Damien Chazelle ha sopportato tanto. Forse troppo. Prima si è sporcato le mani di sangue per seguire il ritmo dell’ossessione con Whiplash. Poi con il realismo magico di La La Land ci ha raccontato la fine dell’amore (o forse il senso del bene che gli sopravvive) tra due sognatori inconciliabili. E infine, con First Man, ha sublimato il dolore più grande di tutti: perdere una figlia. Forse roba troppo pesante per un regista ancora trentenne, che nell’arco della sua breve e intensa carriera ha dimostrato una maturità e una consapevolezza fuori dall’ordinario. Insomma, Damien Chazelle aveva bisogno di divertirsi e di lasciarsi andare. Proviamo a metterci subito nei suoi panni nella nostra recensione di Babylon, perché l’ultimo film del vecchio “bimbo prodigio” del cinema americano sembra davvero un sfogo incontrollato. Sì, perché Babylon è davvero una strana creatura. Una chimera composta da tante pulsioni diverse che convivono dentro un film anarchico, energico, totalmente squilibrato e allo stesso tempo attraversato dalla tristezza e della malinconia.
Babylon
Genere: Commedia musicale, drammatico
Durata: 189 minuti
Uscita: 19 gennaio 2023 (Cinema)
Cast: Margot Robbie, Brad Pitt, Diego Calva, Tobey Maguire, Olivia Wilde
Trama: c’erano tre volte a Hollywood
Il titolo del film, va detto, è di una sincerità disarmante. Babylon assomiglia davvero a una Torre di Babele: caotica nel tono, nello stile e nella narrazione. Proviamo a mettere ordine tirando le fila della trama. Siamo nella rampante Hollywood di fine anni Venti. Un regno dorato fatto di pulsioni effimere e desideri duri a morire. Tra orge, festini luccicanti che ridefiniscono il concetto di “sobrietà” e sbornie da gestire, seguiamo le esistenze di irrequiete di Nellie LaRoy (ambiziosa astro nascente pronta a tutto pur di svettare), Jack Conrad (star consumata sul lento viale del tramonto) e del mite Manuel, giovane di belle speranze travolto dal vortice di eccessi di quella Los Angeles peccaminosa.
Però, il vero terremoto non è l’ennesimo party a base di sesso e droga, ma l’avvento di una rivoluzione assoluta: il sonoro. Uno scossone che mette in discussione i divi e il cinema stesso. Nonostante queste premesse, sappiate che Babylon non è un film che vive sulla solidità del racconto e sulla caratterizzazione dei personaggi. Damien Chazelle ci regala sprazzi di quella Hollywood antica e forse mai davvero passata di moda. Sono attimi, momenti rubati, scorci in cui spiare dietro le quinte di anime in pena che provano con tutte le loro forze a dare un senso alla loro esistenza effimera. Come? Provando a lasciare il segno, a essere ricordati, sforzandosi di non essere dimenticati.
Fiamme a Los Angeles
Chazelle ha un conto aperto con la notorietà. Questo lo abbiamo capito fin dai tempi di Whiplash e La La Land, dove il confine tra passione e ossessione per il successo artistico era molto labile. Questa volta però non c’è una riflessione sul tema del voler emergere dalla folla o del trovare l’anima gemella (Someone in the Crowd), perché Babylon non vuole pensare, ma agire e basta. Bruciare e basta tra le fiamme di un cinema eccessivo, bulimico e a tratti persino troppo autocompiaciuto. Chazelle partorisce un film che procede a fiammate, alternando momenti di altissimo cinema (energico, seducente e trascinante) ad altri molto meno riusciti, che girano a vuoto, al limite dell’inconsistenza. Babylon è un film da prendere o lasciare, che può affascinare o creare rigetto. Puro cinema senza mezze misure (e senza controllo), disinibito, eccessivo e strabordante. E come tutte le cose strabordanti, spesso fuori controllo, sfilacciato e a tratti persino presuntuoso nella sua sfrontatezza. Un film che non si fa solo vedere, ma vuole essere vissuto. Paragonabile a una montagna russa che dopo aver toccato apici altissimi e poi deraglia all’improvviso.
Il suono del caos
Se parliamo di caos è perché dentro Babylon convivono generi diversi tra loro. Nel suo calderone borbottante scalpitano la satira di una Hollywood quasi ridicola, in preda a deliranti manie di grandezza, una storia d’amore e il dramma delle persone fragili. Tutto messo in scena con una regia esagitata, turbolenta e inquieta proprio come tutti i personaggi. Il tutto esaltato dall’ispirata colonna sonora di Justin Hurwitz, che si permette anche il lusso di autocitarsi richiamando alcuni temi di La La Land. Ma quello che rende Babylon un film davvero contradditorio è il suo moto di amore e odio nei confronti del cinema stesso. Un mondo che abbraccia e respinge e soprattutto un’arte che ispira e subito dopo ti illude, partorendo immagini in grado di distruggerti oppure di farti vivere per sempre nell’immaginario collettivo. Nasce così un’opera agrodolce, attraversata da pulsioni opposte. Prima dalla fame di vita, l’euforia, il sesso e il desiderio. E subito dopo dalla malinconia, la solitudine e l’abisso della morte peggiore: essere dimenticati. Una cosa è certa, come un Whiplash e in La La Land, anche in Babylon per Chazelle arte fa rima con sacrificio.
Déjà vu
Sull’altare di questa Babilonia, come detto, viene sacrificato l’equilibrio di un film poco a fuoco e troppo ondivago. Chazelle aveva tante, troppe cose da dire, e le ha messe in scena armato di un talento sempre incredibile nella messa in scena ma meno equilibrato e composto nel tono. A questo aggiungiamo un citazionismo cinefilo forse fin troppo debitore nei confronti di altri film, visto che Babylon miscela la frenesia lussuriosa di The Wolf of Wall Street con la disillusione di C’era una volta a…Hollywood. Il tutto condito da una spruzzatina di The Artist e buone dosi di Cantando sotto la pioggia. L’emblema lampante di questo citazionismo insistente è proprio Brad Pitt, che sembra fermo a metà strada tra il tenente Aldo Raine di Bastardi senza gloria e il fragile Rick Dalton (made in Leonardo DiCaprio) del già citato film di Tarantino. Insomma, questo Babylon è uno strano cocktail dal sapore forse troppo familiare. Già sentito altrove. Solo shakerato più forte. Ma che rimane sullo stomaco. Indigesto e a suo modo indimenticabile come tutte le cose che ti restano in testa e in bocca dopo una sbornia.
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La recensione in breve
Il grande sfogo incontrollato di Damien Chazelle. Questo è Babylon: un'opera anarchica e sopra le righe, che riflette con ardore e malinconia sulle derive di un cinema che ammalia e inganna. Proprio come fa questo film.
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Voto ScreenWorld