La Sirenetta è l’ultimo remake in live action di casa Disney, uscito nei cinema lo scorso 24 maggio.
Con un ottimo esordio al botteghino, La Sirenetta sta portando in sala curiosi, scettici, nostalgici e ovviamente una nuova generazione troppo giovane per aver visto Ariel al cinema o in VHS. Diretto da Rob Marshall e interpretato, tra gli altri, da Halle Bailey, Jonah Hauer-King, Melissa McCarthy e Javier Bardem il film (qui la nostra recensione) fa rivivere la storia del Classico Disney cercando quel fragile equilibrio che risiede tra nostalgia, omaggio e volontà di attualizzare quello che era stato già raccontato. Una premessa che accomuna tutte le operazioni di remake che sta portando avanti la Disney ormai da diversi anni. Nel bene e nel male.
La Sirenetta, in particolare è un film che si è distinto già nelle primissime fasi di pre-produzione per le forti polemiche che l’hanno accompagnato a causa della scelta della sua protagonista Halle Bailey. Una scelta che, sì, potrà essere anche programmatica ma che allo stesso tempo porta con sé la necessità per Disney di affrontare discorsi caldi – in primis l’inclusività, e quello di fare i conti con una legacy complessa. Scegliere Halle Bailey per riportare sullo schermo un personaggio amato come Ariel ha a che fare con una sensibilità in merito a una rappresentazione etnologica e culturale che, fortunatamente, sta cambiando, e che Disney percepisce forte e, probabilmente, non senza qualche pressione.
Questa è la grande rivoluzione della Ariel del 2023. È inserita in un nuovo contesto caraibico, enfatizzato a sua volta dal nuovo arrangiamento della colonna sonora – a cui si aggiungono due brani inediti -, ma non viene scritta diversamente dall’originale. Solo al principe Eric viene conferito un background che nel film d’animazione era soltanto accennato e che va a giustificare l’affinità con la protagonista. Entrambi i giovani, desiderosi di avventure, si sentono infatti fuori posto e oppressi dalla volontà delle proprie famiglie. Questo crea senza dubbio una dinamica più interessante che però non rende la protagonista meno innovativa di quanto non fosse già nel 1989.
Ma per capirlo dobbiamo fare un passo indietro.
La Sirenetta e l’inizio dell’animazione contemporanea
Basterebbero due parole, Rinascimento Disney per far capire quanto sia stata grande la portata de La Sirenetta per la major di Topolino. Il film ha portato con sé una rivoluzione enorme salvando il comparto animazione e dando nuova linfa a quello che Disney non riusciva più a fare da anni: far sognare il pubblico con un grande film d’animazione.
A seguito della morte di Walt Disney, nel 1966, lo studio attraversò una crisi creativa profonda che proseguì nel corso di tutti gli anni Ottanta. Sebbene in seguito siano stati riabilitati, grazie anche all’home video, i film realizzati in quel periodo non furono un enorme successo né di pubblico né di critica. Inoltre, i fondi da destinare all’animazione erano talmente pochi che lo studio non poteva più permettersi le innovazioni tecnologiche che avevano contraddistinto gli anni d’oro; anzi molto spesso si tendeva a riutilizzare vecchie animazioni, come è avvenuto, per esempio, in Robin Hood in cui si vedono animazioni già presenti ne Gli Aristogatti.
Nel 1988 Oliver & Company, rielaborazione in chiave moderna di Oliver Twist, sbanca al botteghino e l’allora presidente della Disney Jeffrey Katzenberg dà il via il libera a due giovani registi, John Musker e Ron Clements, per un progetto basato su La Sirenetta di Andersen. Proprio loro erano entrati in possesso di materiali di proprietà della Disney risalenti agli anni Trenta, in particolare le meravigliose illustrazioni di Kay Nielsen, per un trattamento della fiaba mai realizzato. Qui finisce il mito e inizia la storia di come La Sirenetta è entrata a far parte del nostro mondo.
Il primo grande musical animato per un’eroina moderna
La Sirenetta non sarebbe stato il film che poi è diventato grazie al contributo artistico di Howard Ashaman e Alan Menken. Reduci del loro successo Off-Broadway Little Shop of Horrors, i due lavorarono intensamente alla colonna sonora del film rendendolo di fatto il primo grande musical di casa Disney e inaugurando quella che sarebbe diventata nel corso degli anni successivi una vera e propria cifra stilistica.
Un approccio in stile teatrale in cui la narrazione procede attraverso le canzoni che, sebbene fosse stato già parzialmente testato in Oliver & Company, ne La Sirenetta raggiunge il suo apice: basta chiudere gli occhi e pensare a quelle composizioni capaci di virare dal solenne al comico, come la meravigliosa partitura dei titoli di testa e alla divertentissima Los Poissons. In questo senso le trovate di Ashman, che fu molto presente anche durante la scrittura del soggetto, si sono rivelate geniali: una su tutte quella di caratterizzare il granchio Sebastian con un accento giamaicano, un dettaglio che va a riflettersi anche nella colonna sonora, entrata di diritto nel nostro immaginario collettivo.
In particolare una delle canzoni, Part of Your World, può essere oggi considerata come la prima I want song di casa Disney. Un pezzo che descrive alla perfezione Ariel, prototipo di un’eroina nuova e moderna, rispetto alle precedenti principesse.
Arrivata al cinema ben trent’anni dopo l’ultima principessa dello studio, Aurora de La bella addormentata nel bosco (1959), Ariel è l’incarnazione delle adolescenti moderne. Sognatrice, testarda e ribelle, Ariel rappresenta un punto di rottura molto forte rispetto ai personaggi femminili precedenti, a loro volta incarnazioni di un’epoca differente. Sono passati altri trent’anni da allora, e molte cose stanno cambiando, ma se ci pensiamo bene la Ariel di Halle Bailey in cosa è così diversa rispetto alla sua controparte del 1989?
Mettendo da parte il giustissimo discorso sulla rappresentazione, su un piano di scrittura e caratterizzazione del personaggio l’essenza di Ariel non cambia. Desiderosa di vivere la propria vita in un altro mondo, per lei l’incontro con Eric è fatidico ma non il motivo scatenante del suo voler avere le gambe, come in molti hanno sostenuto. È ovvio che raccontare questa storia oggi significhi colorarla di una nuova sensibilità, ma non bisognerebbe dimenticare quanto la coming of age story di questo personaggio fosse già avanti sui tempi e quanto, nella sua semplicità, sia ancora molto attuale. Una sensibilità che fa di Ariel un’eroina moderna, e al contempo capace di raccogliere la tradizione dello studio.
La Sirenetta un ponte tra ieri e oggi
Così come la versione di Rob Marshall ci porta a fare delle riflessioni su cosa sia cambiato nel corso degli ultimi trent’anni in fatto di rappresentazione, ma anche – ahimè – nel fatto di voler riproporre troppo spesso le stesse storie, la versione del 1989 è anche un ponte tra l’animazione del passato e quella che stava nascendo.
Se oggi ci domandiamo, a ragione, se siano migliori gli effetti de La Sirenetta o quelli di Avatar: La Via dell’Acqua ci basti pensare che il film di Musker e Clements è stato tra i primi a utilizzare tecniche d’animazione digitali attraverso un prototipo del famoso CAPS della Pixar che permetteva di combinare animazione a mano ed effetti digitali. Il tutto ovviamente senza l’utilizzo di effetti ottici o macchine da presa. Non a caso La Sirenetta è stato l’ultimo film Disney in cui vennero utilizzati i mitici rodovetri (i fogli in acetato di cellulosa) dipinti a mano. Oggi tutto questo sarebbe impraticabile.
Era il tramonto di un’era e l’alba di un’altra. Qualcosa che, per certi versi, sta avvenendo anche oggi, soprattutto per quello che riguarda l’avvento di una nuova sensibilità. Sotto questo punto di vista la nuova Ariel è necessaria e il retelling di questa storia trova il suo senso per il grande significato che porta con sé il rendere una delle più amate principesse Disney afroamericana.
Ariel trent’anni fa ha salvato la Disney, ha portato l’animazione verso il futuro e ha fatto sognare generazioni di bambini ribelli, così come continuerà a farli sognare oggi, trent’anni dopo. A prescindere dal colore della pelle, suo e di chi la guarda. E questa è una bella storia che merita di essere raccontata.
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