Pochi autori lasciano la sensazione, alla fine della visione dei loro film, di aver raggiunto un grado di comprensione in più del mondo in cui viviamo. Uno di questi è Nuri Bilge Ceylan. Il regista turco, infatti, ha un potere quasi unico: quello di rendere l’ordinario qualcosa di così semplice e allo stesso tempo speciale da farlo diventare una lezione esistenziale, universale, preziosa.
Non fa eccezione il film che affronteremo nella nostra recensione di About Dry Grasses, nuova straordinaria opera, presentata In Concorso al Festival di Cannes 2023, di una filmografia pressoché impeccabile. Con la sua durata extra-large di 197 minuti e lo stile a cui Ceylan ci ha abituato da tempo, composto da lunghissime inquadrature fisse che catturano lunghi dialoghi, About Dry Grasses potrebbe sembrare una montagna invalicabile, una collina troppo ripida per poterla scalare.
Eppure, non senza un po’ di sforzo, una volta arrivati in cima, ci si rende presto conto del grandioso panorama che il regista turco ha in serbo per noi. Un panorama che valeva la pena di poter osservare e contemplare.
About Dry Grasses (Kuru Otlar Ustune)
Genere: Drammatico
Durata: 197 minuti
Uscita: 19 maggio 2023 (Cannes)
Cast: Deniz Celiloglu, Merve Dizdar, Musab Ekici, Ece Bagci
Come riassumere la trama di un film così?
Riassumere la trama di un film come About Dry Grasses non solo è un’impresa, ma sarebbe anche uno sgarbo alla qualità unica che ha il cineasta turco e che continua a dimostrare con la scrittura. Banalmente, si potrebbe dire che questo nuovo film segue le vicende di un professore di arte, Samet, che vive le sue giornate tutte uguali convivendo con il suo amico e collega Kenan, in un paesino rurale dell’Anatolia, in attesa di un trasferimento nella grande città di Istanbul. Con i suoi alunni, Samet ha un buon rapporto, quasi da amico, in particolare con una giovane studentessa di nome Sevim. Le cose inizieranno a cambiare quando incontrerà una professoressa di nome Nuray, che darà vita a uno strano quanto inaspettato confronto con Kenan, e quando verrà travolto da alcune accuse, da parte di alcuni alunni della classe, di essere responsabile di alcuni comportamenti inappropriati.
Una trama che potremmo anche definire esile, soprattutto viste le tre generose ore di durate del film. Eppure, Ceylan riesce nel miracolo di svelare a poco a poco gli elementi narrativi principali, costruendo lentamente una tensione, attraverso due diverse storyline – che però si intersecano tra loro, comunicando e riempiendo i temi centrali del film a vicenda – che sfocerà poi in un finale che colpisce per l’emozione finalmente libera di esplodere. Perché, più che la trama in sé, a Ceylan interessa usare i propri sgraditi e imperfetti personaggi (e quindi umanissimi) per riflettere sull’esistenza e il senso della vita.
Un film di dialoghi e regia
Un film di Ceylan si deve vedere. È l’unico modo per poter comprendere appieno la grandezza di un cineasta che sembra avere un controllo quasi miracoloso su tutti gli aspetti, natura e luce compresa. In questo film composto per lo più da lunghissimi dialoghi, ripresi solitamente in un’unica inquadratura senza stacchi (e che dimostrazione di bravura per gli attori, su cui spicca la giovane Ece Bagci, capace di divorarsi lo schermo), si ha quasi la sensazione che la realtà si stia piegando al volere del regista. Non è cinema verité nel senso più puro del termine, anzi: si ha spesso la sensazione di star osservando un’opera teatrale, ma la scrittura è così ancorata al reale che ci si scorda di star guardando un film.
È un traguardo difficilissimo da ottenere, eppure Ceylan riesce a catturare lo spettatore e a tenerlo incollato per tutte le tre ore. Certo, il pubblico deve essere ben disposto ad accettare questo ritmo sommesso e deve lasciarsi trascinare dalle conversazioni che, apparentemente, girano a vuoto (così come la maggior parte delle conversazioni che facciamo ogni giorno), ma la soddisfazione finale è incredibile. Perché, lentamente, ci si rende conto che mentre i personaggi discutevano della loro routine, mentre litigavano o si confrontavano, mentre parlavano di vino e politica durante una cena o mentivano o minimizzavano, stavano in realtà facendo i conti con la loro vita. E, di conseguenza, con quella degli spettatori.
Sulla collina dell’erba secca
La sensazione, arrivati ai titoli di coda, è quello di aver non solo imparato a conoscere un ambiente, una cultura o aver provato una piacevole e terribile forma di empatia per i protagonisti (anche egoisti e crudeli), ma di aver svelato un po’ di più il senso della vita. Perché esistiamo e cosa dona pregio e valore all’aria che respiriamo? Che peso hanno le nostre ambizioni e i nostri desideri? Quanto possiamo lottare contro la fredda realtà dell’inverno per sperare in una nuova primavera? Quanto è complessa la natura umana?
Tutte domande che trovano risposta solo grazie alla complessa banalità di quello che vediamo, alle interpretazioni personali di certe sequenze, alla condivisione di uno stato d’essere malinconico che si può tramutare in una fiamma di speranza. È il cinema migliore possibile, complesso e per niente facile – sia chiaro -, ma capace di lasciare una traccia sullo spettatore, come un’impronta lasciata sul terreno innevato. Una volta arrivati alla fine ci si sente sicuramente più ricchi di vita.
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La recensione in breve
About Dry Grasses è l'ennesimo centro per il regista turco Ceylan che continua, attraverso il suo stile rigido fatto di lunghi dialoghi quotidiani in un'unica inquadratura, a riflettere sull'esistenza umana e a ricercare il senso della vita. Un film esistenziale che si rivela a poco a poco, sino ad arrivare a un finale poetico e liberatorio. Una volta entrati in questo flusso che sembra il paesaggio arido dell'Anatolia orientale, il film è capace di lasciare lo spettatore arricchito.
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Voto ScreenWorld