Uscito ventisei anni fa e considerato come il primo capitolo di una trilogia informale, l’inquietante e criptico Strade perdute risplenderà di nuova vita in sala dal 16 al 18 gennaio. L’iniziativa è a cura della Cineteca di Bologna e del suo progetto Cinema Ritrovato, mirato a riportare sul grande schermo i grandi classici del passato. Restaurato in qualità 4K da Criterion sotto la supervisione dello stesso David Lynch, scopriamo perché rivedere al cinema l’incubo di David Lynch.
La trama: l’inizio di un incubo
Istrionico musicista jazz, Fred Madison vede precipitare la sua vita in un baratro di ossessione poiché sempre più convinto che sua moglie Renée lo tradisca. A peggiorare ancora di più il suo status di sospetti, ci pensano alcuni strani eventi, come una voce, simile alla sua, che al citofono di casa gli sussurra che “Dick Laurent è morto” nonché delle misteriose VHS che Fred riceve. Proprio in una di queste ultime, Fred vede qualcosa di orribile: sul nastro è impresso se stesso di fianco al corpo fatto a pezzi della moglie. Arrestato per omicidio, la salute mentale del jazzista inizia a vacillare.
Il noir incontra l’onirico
Se c’è un elemento che colpisce, sia visivamente sia a livello contenutistico lo spettatore che si appresta a guardare o riguardare Strade perdute, è la bizzarra quanto riuscita amalgama di noir o meglio, come definito ai tempi dell’uscita, neo-noir, e surreale. Difatti, dopo l’incipit per certi versi sui generis come, tra l’altro, lo stesso Lynch ha saputo insegnare con tutta la sua fondamentale filmografia, il settimo lungometraggio del papà di Velluto blu e Mulholland Drive è una lenta e inesorabile discesa infernale tra reale e onirico anzi, più che di sogno si tratta del mondo degli incubi che affollano la mente umana.
Incubi a occhi aperti, naturalmente, perché se c’è qualcosa che rende grande il cinema lynchiano sono proprio le elevate capacità del regista di confondere, volutamente, le sinapsi dello spettatore, mandando in cortocircuito ogni possibile ragionamento logico. Ed è lo stesso che accade con la psiche del protagonista, il Fred Madison interpretato da Bill Pullman, qui in un doppio ruolo, che inizia a vivere una spirale di sinistri quanto inspiegabili eventi di sangue, violenze e doppie esistenze.
Doppelgänger e personaggi atipici
Come da tradizione di cotanto cinema lynchiano, anche Strade perdute non poteva non abbondare di personaggi atipici, davvero sopra le righe e non inquadrabili in un determinato archetipo poiché, rispetto ad altre controparti registiche, il mondo visionario, grottesco e spaventoso di Lynch partorisce creature univoche nel proprio genere. Quindi, ecco che nei fotogrammi che compongono la pellicola prendono vita personaggi come il pallido Uomo misterioso ma anche alcuni più “normali” come il gangster violento o la femme fatale ambigua (provenienti da tanto cinema e letteratura noir). Ma, la tematica più evidente di Strade perdute, è quella del doppelgänger, di quel doppio malefico a cui letteratura, folklore e psicanalisi hanno dedicato molto spazio.
Non per niente Strade perdute potrebbe essere anche considerato come un film dentro al film per via della natura doppia, come un Giano bifronte, dei propri personaggi. Questa scelta, questa messa in scena che ricorda il Jekyll e l’Hyde di stevensoniana memoria è il plus che rende l’intero plot di questa opera lynchiana qualcosa da decodificare scena dopo scena per ottenerne una interpretazione logica e plausibile. Un film sul doppio, quindi, che parimenti offre una duplice visione: da un lato, la facciata di normalità (come Velluto blu ha saputo insegnare), dall’altro lato, invece, si ha a che fare con l’oscuro, con la violenza, con la perversione. Aspetti, questi, che vengono nascosti dentro a ogni personaggio che, in una prima istanza, cela la sua vera indole negativa.
Inquietudine e scenari da thriller
Come già affermato, Strade perdute è una riuscitissima miscela perfetta tra noir, genere da cui Lynch ha recuperato la visione cupa e hard boiled, per certi versi, di scenari, situazioni e personaggi, e onirismo. Un incontro, questo, che permette al film di instillare in chi lo guarda una profonda, angosciosa inquietudine. Per certi versi, oltre alla natura squisitamente da thriller d’autore cervellotico e criptico quale è Strade perdute, è pur vero che, a tratti, dinnanzi a tale e importante opera sembra di assistere a un film dell’orrore calato in un contesto reale, non popolato da creature o mostri orripilanti e deformi bensì da uomini e donne borderline imprevedibili e capaci di qualsivoglia disumana nefandezza.
Infatti, all’interno di Strade perdute non mancano situazioni al limite così come scene di esplicita e cruenta violenza. Scoppi con i quali, chi conosce bene l’intera opus filmica di David Lynch, ha già una certa familiarità ma, nonostante ciò, ancora oggi sono capaci di spiazzare e lasciare, come già affermato, una profonda inquietudine anche per giorni dentro lo spettatore. D’altronde, la grandiosità di Lynch risiede proprio in questo: nel far convivere due anime, ossia quella ordinaria che si rifà ai generi del cinema ben collaudati come il thriller e, in questo caso, il noir, e quella straordinaria ai limiti dell’impensabile, fatta di visioni parossistiche e annichilenti.
Il primo capitolo di una trilogia informale
Strade perdute è solo l’inizio di quella che potrebbe essere identificata, a maggior ragione, come la seconda fase registica di David Lynch: non a caso, il film del 1997 può essere considerato come l’apripista, il primo capitolo di una trilogia informale composta, appunto, da Strade perdute e dai successivi Mulholland Drive e INLAND EMPIRE, altri due imponenti mostri sacri della sua filmografia che hanno in comune il leitmotiv degli insondabili e controversi meandri della mente umana.
Strade perdute è tutto e il contrario di tutto: è un noir adulto, certo, ma anche un thriller di alta caratura psicologica come i fratelli Mulholland Drive e INLAND EMPIRE eppure, rispetto ai successori, segna una cesura con il prima e il dopo. Uscito in sala sul finire degli anni Novanta, Strade perdute sembra tagliare i ponti con il passato, con la “semplicità” del thriller con stilemi da noir, così da poter anticipare di una manciata di anni il cinema degli anni Duemila, una creatura futura che, nel corso delle due ultime decadi, è andata alla ricerca sempre più di un certo surrealismo d’antan.