È sempre interessante ragionare su realtà che diamo per assodate, vere e proprie certezze nelle nostre vite, cercando di andare a ritroso nel tempo per capire la loro origine. Un lavoro, quello filologico, che è applicabile a ogni ramo, e quello cinematografico non fa eccezione. Il mondo del cinema è un’industria e come tale è portato dall’istinto di sopravvivenza capitalistico a prendere gli “imprevisti di successo”, quelle mosche bianche non preventivate che però sono in grado di creare profitto, a inglobarli cercando di replicarli con continuità. Così quel piccolo e inatteso bug di sistema diventa col tempo un ingranaggio dell’industria cinematografica e, come tale, entra nella routine della vita di noi appassionati che ne diamo per così per scontata l’esistenza. Questo vale sia per un film come Lo squalo – il cui metodo distributivo rivoluzionario è diventato lo standard dei blockbuster fino a oggi – che per il mondo della commedia italiana moderna.
Nella seconda metà degli anni ’90 in Italia due sono i principali “imprevisti” con cui gli spettatori prima, il mercato e l’industria poi, si sono trovati a fare i conti: Leonardo Pieraccioni e Aldo, Giovanni e Giacomo. Due fenomeni cinematografici nati da una lunga gavetta tra teatro e televisione e destinati a deflagrare fin dagli esordi il mondo della commedia italiana, diventando caposaldi delle vite di noi spettatori. In questa sede, come da titolo, ci occuperemo di Aldo, Giovanni e Giacomo, partendo dall’esordio folgorante con Tre uomini e una gamba per poi ragionare, alla luce della recente uscita de Il grande giorno, sull’eredità del trio e su quanto ancora abbiano da dire.
Tre uomini e una gamba: un esordio folgorante
Aldo, Giovanni e Giacomo si formano, come li conosciamo oggi, nel 1991. Il percorso prima di approdare al cinema è ancora lungo e la strada passa prima per il teatro, dove troveranno il successo con la regia di Arturo Brachetti (e sull’importanza di avere un regista importante con loro torneremo dopo) e poi per la televisione. Nel piccolo schermo la notorietà arriva grazie agli sketch in Mai dire Gol, il cui ruolo di laboratorio comico italiano meriterebbe un approfondimento a parte. Arriva poi il momento in cui si decide di provare il grande salto. Tre uomini e una gamba rappresenta a tutti gli effetti una scommessa da parte di tutti, tanto che il trio decide di non richiedere un compenso in cambio di una percentuale futura sugli incassi del film. Aldo, Giovanni e Giacomo puntano di fatto su loro stessi e sul loro percorso, convinti di poter regalare al mondo uno sguardo comico nuovo e in linea con il sentimento dei tempi. Prendono come spunto per il soggetto il romanzo di Jerome K. Jerome Tre uomini in barca (per non parlare del cane) e condividono la regia con Massimo Venier, conosciuto proprio durante il lavoro a Mai dire Gol.
Il risultato lo conosciamo tutti: un film che, grazie alla struttura del road movie, permette ai tre e alla sodale (all’epoca) Marina Massironi di ricreare alcuni degli sketch che avevano già portato altrove. Come? Inserendo dei veri e propri cortometraggi in Tre uomini e una gamba come l’indimenticabile Ajeje Brazorv e il controllore dell’autobus. Proprio l’idea di inserire i corti con cui i tre danno sfogo anche al loro amore cinefilo è tra le più interessanti. Gli anni ’90 sono quelli in cui il postmodernismo arriva al suo picco e Aldo, Giovanni e Giacomo inserivano all’interno del loro esordio una serie di citazioni, più o meno dirette, ad altre opere. Un’operazione per nulla scontata in una commedia italiana che però incrociava alla perfezione il gusto dell’epoca. La storia principale d’altro canto filava e non risentiva della presenza degli sketch, dimostrando anzi grande coesione e uno sguardo generale sul mondo fresco e interessante. Una comicità priva di volgarità e che univa alla brillantezza delle battute una fisicità che non si vedeva da Troisi e che a tratti sfociava nella slapstick. Il successo è grande e imprevisto (soprattutto considerando la presenza in quella stagione de La vita è Bella, di Hercules e di Titanic) e apre le porte al trio che è chiamato a ripetersi.
La riconferma, la crisi e il ricongiungimento
Subito la macchina cinema nota il bug e, con celerità, ingloba nel suo meccanismo Aldo, Giovanni e Giacomo e tra il 1998 e il 2004 il trio si trova protagonista di cinque film, tutti con la regia di Venier. Così è la vita esce l’anno successivo a Tre uomini e una gamba e rappresenta una rarità nella commedia italiana. Quel twist finale probabilmente mette ancora oggi i brividi ai produttori e in generale il film sprizza amore per il cinema di genere da ogni frame. Un coraggio e una peculiarità premiati dal pubblico al botteghino che lo rende il miglior successo della stagione. Stessa sorte ma ancora più in grande che tocca anche a Chiedimi se sono felice, forse la commedia più sofisticata e che riesce a unire, mettendo da parte gli sketch, la visione ancora unica di Aldo, Giovanni e Giacomo a una struttura che richiama sia i classici italiani che la commedia francese. La leggenda di Al, John e Jack decide di prendere uno degli sketch più noti e di espanderlo e forse rappresenta il primo passo falso e un simbolo di quello che poi riserverà il futuro. Infatti con Tu la conosci Claudia? finisce il rapporto con Venier e il percorso, fino a quel momento retto, diventa via via più tortuoso.
Una strada che trova poi un momentaneo vicolo cieco con Fuga da Reuma Park, un tale insuccesso da portare il gruppo a prendersi una pausa. Aldo, Giovanni e Giacomo hanno sempre avuto bisogno di un regista che sapesse utilizzare il loro modo di vedere il mondo con coerenza e all’interno di una struttura che non fosse semplicemente l’incollatura di più sketch indipendenti. Questo era valso sia a teatro con Brachetti che al cinema con Venier. Non è poi un caso che nei quindici anni che decorrono tra la Tu la conosci Claudia? e Odio l’estate (ovvero tra la rottura e il ricongiungimento con Venier) l’unico film riuscito e di successo sia stato La banda dei Babbi Natale, diretto da un regista con una propria visione come Paolo Genovese. Una consapevolezza che, come detto, li ha riportati a collaborare con il regista dei grandi successi prima nel gradito e riuscito ritorno in Odio l’estate e poi nel recente Il grande giorno.
Abbiamo ancora voglia di ridere con Aldo, Giovanni e Giacomo?
De Il grande giorno abbiamo parlato approfonditamente nella nostra recensione. Si tratta di un film che ha una sua unicità nella filmografia di Aldo, Giovanni e Giacomo, con lo sguardo della macchina da presa che fa un passo indietro per inquadrare un cast più ampio e non più incentrato totalmente sui tre protagonisti. Anche gli sketch, intesi in modo classico, praticamente non esistono e il linguaggio citazionista e postmoderno viene lasciato da parte. L’impressione è che anche la ricerca della comicità non sia primaria e che il tentativo fosse di trovare un sorriso amaro, disincantato, mentre si guarda con malinconia al passato. Perché ne Il grande giorno la nostalgia è cercata e trovata in quel finale malinconico. Chiarita l’operazione, messo un punto su ciò che è stato, quel che resta da capire è cosa potrebbe prospettarsi per il futuro di Aldo, Giovanni e Giacomo? Il loro modo di vedere il mondo così unico e imprevisto degli esordi è ancora attuale oggi? Le risposte potrebbero essere molteplici. Molto dipende da quanto sono cambiati loro e da quanto lo sono i nostri gusti, la nostra voglia di ridere e di essere intrattenuti. Da come quell’imprevisto unico sia diventato convenzionale. Il pregio principale de Il grande giorno è proprio mostrare sui propri protagonisti, sotto il velo della nostalgia, questo dubbio. Un dubbio malinconico proprio perché condiviso sia da loro che da noi spettatori. Perché ancora più difficile di cambiare è prendere consapevolezza del cambiamento avvenuto.
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