Un uomo vestito da orso danza e scherza con alcuni casuali spettatori, fermi intorno a lui, per vedere lo spettacolo di strada che sta mettendo in scena. Poi il finto orso si accascia al suolo, come morto. Dalla sua pancia fuoriesce, quasi schiudendosi, un uomo vestito e truccato con abiti femminili, pronto a danzare e intrattenere ancora gli spettatori. Questi sono i primi minuti del nuovo film di Giorgio Diritti, che sembrano racchiudere tutto il senso di una lunga epopea con protagonista lui, Lubo Moser, artista di strada che vedrà la sua vita cambiare e mutare da lì a poco, e negli anni a seguire.
Infatti, come vedremo nella nostra recensione di Lubo, il film, presentato in Concorso al Festival di Venezia 2023, si trasformerà insieme al protagonista, mantenendo inalterate alcune sue essenziali qualità, in tre ore che cambieranno il nostro sguardo e il senso stesso del racconto.
Genere: drammatico
Durata: 181 minuti
Uscita: 7 settembre 2023 (Festival di Venezia), 9 novembre 2023 (Cinema)
Cast: Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noemi Besedes
Storia di un uomo
Ottobre 1939. Di origine nomade Jenisch, l’artista di strada Lubo, insieme alla moglie e ai suoi tre figli piccoli, si guadagna da vivere girovagando a bordo di un carretto. Tutto cambierà quando l’esercito lo obbligherà a lasciare la famiglia e arruolarsi: una guerra è all’orizzonte e lui non può rifiutarsi. Poco dopo scoprirà che, ribellandosi ai gendarmi, la moglie è rimasta uccisa e i figli portati via, senza alcuna informazione sul loro destino, a causa del programma di rieducazione per i bambini di strada. Lubo cercherà di fuggire dall’esercito per ritrovare la propria famiglia.
Negli anni Cinquanta Lubo ha ricominciato a vivere attraverso una nuova identità. Anche se il desiderio di riabbracciare i figli non l’ha mai abbandonato si sta costruendo una nuova vita, con nuovi amori e un nuovo lavoro. Ma alcune ombre dal passato sono pronte per tornare a perseguitarlo, rischiando – ancora di volta – di cambiargli la vita.
Tre atti, tre ore, tre film
Lubo è un film tripartito, ambientato in tre diversi anni (1939, 1951, 1959) nei quali assistiamo all’evoluzione e agli sviluppi del protagonista, oltre al mondo e alla società che lo circondano. È, allo stesso tempo, croce e delizia di un film che, nel corso delle sue tre ore, sembra accorpare diversi generi e diverse storie, dando vita a un lungo romanzo dove è lo stesso flusso di vita, di eventi, di cambiamenti a risultare il motore della vicenda. Così a una prima mezz’ora davvero ben riuscita, con forti richiami da cinema western, cupa e violenta, si dà spazio a un dramma romantico che, infine, si fa anche cinema di denuncia.
Non sempre il tutto si amalgama alla perfezione, dando la sensazione di un racconto che mette troppi elementi in gioco e senza un focus davvero preciso. Focus che poi si rivelerà davvero nell’atto finale, ma in maniera troppo repentina rispetto all’abbondante minutaggio a disposizione del film. E se non mancano le emozioni, specie perché l’argomento affrontato è una pagina di storia sconosciuta ai più che meritava di essere posta sotto i riflettori, non ci si può chiedere se tutta l’attenzione rivolta alla vita sentimentale di Lubo negli anni Cinquanta fosse davvero necessaria.
Un cast che cambia il film
Togliamoci ogni dubbio. Franz Rogowski è bravo, bravissimo. Come nel precedente Volevo nascondermi, Diritti poggia il film sulle spalle del suo attore protagonista, concentrandosi su di lui e, di fatto, rendendolo primo motivo della riuscita del film (anche se, va detto, la regia elegante e formale contribuisce a creare un’ottima atmosfera), e Rogowski dà il meglio di sé, recitando in lingua jenisch e in tedesco. Quando, invece, la lingua parlata è l’italiano non tutto va per il meglio, complici anche i co-protagonisti (specialmente gli attori più giovani) che non riescono a reggere il peso dei dialoghi e le difficili emozioni che questi dovrebbero non solo esprimere, ma anche interiorizzare.
È sempre nel terzo atto che avvengono le maggiori criticità, con un personaggio fin troppo esplicito nelle parole e nei gesti che prepara con troppo anticipo un colpo di scena che avrebbe dovuto regalare una sorpresa ben maggiore (e, quindi, una risoluzione più potente dal punto di vista emotivo). Ottima, invece, la presenza di Valentina Bellè, che regala un personaggio tra i più stratificati, con una dolcezza e una raffinatezza interpretativa da manuale, tanto da trasformare ancora una volta il film una volta fatta sentire la sua assenza.
Curioso che, proprio quella magica trasformazione posta a inizio film, in cui un orso “partoriva” una danzatrice non sia riuscita al film stesso, dove la gioia della musica e della danza sembra aver lasciato spazio a un semplice dondolio. Un risultato decisamente meno magico rispetto alle premesse.
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La recensione in breve
Lubo è un lungo romanzo tra dramma, storia e denuncia che cambia insieme al protagonista, ottimamente interpretato da Franz Rogowski. La lunga durata, però, non sostiene al meglio l'argomento principale del film, che appare diluito e senza un focus preciso, depotenziandosi da solo nel suo trasformismo.
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Voto ScreenWorld