La Storia è scritta dalle guerre e dagli uomini. O dalle guerre degli uomini, fa lo stesso. Gesta di sangue, intrighi e battaglie rimaste impresse a fuoco nei libri. Le donne rimaste nell’immaginario, invece, sono entrate negli annali soprattutto per una cosa: la crudeltà delle loro morti. Ne sanno qualcosa Giovanna D’Arco, la regina Maria Antonietta e sua maestà Anna Bolena. Figure tragiche e martiri che il cinema ha abbracciato tante volte. È successo meno con figure meno note, più discrete, rimaste ai margini. Forse perché morte con la loro testa ancora attaccata al collo.
È il caso di Caterina Parr, sesta e ultima moglie dell’instabile Enrico VIII. È alla sua figura fragile solo in apparenza che il regista brasiliano Karim Aïnouz dedica il suo nuovo film, presentato in Concorso al 76esimo Festival di Cannes e liberamente ispirato al romanzo La mossa della regina di Elizabeth Fremantle.
In questa recensione di Firebrand racconteremo un film dotato di grande sensibilità e gusto per il buon cinema. Tutto dedicato alla rivoluzione silenziosa di una donna capace di combattere la tirannia dei re in pieno delirio di onnipotenza. Una regina dotata dell’arma più potente di qualsiasi spada: le parole.
Firebrand
Genere: Dramma storico
Durata: 120 minuti
Uscita: 21 maggio 2023 (Cannes)
Cast: Alicia Vikander, Jude Law, Sam Riley, Eddie Marsan
Terrore a corte
Seconda metà del Cinquecento. Il regno di Enrico VIII è quasi giunto al tramonto. Mentre il sovrano è impegnato in una campagna militare, Caterina Parr gestisce il regno con grande equilibrio e tratta i figli (non suoi) con garbato affetto. Tutte cose che il consorte ha dimenticato da tempo. Durante la sua assenza la regina, amante della scrittura e della poesia, si avvicina alla figura controversa della predicatrice Anne Askew. Un rapporto che consolida le idee protestanti della regina, inevitabile conseguenza di un sentire comune che inizia a soffrire le figure clericali.
Così, al rumoroso ritorno di Enrico VIII a corte, Caterina dovrà scontrarsi con tutta la maniacale insofferenza di un marito violento e di un re cattolico intollerante, che ha ormai perso da tempo il lume della ragione. Un clima di sospetti, tensione e di terrore sempre più pesante che Firebrand tesse attorno ai personaggi e al pubblico con grande pazienza. Un dramma asfissiante che parte alla larga, come un canonico film in costume, per poi stringersi sempre più forte attorno al collo di una donna vessata da abusi di ogni tipo. Ed è proprio quando diventa un cappio che Firebrand conquista per davvero.
Nella gabbia dorata
Il merito è tutto delle straordinarie interpretazioni di una misurata e intensa Alicia Vikander (Caterina) e di un raccapricciante Jude Law (Enrico VIII), quasi irriconoscibile nel dare anima e corpo a un uomo divorato dai suoi stessi demoni. Un relitto umano che diventa più debole ogni volta che esibisce la sua forza. Opposto alla faccia imbolsita del re, il volto antico di Vikander ispira Aïnouz come farebbe una Musa. Dopo il notevole La vita invisibile di Eurídice Gusmão (che qui a Cannes vinse il premio Un Certain Regard nel 2019), il regista mostra ancora una volta grande sensibilità verso l’universo femminile oppresso dal maschile. Firebrand, infatti, torna sugli stessi temi passando da un mosaico familiare a un ritratto personale. Un ritratto, quello di Caterina, delineato senza evidenziatore. Senza urlare mai. Vikander lavora di sottrazione, pesa ogni parola e ogni gesto, portando avanti la sua rivoluzione con ferma gentilezza.
È una donna posata, decisa, che sa sopportare, subire, resistere, per poi arrangiarsi con grande intelligenza e buon senso. Firebrand non si fa mai ingolosire troppo da forzature ruffiane (figlie del girl power a ogni costo), perché è sempre credibile nelle sue dinamiche. Va detto, poi, che il film guadagna spessore soprattutto dopo l’entrata in scena del fetido Enrico VIII di Law. È la sua presenza a creare il contrasto necessario, il contraltare perfetto, il nemico che incarna tutto il male del suo tempo (l’intolleranza, il maschilismo e il possesso malato). Nasce così un braccio di ferro psicologico e fisico, in cui Vikander e Law riempiono la scena da soli. Affiatati anche nel respingersi.
Puzza di morte
Firebrand è un film di corpi più che di spazi. Un film molto teatrale nella messa in scena, che rinuncia agli esterni per chiudersi nelle stanze del potere e della disperazione. Impreziosito da una fotografia capace di ricreare immagini simili a dipinti dal gusto fiammingo, questo dramma storico si sporca poco per volta, perdendo molto presto quella patina assai comune dei film in costume. Alla corte di Enrico VIII le ferite puzzano, le gambe vanno in cancrena, le mogli si sporcano presto di sangue. Anche perché questa non è altro che la storia di due condannati a morte. E no. L’eleganza dei bellissimi costumi non basta a nascondere il marcio nel cuore degli uomini e il coraggio dentro quello delle donne.
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La recensione in breve
Raffinato ritratto femminile di Caterina Parr, Firebrand costruisce un solido dramma storico alla corte di Enrico VIII. Un braccio di ferro sempre più serrato in cui la paura maschile lascia sempre più spazio alla forza indomita di donne dimenticate dalla storia.
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Voto ScreenWorld