Sembrava un progetto ormai irrealizzazibile. Uno di quei progetti dei sogni che quasi ogni grande regista ha. E invece dopo quasi 20 anni di attese e false partenze, Ferrari di Michael Mann è finalmente realtà, pronto per arrivare nelle sale di tutto il mondo. Ma prima ancora di mostrarsi al grande pubblico, ecco il prestigioso debutto all’80esima Mostra del Cinema di Venezia: una vetrina che non solo regala la possibilità al regista di puntare al prestigioso Leone d’oro, ma anche di iniziare il suo percorso verso gli Oscar, dato che, com’è noto, negli ultimi anni il festival italiano ha spesso aperto la strada a tantissimi film che poi si sono rivelati vincitori anche a Hollywood.
Succederà lo stesso anche in questo caso? Difficile dirlo a questo punto, perché se è vero che sulla carta il film di Mann avrebbe tutte le caratteristiche per piacere all’Academy o ai giurati del festival, dopo averlo visto i dubbi che affiorano sono molteplici: come vedremo in questa recensione di Ferrari, da un regista come Mann, e da un progetto così chiacchierato e atteso, era lecito aspettarsi molto di più. Era lecito aspettarsi un qualcosa di unico nel suo genere, come la più lussuosa delle Ferrari.
Ferrari
Genere: Drammatico
Durata: 120 minuti
Uscita: 31 agosto 2023 (Festival di Venezia), autunno 2023 (Cinema)
Cast: Adam Driver, Penélope Cruz, Shailene Woodley, Patrick Dempsey
Enzo Ferrari, una vita per le corse
Il film è tutto ambientato nel 1957, una data molto importante per l’imprenditore ed ex pilota modenese Enzo Ferrari che si trova ad affrontare la recente scomparsa del figlio, la crisi dell’azienda e del suo matrimonio e la necessità di vincere ad ogni costo la Mille Miglia, gara automobilistica prestigiosa ma ardua, così da accrescere la notorietà del suo marchio. Il film di Mann, quindi, non è un biopic e non ripercorre né l’intera vita né la carriera del Commendatore, ma piuttosto sceglie di mostrarci un uomo quasi sessantenne, incapace di perdere il suo amore per le corse e che intende mandare avanti la propria azienda proprio grazie a una passione viva.
Ferrari, come ci fa capire fin da subito Mann, non vende macchine per arricchirsi, ma solo per poter continuare a gareggiare e primeggiare. Per diventare il numero uno. E non è un caso, quindi, che il film inizi proprio con (finte) immagini di repertorio in cui si vede l’uomo sfrecciare al volante. Esattamente come aveva fatto agli inizi della sua carriera, è lui il pilota. Capace di essere un uomo d’affari geniale e con una visione unica, consapevole dei pericoli che correva. E, soprattutto, pronto a fare i conti con la morte, improvvisa, inaspettata, incidentale, di coloro che gli erano vicini. Pronto, nonostante si nascondesse dietro una barriera emotiva, a farsi carico delle responsabilità che gli spettavano.
Lo spauracchio House of Ferrari: pericolo scongiurato?
Anche se non è un vero e proprio biopic, l’aspetto personale e legato alla dimensione domestica è comunque molto presente. Ed è, ahinoi, la parte più problematica del film: Ferrari è ovviamente completamente ambientato in Italia, ma recitato principalmente in inglese (con forte accento “italiano”) da un cast internazionale. Niente che non abbiamo già visto in altre occasioni, tra cui lo sciagurato House of Gucci e, anche se qui non raggiungiamo gli estremi peggiori, è indubbio che certe scelte stonino tantissimo, specie in una produzione del genere, con un regista del calibro di Mann. Il risultato è che lo spettatore è continuamente trascinato fuori dal film. Quantomeno lo spettatore italiano.
Anche perché, se in House of Gucci c’era la “scusante” del tono volutamente grottesco, qui siamo dalle parti del dramma vero e proprio. Per questo basta pochissimo che anche un dialogo serio come quello di due genitori che parlano della morte di un figlio o della loro burrascosa relazione scivoli pericolosamente verso un effetto da soap opera.
In questo senso è difficile darne la colpa agli attori perché il problema è certamente a monte dell’intero progetto. A uscirne peggio è un’interprete di livello come Penelope Cruz, evidentemente poco seguita e mal consigliata e diretta.
Molto meglio Adam Driver che interpreta Enzo Ferrari col giusto piglio e che, per gran parte del film, riesce ad evitare con più facilità le stesse “trappole” che invece affossano il ruolo e l’interpretazione della co-star.
La gara delle Mille Miglia e la regia di Michael Mann
È cosa nota che Michael Mann fosse da sempre interessato a questo progetto, ma vedendo la prima parte del film verrebbe spontaneo chiedersi il perché. Diciamo pure che non serve il regista di Collateral o Miami Vice per raccontare la crisi familiare di una coppia di imprenditori italiani. Le cose cambiano, in meglio, con la seconda parte del film, quella che sembra essere il vero cuore del progetto e probabilmente anche l’aspetto di maggiore interesse per il regista americano: quando l’attenzione si concentra sulla famigerata gara delle Mille Miglia che si tenne appunto nel 1957 e che rappresentò anche l’ultima edizione di questa storica e spettacolare gara. È solo qui che il talento visionario di Mann riesce finalmente a emergere e a trovare la sua giusta dimensione, regalandoci quasi un’ora di spettacolo ed emozioni che donano nuova linfa vitale al film. Rimane il dubbio di cosa sarebbe potuta diventare questa pellicola se si fosse focalizzata solo su questo evento in particolare.
E invece il Ferrari che arriva in sala è un’opera che sa di occasione perduta, di un film che vorrebbe raccontarci le contraddizioni e le battaglie di un uomo geniale ma difficile, senza riuscire ad andare veramente a fondo. In primis a causa di una sceneggiatura non esemplare, ma anche per colpa di un regista che forse non è riuscito davvero ad esprimere al meglio il suo enorme e indiscutibile talento.
A dimostrazione che non basta un ottimo Driver (nella doppia accezione di Adam, ma anche di pilota/regista) per vincere una corsa se non hai una macchina all’altezza delle tue ambizioni, come d’altronde gli ultimi campionati della Ferrari confermano. E forse questo era l’unico aspetto realistico che Michael Mann si sarebbe potuto evitare.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
Ferrari è un film disomogeneo. Ha il gran pregio di avere una seconda parte appassionante e ben girata che fa dimenticare alcuni scivoloni della prima ora, ma è comunque lontano dal gran film che sarebbe stato lecito aspettarsi visto i nomi coinvolti o il grande interesse per questa storia da parte di un regista del calibro di Michael Mann. Non è certo la prima e nemmeno l'ultima delusione targata Ferrari degli ultimi anni, ma di sicuro la più inaspettata.
-
Voto ScreenWorld