Da qualche giorno è disponibile su Netflix il film Troll, lungometraggio d’azione del regista norvegese Roar Uthaug, la cui premessa ruota attorno all’esistenza delle mitiche creature che fanno parte del folclore norreno, e sulla reazione del popolo norvegese quando viene fuori che non si tratta solo di una leggenda le cui origini risalgono a secoli fa.
Il film adatta abbastanza fedelmente gli elementi centrali della versione norvegese del mito: i troll sono creature ostili agli umani, in parte per motivi associati alla religione (il cristianesimo, una volta arrivato in Norvegia, non autorizzava altre credenze religiose, tra cui il paganesimo a cui sono legate queste creature), e in giro per il paese vi sono formazioni rocciose che, nel folclore locale, sono il frutto della metamorfosi di questi esseri, i quali si pietrificano se esposti alla luce del sole. Generalmente, sia quando hanno sembianze mostruose – come nel film – che quando assomigliano agli umani, vivono lontani dalla civiltà e hanno rapporti conflittuali con le altre specie.
Questa versione specifica del troll differisce da quella descritta nei primi miti norreni, dove il termine indica in modo intercambiabile vari tipi di creature, tra cui i licantropi, ma già il prototipo è comunemente descritto come ostile all’uomo e tendenzialmente residente in aree cavernose o di montagna, lontano dalla luce. Queste caratteristiche sono rimaste in altre varianti del mito, come quella rielaborata da J.R.R. Tolkien, grande appassionato di mitologia scandinava, per i suoi scritti ambientati nella Terra di Mezzo.
Esistono anche esempi positivi di troll, spesso con connotazioni talmente diverse dall’incarnazione canonica che con il prototipo hanno in comune solo il nome: è il caso dei romanzi per l’infanzia della scrittrice finlandese Tove Jansson, dove i Mumin sono considerati troll ma hanno un carattere mite e fattezze simili a quelle degli ippopotami.