Stati Uniti. Anni Venti. Una città sperduta nell’Alabama viene inondata da un fiume in piena. Dalle acque emergono animali putrefatti, tanta disgrazia e una donna dai capelli color rame pronta a conquistare la più ricca famiglia di Perdido. Sono queste le premesse di Blackwater, una saga di sei romanzi scritta nel 1983 da Michael McDowell, un vecchio amico di Tim Burton con cui ha lavorato a Beetlejuice e Nightmare Before Christmas.
McDowell voleva che Blackwater fosse una pubblicazione serrata con un libro tascabile in uscita ogni due settimane. Come una serie tv da gustare un romanzo per volta in una vorace sessione di bing-reafing.
E se non siete ancora stati abbagliati dalle splendide ed evocative copertine dal retrogusto retro di Blackwater, probabilmente non entrate in una libreria da almeno 4 mesi.
Perché BlackWater si fa notare sugli scaffali per la sua grafica ammaliante dal gusto Art déco, ma anche sfogliando una storia impregnata di gelosia, intrighi familiari, donne manipolatrici e uomini manipolati. Una storia che è piaciuta tanto a Stephen King, che si è riconosciuto in questa America sperduta attraversata da un’inquietudine sottile e tagliente, con tanto di vaghi richiami agli orrori lovecraftiani.
Per analizzare nel dettaglio uno dei casi editoriali più clamorosi degli ultimi anni, abbiamo fatto quattro chiacchiere in live con Francesca Colletti e Giulia Maselli della casa editrice Neri Pozza. Prendete un bel respiro e tuffiamoci nella torbida atmosfera di Perdido. Quel posto dove niente fa più paura delle persone che dovrebbero amarti.
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