Diablo 4 è da poco uscito su PC e console casalinghe e possiamo affermare con certezza matematica che questa non è la classica uscita di un videogioco che segna “solo”qualche record di vendita, con le solite coperture su siti specializzati per poi venire facilmente accantonato. Perché si tratta di un franchise nato per essere tramandato nel tempo e, in questo caso, Diablo è tornato per restare argomento di discussione per molto tempo ancora.
L’arrivo di un nuovo Diablo è sempre salutato con rituali di “preparazione”, con entusiasmo misto a scetticismo, con gli appassionati veri che riemergono da grotte oscure, pronti ad assicurarsi la propria copia al Day One (storie romantiche che la vendita in digitale ha ucciso).
Diablo è un rito, di quelli che sarebbe necessario avere giornate di 32 ore per dedicarne almeno la metà allo studio di questa passione. Diablo è una grande domanda che ognuno deve porsi anche solo per capire e identificare le sostanze di cui è composto il gioco. Nonostante gli anni, lo stato non brillante in cui versa Blizzard, i successi e gli insuccessi, rimane da capire una cosa: perché giochiamo ancora a Diablo?
Diablo è gratificazione
All’origine dell’idea del primo Diablo c’era l’immediatezza: niente fronzoli, trame articolate o tediose introduzioni. C’è un demone (appunto, Diablo) che minaccia il mondo di gioco, si sceglie un eroe, si imbraccia un’arma e si falciano centinaia e centinaia di nemici per raggiungerlo e sconfiggerlo. Stop.
In un momento di stanchezza collettiva del tessuto narrativo di molte produzioni videoludiche, la soluzione a metà anni ’90 era delle più semplici. Spogliare, decostruire il medium di tutti gli elementi per evidenziarne gli organi vitali, gli aspetti essenziali e sottolineare l’importanza del rapporto tra videogioco e videogiocatore che si crea quando si gioca.
Questo avviene in un sistema di ricompensa che si attiva nel nostro cervello, stimolando la motivazione nel raggiungere gli obiettivi. Qualcosa che avviene in modo inconscio durante tutta la nostra vita che abbraccia tantissime sfere sociali e non. Vogliamo imparare a suonare la chitarra? Dobbiamo prendere tante lezioni da un insegnante. Vogliamo dimagrire e avere un bel fisico? Dobbiamo seguire una dieta, fare esercizio e andare in palestra. Vogliamo avere più fiato? Forse è ora di smettere di fumare e lavorare sulla nostra motivazione.
Vogliamo arrivare alla fine di Diablo 4, sconfiggere il demone Lilith, magari avendo equipaggiate le migliori armi e armature? Dobbiamo giocare, sconfiggere nemici e sperare di trovare quell’arma che ci serve e se falliamo, riprovarci ancora, fino allo sfinimento per arrivare alla ricompensa che volevamo ottenere.
Un ciclo infinito
Si parlava di Returnal non pochi mesi fa, dove il gioco dei ragazzi di Housemarque presentava una struttura ludica vicina ai roguelike, con protagonisti intrappolati in loop temporali e l’indagine degli stessi per spezzare il cerchio.
Diablo non ha mai presentato questo scheletro di gioco, bensì ha anticipato prima e consolidato poi la struttura oggi denominata come live service, ovvero quei giochi che vengono venduti come servizi estesi nel tempo. Giochi che proseguono anche dopo il finale e che presentano un livello di sfida sempre interessante, capace di ricompensare il giocatore quando, sconfitto un nemico, gli fa trovare qualcosa di prezioso, che esula dal vil denaro come le armi di colore giallo esotico (ormai utilizzato per etichettare quegli oggetti rarissimi da trovare). È in questo modo che, fondamentalmente, rimaniamo soddisfatti della missione appena compiuta.
Ma all’appagamento c’è la voglia di riprovarci. Perché sì, falciare nemici è un divertimento grandioso, ma lì fuori, nel mondo di Sanctuary, ci sono tante altre armi, armature e oggetti rari da trovare per potenziare il nostro personaggio, magari farci belli con altri giocatori o amici che incontriamo online, per essere una vera e propria macchina da guerra e marciare su un letto di nemici.
Vittime di un sistema predatorio?
Si parlava di live service. Avrete sicuramente sentito parlare di un certo Destiny o, per restare in casa Blizzard, di World of Warcraft. Ebbene oggi il mercato sta virando drasticamente su questo settore, puntando a giochi che riescano a creare delle community, vissute e alimentate da videogiocatori attivi e paganti (che sia per store online per nuove espansioni).
Questo è un sistema di sostentamento tanto bislacco quanto funzionale, almeno nella pretesa che un pubblico può avere verso una software house nel supportare un titolo negli anni, aggiornandolo con nuovi contenuti. Blizzard in tal senso non ha mai nascosto questa declinazione nel cercare di spingere i videogiocatori a comprare oggetti vantaggiosi negli store online dei suoi videogiochi.
Prima di Diablo 4 c’è stato un certo Diablo Immortal, titolo free to play da giocare sia su smartphone che su PC, che permetteva divertimento fino ad un certo punto, per poi andare contro alla solita inevitabile impossibilità di progredire oltre. I mondi di gioco si fanno più difficili, l’equipaggiamento raro diventa impossibile da ottenere e ci si ritrovava dopo poco bloccati.
A poco serviva spendere decine e decine di ore nel gioco, sperando di trovare oggetti rari (con una percentuale assolutamente bassa) che ti possano aiutare a progredire nei mondi. Bisognava mettere mano al portafogli e spendere. Le critiche non si fecero mancare, ma nonostante questo Diablo Immortal fattura ancora oggi in modo impressionante. I fan storici avevano una sola domanda: anche Diablo 4 sarebbe stato così?
L’evoluzione di Diablo 4
Per fortuna no. Certo, il negozio è presente nelle schermate di gioco, ma comprare è un’opzione, non una necessità. Si può arrivare da Lilith, sconfiggerla e poi continuare a giocare per potenziare al massimo il personaggio, andare alla ricerca dell’equipaggiamento più raro disponibile e continuare a sconfiggere nemici fortissimi senza spendere soldi. Allora sì, è un bene poter sottolineare come con Diablo 4 siamo tornati a giocare qualcosa che ci piace, che ci crea sana gratificazione e che ci regala sano divertimento nel ripetere più e più volte sempre le stesse missioni pur di trovare l’equipaggiamento migliore.
Un po’ come tornare a casa e sentire il profumo di caffè.
Non è da sottovalutare quella fetta di utenza che ha reso la saga di Diablo un vero e proprio gioco di culto, capace di entrare nelle case di milioni di giocatori in tutto il mondo. Il motivo è il più semplice possibile: Diablo è un titolo che è bello giocare, da possedere ardentemente. Impossibile non avere tra le mani o installato sul nostro computer uno dei più grandi successi di casa Blizzard.
Giochiamo ancora a Diablo, dopo tutti questi anni perché è divertente certo, ma rappresenta il massimo esponenziale di una piacevole sensazione di accoglienza, di piacere, di appagamento.
Ma anche perché non c’è posto più bello di casa nostra. E quella casa si chiama Sanctuary.