Scrivere una biografia non è un’impresa semplice, soprattutto se si desidera farne un percorso interessante e coinvolgente per chi la leggerà. Realizzarla a quattro mani, poi, è un’impresa ancora più complessa perché, a conti fatti, vuol dire utilizzare due diverse voci. Ed è proprio questa l’esperienza che hanno affrontato i fratelli Howard, nello specifico Ron e Clint, con il loro The Boys – Due vite, un’autobiografia.
Edito da Baldini e Castoldi, questo libro ha tutto l’intento di ricostruire le vite eccezionali di due ragazzi prodigio della televisione e del cinema che, tra gli anni Sessanta e i Settanta, hanno rivestito il ruolo non semplice di baby star. Un percorso che, però, hanno affrontato serenamente grazie al sostegno di una famiglia veramente speciale. Una straordinarietà che li ha forgiati non solo come artisti ma, soprattutto, come uomini e che ora proviamo a spiegare negli aspetti più importanti all’interno della recensione di The Boys – Due vite, un’autobiografia.
The Boys – Due vite, un’autobiografia
Genere: Autobiografia
Durata: 560 pagine
Uscita: 31 ottobre 2022 (Librerie)
Era tutto un Happy Days
Quando il 15 gennaio 1974 la ABC mandò in onda la prima puntata di Happy Days, Ron Howard era per tutti l’ex attore bambino che il pubblico americano aveva imparato a conoscere nel ruolo di Opie Taylor all’interno del The Andy Griffith Show. La sua carriera era iniziata per puro caso alla tenera età di quattro anni ed era continuata senza troppa pressione fino ad arrivare proprio sul set di quello che sarebbe stato uno dei programmi più famosi della televisione americana.
Happy Days, infatti, sarebbe durato per ben un decennio, riportando l’orologio indietro agli anni Cinquanta e a una riproduzione idilliaca di una realtà semplice e famigliare basata sui buoni sentimenti, sull’amore e sull’amicizia. In questa struttura ben definita, dunque, il giovane Ron veste alla perfezione i panni di Richie Cunningham, il tipico bravo ragazzo americano che, con i suoi capelli rossi ed un pallone di basket sempre in mano, rappresenta il sogno di ogni genitore.
Nonostante questo, però, l’attenzione dello show sembra concentrarsi essenzialmente su di un altro personaggio. Ovviamente il riferimento non casuale è per Fonzie che, sotto il giubbotto di pelle e il suo ciuffo ben pettinato alla James Dean, nasconde un cuore tenero, pronto a sciogliersi di fronte all’affetto della signora Cunningham.
Di fatto, questo personaggio dovrebbe fare da contro altare e cavalcare il fascino di una gioventù “bruciata” tipica di alcuni film degli anni Cinquanta. Nonostante l’attenzione riservata a Henry Winkler, il volto storico di Fonzarelli, però, sarebbe stato proprio il giovano Howard ad ottenere il successo internazionale passando, con il tempo, dietro la macchina da presa.
Un colpo di fortuna? Un caso fortuito? Assolutamente no. La carriera di Ron Howard affonda le sue radici essenzialmente nella sicurezza di una famiglia che ha saputo comprendere, accompagnare e semplificare anche gli aspetti più complessi del sistema televisivo senza dimenticare mai di avere a che fare con dei bambini.
Un percorso che Ron ha condiviso con il fratello minore Clint e che, oggi, entrambi hanno voluto raccontare nelle pagine di The Boys. Il risultato è un libro destinato ad interessare non solo chi è appassionato di cinema ma, soprattutto, ad intrattenere con una sorta di leggera profondità tutti coloro che amano le storie famigliari ed i percorsi affettivi.
Perché le vicende che si vanno delineando, attraverso questo racconto a due voci, non hanno nulla a che fare con sterili elenchi di esperienze vissute o di film realizzati. In questo caso il cinema e la televisione rappresentano solamente dei luoghi casuali dove, cosa ben più importante, è stata scritta una storia fondamentale: quella del rapporto d’amore tra un padre ed i suoi figli.
Una famiglia eccezionale come tante
Fin dalle prime parole della prefazione di The Boys, scritte da Bryce Dallas Howard, si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte ad un viaggio famigliare importante, ad una vicenda reale eppure dalle sfumature romanzate dove l’amore, la dedizione e l’unione rappresentano dei pilastri cui fare riferimento in ogni momento. Un’intuizione che viene immediatamente confermata nel momento in cui ci si immerge nei ricordi dei fratelli Howard, desiderosi di ricostruire il lungo percorso d’amore compiuto con i genitori.
Riflessioni che, dopo la morte del padre, hanno accomunato sia Ron che Clint. Tornati per l’ultima volta nella casa dove erano cresciuti, circondati da oggetti tanto famigliari da rimandare ancora un’immagine vivida del passato, hanno preso la decisione di raccontare quegli anni incredibili eppure normali.
Decenni in cui il pubblico li vedeva come dei ragazzi prodigio, mentre per la loro famiglia erano prettamente dei bambini da crescere nel migliore dei modi. E a rappresentare un punto d’incontro tra l’ambiente casalingo e quello televisivo è stato proprio il padre Rance Howard che, insieme alla moglie Jean, è riuscito a rendere tutto eccezionalmente normale.
In questo senso, dunque, possiamo dire che The Boys si presenta quasi come una saga famigliare, un racconto colmo di calore, umanità e sicurezza genitoriale. Un percorso in cui Ron Howard, pur avendo un ruolo apparentemente da protagonista, ancora una volta si pone “dietro” la narrazione puntando i fari e l’attenzione sull’essenza dei suoi genitori.
Non è un caso, infatti, che l’intero racconto parta proprio da loro due, dalle origini rurali del padre, dai sogni di provincia della madre, dalla loro avventura newyorkese e da quell’ansia continua di conoscere, provare e tentare che li ha portati a vivere a mente e cuore aperto.
Principi che hanno trasmesso anche ai figli, senza spingerli né negare loro alcun tipo di esperienza. Piuttosto hanno preferito accompagnarli con mano sicura, occhi aperti ma, comunque, rimanendo un passo indietro, pronti a decodificare un segnale d’incertezza o un bisogno di chiarezza. E per tutto questo Ron e Clint Howard hanno deciso di dedicare loro un vero e proprio inno alla genitorialità, gestendo il racconto attraverso una doppia voce.
Dopo una prima parte in cui la presenza di Ron è evidentemente dominante, considerando il fatto che ha cinque anni più di suo fratello, Clint riacquista terreno con la sua versione dei fatti, arricchendo il racconto generale di un punto di vista sempre nuovo e diverso.
In questo modo si crea una vera e propria orchestrazione che amplia il racconto con sfumature diverse non rischiando mai di cadere nella trappola della noia, nemmeno quando a prevalere sono i ricordi del set o di esperienze cinematografiche troppo “datate” per poter essere facilmente condivisibili.
Un viaggio in macchina e il potere evocativo delle immagini
Chiunque faccia cinema sa benissimo quanto l’uso di una determinata immagine sia fondamentale per rimandare un’emozione o svelare l’essenza di un film o di un progetto televisivo. Un “trucco” che Ron Howard conosce alla perfezione, avendo trascorso gran parte della sua carriera adulta dietro una macchina da presa, tanto da riuscire ad applicarla anche alla pagina scritta. Così, per delineare alla perfezione il rapporto affettivo costruito con i suoi genitori e, in modo particolare, con il padre evoca un ricordo della sua infanzia diventato consuetudine e fonte di sicurezza.
Si tratta di un viaggio in macchina o, per essere più precisi, dei molti percorsi compiuti sul sedile del passeggero accanto al padre Rance in direzione degli studi televisivi dove veniva girato il The Andy Griffith Show. Qui, il regista e il narratore prendono in parte il sopravvento e, scavando all’interno delle proprie emozioni, regalano al lettore una sorta di primo piano, una sequenza essenziale e perfettamente riassuntiva di un lungo percorso d’amore.
Così, chiusi nell’abitacolo della macchina, Rance e Ron, cui successivamente si aggiungerà anche Clint, iniziano una lunga conversazione che, a conti fatti, sembra non essere ancora terminata. Un discorso in cui un padre, cercando di spiegare sempre con onestà l’essenza di un sentimento, i motivi che portano ad una reazione od il significato di una parola misteriosa proveniente dal mondo degli adulti, ha insegnato ai propri figli a non aver timore mai delle loro emozioni.
Anzi, il segreto di vivere fuori e dentro il set in armonia con se stessi, nasce proprio dalla capacità di riconoscerle e apprezzare il loro potenziale lasciando che si esprimano. In questo modo Rance, anche lui con sogni attoriali ma dotato della sana e robusta costituzione mentale di un uomo di campagna, ha cercato di preparare i suoi ragazzi alla realtà, sempre pronto ad agire con discrezione nel momento in cui ce ne fosse stato bisogno.
Una necessità, ad esempio, che per Clint si è fatta sentire successivamente negli anni. Dopo una carriera come bambino prodigio della tv ed alcune parti importanti, nella sua vita è arrivata la dipendenza da sostanze e alcool. Un momento di profonda crisi, che ha coinciso anche con un rallentamento del lavoro ma non ha certo segnato un allontanamento dei suoi affetti. Perché proprio in quella crisi profonda Rance non ha smesso di essere un padre, tenendo suo figlio ancora più vicino a se. E, dalle pagine di The Boys, dai ricordi personali di Ron e Clint, oltre che da quelli condivisi, sembra proprio che questa vicinanza non sia destinata a svanire mai.
Il set e la vita, ossia quando finzione e reale si completano
Altro elemento essenziale in questo grande racconto famigliare è anche l’ambiente televisivo o, più precisamente, quello del set in cui i giovanissimi Ron e Clint hanno imparato a vivere delle esistenze complete tra messa in scena e realtà. In questo caso, però, non ci troviamo di fronte ad un luogo cui è destinato solamente il ruolo di scenografia immobile o veicolo di un messaggio non propriamente positivo.
Nelle pagine di The Boys, infatti, non è in atto nessun tipo di confronto/scontro tra la superficialità del mondo dello spettacolo e la profondità della quotidianità cui i ragazzi tornavano alla fine di ogni giornata. Al contrario, il set è una sorta di creatura viva che, di volta in volta, si esprime attraverso diverse sfaccettature. È un luogo in continuo movimento umano dove, a seconda della loro età, i due giovano Howard hanno imparato molto sulla loro professione e su loro stessi.
Per questo motivo dalle parole scritte prendono vita posti, persone e volti che vanno a definire un’atmosfera realmente complessa, dove si alternano sentimenti e sensazioni diverse. Stimoli ai quali Ron e Clint sono stati sottoposti senza nessun tipo di filtro da una cultura dello spettacolo, quella degli anni Sessanta e Settanta, poco incline al politicamente corretto. Questo vuol dire che, trovandosi al centro d’importanti show televisivi, hanno assistito in prima persona ai vari processi creativi, hanno imparato a comprendere i concetti di successo ed insuccesso, oltre che a districarsi tra il linguaggio assolutamente non filtrato del mondo adulto.
In tutto questo movimento, tra le pagine torna a rivivere un mondo ormai scomparso, una generazione di artisti che, probabilmente, aveva un approccio più entusiastico e creativo al lavoro, oltre al concetto stesso d’impegno. Un ambiente ed un gruppo di lavoro dove la vita concreta non solo entrava costantemente ma, soprattutto, non smetteva di essere la maggior fonte d’ispirazione per rendere reale anche l’irreale.
Ed in questo mondo umanamente caotico, Ron e Clint si sono avventurati consapevoli che avrebbero trovato sicurezza e chiarezza in Rance e Jean. Cosa di cui sono certi ancora oggi. Perché quelle due persone eccezionali eppure normali sono il punto fermo, l’esempio con cui diverse generazioni di Howard continuano a confrontarsi nella rassicurante consapevolezza di essere una famiglia.
La recensione in breve
Evitando le insidie dell'autocelebrazione o di uno sterile decalogo dei successi raggiunti, con The Boys - Due vite, un'autobiografia, Ron e Clint Howard riescono a consegnare un racconto carico di sentimento ed esperienza personale dove l'appartenenza alla loro famiglia rappresenta il fulcro di una narrazione spesso emotiva e mai compiaciuta. Anzi, l'uso di un tono leggero e descrittivo in modo funzionale, regala un'esperienza di lettura piacevole e inaspettatamente coinvolgente.
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Voto ScreenWorld