Li avevamo lasciati mentre odiavano l’estate. Adesso rieccoli riabbracciare il Natale, prendendosi quel palcoscenico (e quei rischi) che mancavano da tanto, troppo tempo. Era il lontano 2016 quando Aldo, Giovanni e Giacomo portavano in sala il loro ultimo film natalizio con quel Fuga da Reuma Park che forse ha rappresentato il loro punto più basso. Un film sfilacciato, stanco, nato vecchio. Sembrava l’ultimo inchino, ma per fortuna così non è stato. Perché due anni fa Odio l’estate, grazie al ritorno di Massimo Venier in cabina di regia, aveva stupito tutti. La sensazione era quella di ritrovare vecchi amici persi di vista da anni. E adesso rieccoli, di nuovo insieme. Aldo, Giovanni, Giacomo e Massimo, che sono tornati per restare. Questa è la notizia più confortante di tutte con cui apriamo la nostra recensione de Il grande giorno. Perché più deludente di un trio disperso c’è solo una falsa ripartenza. Invece il sipario del palco natalizio si apre su una commedia agrodolce, brillante quanto deve e cinica quando serve.
La trama: i troppo promessi sposi
Convivenza forzata. L’habitat naturale di Aldo, Giovanni e Giacomo è sempre stato quello. Solo che questa volta non siamo invitati all’ennesimo viaggio on the road ma al più classico dei matrimoni in pompa magna. Invitati selezionati, villa extra lusso sul lago di Como, cibo gourmet e aspettative alle stelle. Giovanni e Giacomo sono colleghi e amici d’infanzia, ma non potrebbero essere più agli antipodi. Il primo ambizioso e tracotante. Il secondo prudente e poco incline ai rischi. I futuri suoceri si apprestano a ricevere i loro ospiti, tra cui spicca il verace Aldo (compagno dell’ex moglie di Giovanni).
Una mosca bianca che sconvolgerà la borghese pace lacustre di un matrimonio che sa da fare. A tutti i costi. Così suggerisce la misteriosa voce narrante che ci introduce in questa fiaba moderna con tanto di morale lampante. Una struttura classica che Venier impreziosisce donando al trio tre maschere antiche. Giacomo e Giovanni sembrano quasi il Gatto e la Volpe, soci in affari costretti a sguazzare nell’ipocrisia d’impresa, mentre Aldo è una specie di Grillo Parlante. La scomoda voce della coscienza pronta a scoperchiare tutte le brutte abitudini della nostra borghesia. Quella che non rischia mai e si crogiola nelle solite, vecchie abitudini.
Così è la crisi
Chi non si crogiola affatto nel passato sono proprio Aldo, Giovanni e Giacomo, consapevoli di non essere più quelli di un tempo. Per fortuna. Il che significa avere cose nuove da dire. Prenderne atto non è stato indolore, visto che il trio ha attraversato una lunga crisi, che dopo Odio l’estate e Il grande giorno (possiamo dirlo) sembra essere stata vitale per ritrovare l’ispirazione. Ebbene, sì. Ad Aldo, Giovanni e Giacomo è servito. Servito a ritrovare l’affiatamento dei tempi migliori, che però sono andati, dispersi nel passato. Sono “l’avanzo di un ricordo”, come canta Brunori in una bellissima canzone che impreziosisce la colonna sonora del film.
Dopo Odio l’estate, che rifletteva proprio sulla difficoltà di convivere, Il Grande Giorno continua a guardare in faccia gli errori, i rancori e i pentimenti. Un film dove il trio si allarga e non basta più a se stesso, visto che è un’opera corale , familiare, piena di comprimari (non sempre riuscitissimi e utili a tenere alto il ritmo comico). Ed è proprio nel mettersi in disparte che Il grande giorno trova la sua forza. Lo fa quando abbandona le vecchie rassicurazioni per lanciarsi verso il nuovo. Un percorso dei personaggi che assomiglia tanto alla nuova parabole che Venier sta delineando anche per il nostro trio.
Figli della borghesia
Si ride abbastanza ne Il grande giorno. Non ci si sbellica quasi mai dalle risate, e non perché manchi la forza comica di un tempo. Semplicemente Aldo, Giovanni e Giacomo sono cambiati, e negli ultimi due film ne hanno preso atto davanti a tutti. Per questo ora preferiscono il ghigno alla fragorosa risata. Meglio ridere a denti stretti con una comicità meno innocua e più pungente del solito. Nasce così un film insofferente alle aspettative, all’abitudine e al retaggio del passato.
Malinconico, agrodolce e con uno sguardo molto cinico verso le ipocrisie borghesi ormai piene di polvere. Un film che parla delle cose che non sappiamo più essere e prende atto della fine. Sembra quasi di sedersi accanto a tre amici per guardare insieme il tramonto. Con onestà, qualche sorriso e la voglia di dirsi tutto. Soprattutto le cose scomode. Come accade tra amici veri. Soprattutto dopo essersi persi e ritrovati.
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La recensione in breve
Amaro, pungente e crepuscolare. Ecco com'è il grande ritorno di Aldo, Giovanni e Giacomo al film natalizio. Un'opera più corale del solito in cui il trio si mette in disparte senza perdere di vista il loro storico affiatamento. Il grande giorno è una conferma rassicurante: dopo Odio l'estate, i signori Storti, Poretti e Baglio sono tornati (cambiati) per restare.
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Voto ScreenWorld