi attraverso decine di film in un unico mosaico corale è stata un’impresa folle (e riuscita). Con alti e bassi, certo, ma almeno fino ad Avengers: Endgame l’MCU ha dettato legge e imposto un canone da imitare. E così la Distinta Concorrenza ha provato a rincorrere la Marvel, ma lo ha fatto con una fretta e con una confusione che ha fatto subito venire il fiatone anche a tizi come Batman, Superman e Wonder Woman.
Dopo Endgame, però, qualcosa si è rotto. Quel film è sembrato davvero un voltare pagina, o meglio, un cambiare libro. Perché il grande addio alla vecchia guardia degli Avengers è coinciso con un declino inarrestabile. Calo drastico della qualità e soprattutto troppa, troppa roba da vedere. L’arrivo delle serie tv Marvel ha fatto scomparire l’attesa del grande evento, annacquando il grande puzzle narrativo con serie spesso molto deludenti. In casa DC invece il DCEU è andato sempre in più in confusione, con cambi di direzione, film problematici e la sensazione di una mancanza di coerenza a livello editoriale davvero preoccupante. Ma se l’universo condiviso Marvel è crollato sotto il peso della sua stessa presunzione, quello DC si è ucciso da solo, vittima di un caos creativo sempre più preoccupante.
Però, anche dopo la grande diga di Endgame, qualche sussulto c’è stato. Qualche film ha funzionato ed è piaciuto, e (a ben pensarci) hanno tutti un punto in comune: sono tutte opere che hanno ignorato il concetto di universo condiviso. Cinque esempi su tutti. Due in casa DC: Joker e The Batman. Tre in casa Marvel/Sony: Spider-Man: No Way Home, Guardiani della Galassia Vol. 3 e Spider-Man: Across the Spider-Verse (che, diciamolo, gioca quasi un campionato a parte). La Warner/ DC con i suoi ElseWolrds (universi alternativi non canonici) ha finalmente capito che, proprio come se fossero delle graphic novel non seriali, molti dei loro personaggi funzionano senza bisogno di collegamenti. Ed ecco che Joker e The Batman, col loro approccio cupo e realistico, hanno tirato fuori due successi di critica e pubblico con film autosufficienti e sé stanti. In casa Marvel Spider-Man: No Way Home e Guardiani della Galassia Vol. 3 hanno pensato solo a chiudere la trilogia dei loro personaggi, senza preoccuparsi troppo del disegno d’insieme del MCU. Come se per il pubblico vedere dei film che si svincolavano dalla dittatura dell’universo condiviso sia stata quasi una boccata di ossigeno.
Spirito dissacrante
Quando iniziamo a stancarci di qualcosa di vecchio è normale essere affascinati dal nuovo. Anche qui possiamo ribadirlo: è un processo fisiologico. Ma qual è stato il nuovo trend in ambito supereroistco capace di appassionare il pubblico negli ultimi anni? Senza dubbio la parodia dissacrante del genere stesso. Film e serie che di fatto hanno preso in giro i supereroi stessi, dando voce al nostro malessere nei loro confronti. Il primo a capirlo è stato Deadpool che nel 2016 colpiva tutti con la sua strafottenza irriverenti e il suo spirito distruttivo. Un personaggio metecinemetografico che prendeva in giro il genere stesso ci è sembrato di colpo rivoluzionario. Perché il genere si stava prendendo troppo sul serio e un po’ di sano cazzeggio ci voleva eccome.
Subito dopo ecco arrivare Taika Waiti che con Thor: Ragnarok non solo cerca di scimmiottare il tono spensierato dei Guardiani della Galassia, ma esaspera ancora di più l’approccio critico nei confronti del genere, girando di fatto una parodia del supereroe macho maschio alpha, trasformandolo in un mezzo idiota. Perché sì, Ragnarok e Love & Thunder sono vere e proprie parodie del cinecomic stesso. Prendere o lasciare, amare o odiare, ma in ogni caso va detto che quello di Waititi è stato uno stile dirompente che ha fatto parlare di sé nel bene e nel male
Questo approccio dissacrante, però, ha trovato la sua apoteosi in tv con l’emblema assoluto della nostra nausea da supereroi: The Boys. La serie tv Amazon ha avuto il tempismo perfetto. Nell’anno di Endgame Butcher e compagnia arrivano con lo stesso carico di malessere che noi avevamo nei confronti del genere. I personaggi di The Boys sono incazzati con i supereroi, proprio come noi. Stanchi della loro onnipresenza, sopraffatti dalla loro superficialità. E allora ecco che una serie sboccata, violenta e sopra le righe come The Boys è stata quasi la metafora perfetta del pubblico che iniziava a disinnamorarsi dei super. Emblema perfetto di un divorzio quasi inevitabile dopo 23 anni di glorioso matrimonio.
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