C’era moltissima attesa per l’ultimo film diretto da Nanni Moretti, a due anni dal poco convincente Tre piani e con il crescente timore che il cinema di uno dei maggiori cineasti italiani attualmente in vita non avesse più nulla da raccontare al suo pubblico. Quantomeno, non con la stessa forza sferzante, caustica e senza compromessi che aveva contraddistinto alcuni dei suoi capolavori del passato.

Con Il sol dell’avvenire, in uscita nelle sale italiane con 01 Distribution da giovedì 20 aprile e in concorso al 76° Festival di Cannes, il regista, attore, sceneggiatore e produttore romano chiude finalmente un cerchio personale e artistico a tutto campo, auto-omaggiando i grandi temi e le ossessioni che hanno reso grandi i suoi lungometraggi del passato, senza dimenticare di fare i conti con sé stesso e la contemporaneità.

Nella nostra recensione de Il sol dell’avvenire vi spiegheremo perché la nuova pellicola di Nanni Moretti entra immediatamente di diritto tra le punte di diamante della fase più recente della sua filmografia, lì in alto, assieme a capolavori “parenti” quali Sogni d’oro, Caro diario, Aprile, Il caimano e il più recente Mia madre.

Il sol dell’avvenire

Genere: Commedia
Durata: 102 minuti
Uscita: 20 aprile 2023 (Cinema)

Regia: Nanni Moretti
Cast: Nanni Moretti, Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Mathieu Amalric

La trama: i dolori dell’anziano Nanni

Il sol dell'avvenire

Giovanni (Nanni Moretti) è un regista attempato che cerca di tenere in stentoreo equilibrio alcuni lati della sua vita: da una parte, tenta di realizzare (non con pochi intoppi) un ambizioso lungometraggio in costume ambientato nel 1956, anno in cui l’Unione Sovietica aggredisce militarmente i “compagni” comunisti dell’Ungheria, dall’altra la moglie Paola (Margherita Buy) decide di separarsi da lui per problemi di incomunicabilità. Ce la farà l’alter ego di Nanni Moretti a terminare il suo film?

Da queste premesse familiari si muove Il sol dell’avvenire, ritorno per il regista romano alla regia due anni dopo lo scarso successo (di pubblico e di critica) di Tre piani e di nuovo nei panni di protagonista assoluto, privilegio che non si auto-concedeva dai tempi del celebrato La stanza del figlio del 2001. Familiare perché ricalca con spudorata consapevolezza tracciati semi-autobiografici già intrapresi in titoli come Sogni d’oro, Cario diario e Aprile, ma che tuttavia si installa come intimo lungometraggio con una sua identità ben precisa. Familiare quindi nell’arte morettiana, eppure sempre straordinariamente centrato su un “qui ed ora” di grande urgenza cultural-sociale.

Per capire come sta Moretti basta guardare un suo film

Il sol dell'avvenire

Forse è proprio così, per capire come sta Nanni Moretti, cosa pensa dei grandi cambiamenti della società e se riserba fiducia o pessimismo nell’immediato futuro, basta vedere uno dei suoi film e provare a dare una risposta. Se quindi con questo curioso metro di giudizio dovessimo indovinare lo status interiore del grande cineasta italiano, ci verrebbe da dire che sta attraversando la fase dell’anzianità con grande auto-ironia, testardaggine (e quando mai gli è mancata!) e una sanissima dose di causticità al vetriolo. Qualità (o difetti?) che Moretti ha da sempre sbandierato con orgoglio sbruffone sin dai suoi esordi “autarchici” della fine degli anni Settanta.

Il sol dell’avvenire, prima che l’ennesimo lungometraggio di Nanni Moretti sul cinema e i suoi ingranaggi, ha il sapore di pellicola-terapia in cui l’autore si mette ancora una volta a nudo, servendosi di un suo alter-ego semi-autobiografico (il regista Giovanni) e abbracciando in tutta la sua ineffabile goffaggine e tenerezza l’ironia beffarda con la quale Moretti avvolge il suo familiare protagonista, erede più che naturale degli altri proto-Nanni che avevano costellato le sue precedenti opere-culto; costringendosi a mettersi allo specchio una volta per tutte. Forse per l’ultima volta.

E gira tutta la stanza, mentre si danza

Il sol dell'avvenire

Molti ascriveranno le ambizioni (e la forma a volte smaccatamente onirica e trasognata) de Il sol dell’avvenire agli stilemi che avevano fatto modello unico ma replicabile l’8 1/2 di Federico Fellini, riflessione privatissima tra sogno e realtà meschina di cosa significhi essere artista della settima arte in crisi con se stesso. Eppure l’ultima fatica in ordine di uscita di Nanni Moretti si smacca da paragoni legittimi ma spesso fuori luogo modellando con il proprio vissuto di uomo e cineasta d’antan un’invettiva spassosamente irresistibile nei confronti degli usi e consumi di un’industria cinematografica (in primis quella italiana, espandendo poi lo sguardo a macchia d’olio a quella internazionale) nella quale l’alter-ego Giovanni non riesce proprio a riconoscersi.

E quindi, di fronte alla disastrosa realizzazione di un lungometraggio di chiaro stampo social-comunista e alle avances comicissime di una Netflix che vorrebbe distribuire il film di Giovanni in 190 paesi per poi ritrarsi nel rendersi conto che la pellicola è uno “slow-burner” senza capo né coda, al protagonista de Il sol dell’avvenire non resta che rifugiarsi in un insperato ottimismo per un futuro (il suo e del cinema intero) incerto ma allo stesso modo eccitante, o nella speranza vana che Paola torni al suo cospetto amandolo come fosse il primo giorno, oppure nell’entusiasmo onirico di un film all’orizzonte che racconti una storia d’amore lunga 50 anni con tante canzoni italiane, librandosi infine su se stessi in circoli leggeri come fanno i suoi ballerini sulle note di “Voglio vederti danzare” di Franco Battiato.

Si chiude un cerchio?

Il sol dell'avvenire

Con Il sol dell’avvenire si ha dunque la sensazione primaria di aver assistito sì al tanto atteso erede spirituale (e nella forma) dei suoi capolavori semi-autobiografici più genuini, ma anche al testamento artistico di un cineasta che ha saputo costruirsi negli anni e con grande talento, innovazione e consapevolezza una carriera senza compromessi, uguale a se stessa eppure sempre nuova e sorprendente. Alla soglia dei settant’anni, Nanni Moretti ha saputo quindi confezionare un vero e proprio film-contenitore capace di chiudere i conti con i suoi alter-ego del passato, con i personaggi, i luoghi, le ossessioni e le militanze politiche che da sempre lo hanno contraddistinto ed impresso nell’immaginario collettivo di un’Italia in fermentosa trasformazione politico-sociale da quarant’anni a questa parte.

In definitiva, Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti è il film perfetto per il regista ed attore romano per fare finalmente i conti con se stesso e la sua idea di cinema, confezionando un sorprendente lungometraggio-testamento in cui chiude idealmente un cerchio artistico con tutta la sferzante ironia e la causticità che lo hanno reso nel tempo uno dei più rispettati cineasti nella storia del cinema nostrano. Bentornato Nanni Moretti, e arrivederci!

La recensione in breve

8.5 Testamentario

Il sol dell'avvenire di Nanni Moretti è il film perfetto per il regista ed attore romano per fare finalmente i conti con se stesso e la sua idea di cinema, confezionando un sorprendente lungometraggio-testamento in cui racchiude tutta la sferzante ironia e la causticità che lo hanno reso uno dei più rispettati cineasti nella storia del cinema italiano.

  • Voto ScreenWorld 8.5
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Nato il 27 ottobre 1987, Simone Fabriziani è critico cinematografico ed attualmente collaboratore esterno di ScreenWorld.it, CinemaSerieTv.it e IlMeglioDiTutto.it. Nel 2015 ottiene la laurea triennale in Lingue nella Società dell'Informazione, nel 2018 quella in Scienze dell'Informazione, Giornalismo ed Editoria. L'anno successivo consegue un Master di I Livello in Marketing del Cinema, dal 2019 al 2022 è invece Web Content Editor presso l'agenzia web Psycode. Dal 2011 ad oggi è founder e head writer del blog a carattere cinematografico AwardsToday.it. Conduttore ed ospite in varie rubriche live streaming, è voce frequente del programma radiofonico La Settima Ossessione.