La notte lampeggia tra le stecche delle veneziane, neon intermittenti rosa e blu dalla bottega coreana all’angolo. I fari delle auto di passaggio proiettano ombre sul soffitto. Da un negozio di musica al pianterreno sale un pulsare di note, che rimbomba come un battito cardiaco attraverso la spalla e il collo di Chris Shiherlis.
Alzati.
Non ce la fa.
Alzati, cazzo. Adesso.
Apre gli occhi.
Non è morto. I morti non pulsano al ritmo del K-pop coreano che sale dal pavimento. I morti non sanguinano.
Basta questo breve incipit per calarci immediatamente nell’atmosfera di questo primo romanzo di Michael Mann e immaginare davanti agli occhi della mente, in maniera vivida, quei mondi metropolitani, notturni, disperati, ma perdutamente romantici, con cui l’autore di Manhunter e Collateral ha sempre sollecitato la nostra fantasia. In questo caso il regista e sceneggiatore americano riporta in vita alcuni tra i suoi personaggi più amati e iconici, ovvero i poliziotti e i ladri protagonisti di quel capolavoro del thriller poliziesco che nel 1995 entrò come un proiettile nell’immaginario collettivo di tutti i cinefili, cultori e appassionati di varia entità.
Parliamo in particolare del detective del LAPD (Los Angeles Police Department) Vincent Hannah e del ladro professionista Neil McCauley, resi immortali da Al Pacino e Robert De Niro in una delle loro più leggendarie interpretazioni. Rispondendo forse al desiderio inconfessabile di molti cultori di quel film, Mann è tornato sul luogo delitto e, grazie anche alla collaborazione della scrittrice Meg Gardiner, ha costruito un passato e donato un futuro a quei personaggi indimenticabili, con un romanzo che costituisce sia un prequel che un sequel agli eventi del film-cult del 1995, spaziando dal 1988 all’anno 2000. È con non poca emozione dunque che ci apprestiamo a scrivere la nostra recensione di Heat 2.
Heat 2
Genere: Crime poliziesco
Durata: 560 pagine
Uscita: 27 settembre 2022 (Librerie)
La trama: sei solo agente Vincent!
Il romanzo prende le mosse esattamente dal finale di Heat, in cui, dopo una rapina in banca che aveva trasformato un quartiere di Los Angeles in Beirut, Hannah aveva fatto fuori McCauley all’aeroporto e Chris Shiherlis, il personaggio interpretato da Val Kilmer, unico sopravvissuto della banda, gravemente ferito alla clavicola, si era dato alla macchia. Questo dopo essersi reso conto che la sua Charlene (Ashley Judd nel film) lo aveva venduto agli sbirri per proteggere il futuro del loro figlioletto Dominique. La moglie era però riuscita comunque a salvarlo dalla galera, tramite un’abile mossa da croupier, eseguita con la mano fuori il balcone di casa sua, avvertendo Chris della presenza dei poliziotti e dandogli modo di allontanarsi.
Chris si rifarà una nuova vita, sempre da delinquente, ma di più alto profilo, in Paraguay, in quel paradiso dell’impunità che è la città di Ciudad del Este, dove imparerà le vie della criminalità transnazionale, ovvero della produzione e vendita di sistemi di guida, hardware e software, per armamenti pesanti.
Ma una nuova relazione lo metterà in difficoltà, soprattutto di fronte all’eventualità concreta di ricongiungersi con la sua famiglia. In un andirivieni temporale assisteremo inoltre ad alcuni colpi da maestro realizzati dalla banda di McCauley a Chicago nel 1988, dove tra l’altro agiva anche un più giovane, ma sempre determinato, detective Hannah, stavolta sulle tracce di un criminale violento e psicopatico, svaligiatore di case. Le strade di Hannah e McCauley si sfioreranno in questo inedito contesto, senza ancora incontrarsi, secondo arabeschi del destino beffardi e spietati. Tutto troverà infine una conclusione (definitiva?) nella Los Angeles del 2000.
Sganciarsi in 30 secondi netti
Non fare entrare nella tua vita niente da cui tu non possa sganciarti in trenta secondi netti se senti puzza di sbirri dietro l’angolo.
Questa era la filosofia di vita di Neil McCauley riguardo le relazioni, espressa dallo stesso Neil nel corso di un iconico dialogo al Kate Mantilini Diner, sul Wilshire Boulevard, con Vincent Hannah, durante il quale poliziotto e ladro si erano riconosciuti ognuno nella solitudine dell’altro, trovando una sorta di affinità emotiva, nonostante si trovassero su fronti opposti della barricata. Questo mantra dei 30 secondi netti, ripetuto da Neil per due volte nel film del 1995, è la stessa base filosofica su cui Mann ha incardinato anche il romanzo, nel quale vedremo un McCauley più giovane e, se vogliamo, ancor più duro e spigoloso, alle prese con gli eventi che lo porteranno ad essere il professionista inscalfibile che abbiamo conosciuto in Heat e che ha adottato quella indispensabile filosofia per sopravvivere emotivamente alla vita che si è scelto. D’altro canto seguiremo i personaggi sopravvissuti alle vicende del film, in particolare Vincent Hannah e il collega fraterno di Neil, Chris Shiherlis, nel corso di nuove imprevedibili e serrate vicende. Ma soprattutto, nel corso di questo avvincente romanzo, ci renderemo conto di come alcuni fili del fato, tessuti molti anni prima delle vicende raccontate in Heat, siano destinati a intrecciarsi di nuovo, come in un dramma epico dei tempi andati.
Il vantaggio di Mann
Come già successo con il romanzo di Tarantino, C’era una volta a Hollywood, anche qui il lettore non avrà problemi a immaginare i personaggi con le fattezze degli attori che li hanno interpretati e resi vivi quasi 30 anni fa. Se in questo modo si potrebbe pensare che l’immaginazione del lettore proceda su binari prefissati, in realtà questa caratteristica si trasforma nel vantaggio di trovarsi a che fare con persone concrete, familiari al lettore, che sarà invece incuriosito nel vederle agire in tempi e contesti diversi rispetto a quelli visti nel film. Inoltre la meticolosità di Mann regista nel costruire i personaggi dei suoi film è un asso nella manica per il Mann romanziere, in quanto, già all’epoca delle riprese, il cineasta si era immaginato un background preciso per McCauley, Hannah e gli altri, sia per dare maggiore spessore alla sceneggiatura, che per aiutare gli attori a immedesimarsi. Ecco dunque che gli appunti o, se vogliamo, le cosiddette bibbie dei personaggi, sono venuti in aiuto di Mann, per costruire le basi di questo romanzo allo stesso tempo sequel e prequel.
Superficie e profondità
Leggere Heat 2 è esattamente come vedere un film di Mann che si squaderna nella propria immaginazione. Ed è un piacere ritrovare nel romanzo lo stesso stile asciutto, diretto e spavaldo dei suoi film. A Mann è stato spesso imputato ingiustamente uno stile vuoto, legato soltanto alla superficie patinata delle sue splendide immagini, mentre invece il suo è sempre stato uno scavo teorico nel significato che si nasconde dietro alla produzione di quelle immagini. Leggendo questo libro si ha la netta sensazione che forma e sostanza si coniughino alla perfezione nel suggerire al lettore quei mondi apparentemente patinati, ma vibranti di energie sotterranee pronte a esplodere, che abbiamo amato nelle sue pellicole. Se a una lettura superficiale si rimane abbagliati dalle perfette suggestioni visive dei film di Mann, non bisogna dimenticare che quei poemi visivi sono sempre stati sostenuti da sceneggiature blindatissime, in cui i personaggi vengono approfonditi in modo ricco e complesso, tramite una messa in scena studiata millimetricamente dove ogni dettaglio assume un significato, anche morale, ben preciso. I personaggi, spesso di poche ma ben assestate parole, vengono soprattutto rappresentati da quello che fanno, piuttosto che da ciò che dicono.
Leggendo Heat 2 la sensazione è esattamente quella: un’enorme profondità sostenuta da uno stile molto asciutto, sebbene costruito con un’attenzione meticolosa ai dettagli. Profondità e superficie, complessità e asciuttezza, sono i poli attraverso cui Mann è riuscito sempre a oscillare in perfetto equilibrio nel costruire mondi filmici unici, riconoscibili, dall’indiscutibile fascino e impatto. Tutto questo ritroviamo dunque nello stile del libro che va avanti tramite frasi brevi e secche, ma senza rinunciare a intense descrizioni degli stati emotivi dei personaggi e dei paesaggi che li riflettono.
Il punto di non ritorno
Nei film di Mann si arriva sempre al cosiddetto punto di non ritorno, in cui i protagonisti sono costretti ormai a proseguire inesorabilmente sulle strade che hanno scelto, spinti dalle loro stesse nature, anche se questo potrebbe portarli alla rovina. Nelle pellicole questa fase viene caratterizzata spesso dall’incedere di un unico ed evocativo accompagnamento sonoro che prosegue attraverso sequenze diverse fino al climax finale, nonché tramite un ritmo di montaggio, non necessariamente più serrato, che segue quella ineluttabilità che sprigiona dalla messa in scena e dai personaggi. Così nel romanzo, soprattutto nei capitoli finali, ritroviamo quello stesso senso di inesorabilità del destino, verso cui vanno incontro tutti i personaggi, in un avvincente climax che rimarrà impresso nell’immaginazione di ogni lettore.
Da un lato non nascondiamo certo il desiderio di vedere trasposto tutto questo in un eventuale film, ma data l’età degli attori coinvolti, si presentano due alternative: un de-aging digitale, soluzione artificiosa che, siamo sicuri, non piacerebbe a Mann. Oppure un più saggio re-casting, soluzione già annunciata dallo stesso Mann nell’intervista a Empire in cui ha rivelato che il film si farà. Dall’altro lato però, forse sarebbe meglio lasciare le cose così, con De Niro, Pacino e gli altri ancora lì, immacolati e prefetti, ma anche oscuri e perduti, nella nostra immaginazione.
La recensione in breve
Heat 2 è un must-have per tutti gli amanti della pellicola cult del 1995 e dei mondi filmici dell’autore di Manhunter. Un avvincente e imperdibile sequel (e prequel) di Heat che soddisferà la curiosità di molti spettatori riguardo il passato e il destino di personaggi tanto amati, e che consente di ritrovare nella scrittura quelle stesse caratteristiche, stilistiche e tematiche, che hanno reso leggendario il cinema di Michael Mann.
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Voto ScreenWorld