Dopo una settimana di programmazione nelle sale possiamo dirlo: Strange World – Un mondo misterioso è un flop.
Il film d’animazione diretto da Don Hall e Qui Nguyen racconta un’avventura fantascientifica ispirata alle riviste pulp dei primi anni del XX secolo, un titolo di nicchia già in partenza ma con la speranza che i soli nomi della Disney e delle star coinvolte nel cast (tra cui Jake Gyllenhaal e Lucy Liu) bastassero per avvicinarlo al grande pubblico. Anche se la speranza è l’ultima a morire, ce lo ha insegnato più volte la Disney, per qualsiasi film sarebbe impossibile superare le sfide di un marketing praticamente inesistente, un record negativo su CinemaScore e le solite, sterili polemiche sul politicamente corretto.
Un flop annunciato che ci conferma un’evidente rottura con il passato, una crisi che però non è diversa da tutte quelle che ha già affrontato e poi superato. Per comprenderne meglio i motivi proviamo a capire insieme come Strange World è stato accolto nel mondo, quali problemi ha dovuto affrontare e se per i Classici Disney è davvero tempo di crisi.
Strange World: un flop nemmeno tanto misterioso
Accolto piuttosto tiepidamente da parte della critica e ancor più da quella del pubblico, oggetto di controversie scatenatesi sul greenwashing e la componente LGBTQ+. Purtroppo Strange World non è nemmeno abbastanza buono da cambiare le proprie sorti attraverso il passaparola, perché solo in questo caso avrebbe potuto compensare la mancanza di una campagna pubblicitaria praticamente inesistente, talvolta deleteria, di cui uno dei trailer più vuoti della storia è soltanto l’apice.
Quest’unica possibilità di salvare il film e renderlo un successo è stata poi stroncata dall’infausto record negativo su CinemaScore che gli ha assegnato una B: si tratta del voto più basso mai registrato per un titolo Disney dal 1991, cioè da quando la società hollywoodiana ha iniziato a sondare la reazione del pubblico di fronte alle nuove uscite al cinema. E così, dopo una prima settimana in sala, ha incassato nei soli USA meno di 19 milioni di dollari a fronte di un budget di produzione di circa 180.
E va specificato che questo primo weekend è coinciso come da tradizione con quello del Ringraziamento, generalmente ben più florido per le casse del cinema. Basti pensare a Frozen – Il regno di ghiaccio che nella stessa settimana del 2013 incassò 94 milioni di dollari. Un risultato insufficiente per sopperire soprattutto alla mancanza dei Paesi in cui il film non è stato e non sarà distribuito per evitare la censura della caratterizzazione omosessuale di uno dei protagonisti, per cui la Disney ha deciso arbitrariamente di non far uscire il film in aree come il Medio Oriente, la Cina, la Malesia, l’Indonesia, il Pakistan, l’Africa orientale (Tanzania, Uganda, Kenya), l’Africa occidentale (Nigeria, Ghana), le Maldive, il Nepal e il Bangladesh. Oltre, ovviamente, alla Russia che al momento è sotto embargo globale.
La questione Disney+
A questi motivi che hanno inesorabilmente segnato il destino di Strange World va poi sommato quello che, per molti, sta influenzando il declino dei Classici Disney al botteghino più di ogni altro: la piattaforma streaming Disney+, dove Strange World potrebbe essere disponibile, incluso nell’abbonamento, a breve. Sebbene la data di uscita sulla piattaforma non sia stata ancora annunciata, il 61° Classico potrebbe seguire il modello di Encanto, uscito nelle sale cinematografiche il 24 novembre 2021 e approdato su Disney+ solo dopo 30 giorni, giusto in tempo per le vacanze di Natale. Questa abitudine di portare i nuovi film in streaming dopo così poco tempo dall’uscita nei cinema (oppure saltandola per approdare direttamente sulla piattaforma) è cominciata per ovvi motivi nel periodo pandemico con Raya e l’ultimo drago, che per primo è stato rilasciato in contemporanea nelle sale cinematografiche e in streaming.
I film successivi, Classici e non, hanno seguito più o meno la stessa strada, soprattutto quelli firmati Pixar (Soul, Luca, Red e l’ultimo Lightyear) che non sono ancora riusciti a rivedere il grande schermo. In virtù di ciò viene spontaneo chiedersi se è proprio a causa di questa manovra che gli spettatori abbiano perso interesse nella sala, data la comodità nell’avere il film a disposizione nei propri spazi e dopo così poco tempo, ma soprattutto nella convenienza che un tale servizio può avere quando si rivolge non tanto ai singoli, quanto più alle famiglie. Anche l’attrice Gabrielle Union, che in Strange World ha prestato la voce al personaggio di Meridian Clade, è dello stesso parere e parlando con Variety rimarca il fatto che ormai «le persone si sentono a proprio agio a guardare le cose a casa». I conservatori amanti della sala urleranno all’oltraggio (con la comprensione di chi scrive), ma questo è un dato di fatto con cui bisogna fare necessariamente i conti per non ritrovarsi con film sempre più costosi, ma che incassano sempre meno.
Strange World è davvero un film così brutto?
Ovviamente il flop di Strange World deve essere preso cum grano salis, perché testimonia una tendenza commerciale che è slegata dalla qualità effettiva del prodotto. All’opposto, nonostante il tiepido apprezzamento Strange World ha dimostrato una grande padronanza tecnica che troppo spesso nei film d’animazione viene messa (inspiegabilmente) in secondo piano, sovrastata dalla componente narrativa. E nel caso della Disney non si parla di fotorealismo ma di fluidità nei movimenti, soprattutto nei dettagli delle espressioni facciali di cui Strange World fa un uso veramente affascinante. Il design del mondo esplorato dai protagonisti potrà non essere poi così “strano” come ci si aspetterebbe dal titolo, ma ben ragionato per essere il giusto compromesso tra ciò che vuole sembrare e ciò che effettivamente si rivelerà essere alla fine del film.
A distrarci da una trama forse troppo opaca vi è una palette di colori brillanti che tanto bastano per far parlare il film anche senza dialoghi. Emblema del loro utilizzo è la particolare pianta che fornisce energia all’intera Avalonia, caratterizzata da quel brillante verde acido tipico degli storici villain che è lì un po’ a suggerirci la soluzione al mistero fin dall’inizio. Un film assolutamente imperfetto, ma che offre tanti spunti di riflessione da approfondire nella nostra recensione di Strange World.
La ciclicità delle crisi creative
Non si può dire che la Disney sia impreparata ad affrontare questo tipo di flop, anche perché nel corso dei suoi cento anni di storia ne ha affrontati diversi, tutti seguiti da momenti poco raggianti per il botteghino ma di indubbia importanza per la futura crescita creativa e tecnologica. Ne è un esempio il periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale, il cui clima di incertezza condusse a film episodici dal budget limitato ma che hanno permesso agli animatori di sperimentare tra le tecniche e i generi, passando in pochissimo tempo dal realizzare un film ispirato ad una fiaba (Biancaneve e i sette nani) a un documentario di guerra (Victory Through Air Power). Altri momenti di incertezza si ebbero per esempio dopo la morte di Walt Disney, ma per comprendere meglio il presente è più significativo ricordare il difficile periodo che ha seguito l’avvento del nuovo millennio, perché potrebbe crearci uno strano effetto di déjà-vu.
Dopo un decennio di successi come quelli degli anni ’90, la Disney tornò a sperimentare ed allargare i propri orizzonti spinta dall’ottimo risultato ottenuto dei competitors (Toy Story e Shrek su tutti) e produsse due film discutibili, ma che oggi possono essere visti come esercizi di stile in CGI: uno è servito agli animatori per imparare a padroneggiare le figure umane nei loro movimenti sempre più dinamici e fluidi (I Robinson – Una famiglia spaziale), l’altro per gestire meglio le ambientazioni e i fondali, sempre più ricchi e luminosi (Bolt – Un eroe a quattro zampe). Questi si sono rivelati fondamentali per i successivi e ben più amati film, che hanno rinvigorito la cosiddetta epoca del Revival con titoli che ci hanno fatto battere il cuore come un tempo (La Principessa e il Ranocchio, Rapunzel, Frozen, Ralph Spaccatutto, Oceania).
Oggi, in quella che viene considerata la Nuova Era della Disney, la direttrice creativa Jennifer Lee sta affrontando un altro momento di incertezza e di “crisi” nel senso letterale del termine: una rottura con il passato cominciata con le dimissioni di John Lasseter dal ruolo che lei ora ricopre e caratterizzata dal bisogno della Disney di rinnovarsi. Un periodo che si apre non a caso con due sequel (Ralph spacca Internet e Frozen II – Il segreto di Arendelle), probabile sintomo di un’incertezza che frena il rischio della creatività. Un’incertezza aggravata dal Covid-19, che sui creativi ha avuto lo stesso impatto di una guerra mondiale portando a nuovi film perlustrativi, una ricerca che la Disney ha imposto a sé stessa mossa dal bisogno di esplorare i propri confini per espanderli.
Con la pandemia in corso ci propone quindi un viaggio nel vasto mondo di Kumandra (Raya e l’ultimo drago), in cui la figura di Druun con il suo moltiplicarsi proprio come se fosse un virus miete vittima dopo vittima, dicendo involontariamente la sua in un momento storico in cui la lontananza, il pregiudizio e la divisione sembrano essere predominanti. Con Encanto ci obbliga ad accettarci per ciò che siamo e riscoprire il nostro talento, cogliendo l’occasione per imparare a gestire sempre più figure umane in scena e sperimentare con interessanti i movimenti di macchina tra oscillazioni e piani sequenza. Infine arriva Strange World, che ci invita ad esplorare il mondo in cui viviamo: lo fa con un viaggio attraverso fondali sempre più profondi, con luci che giocano tra saturazioni, tonalità e temperature in modo ancora più maturo rispetto al passato.
Ciò a cui stiamo assistendo è quindi un nuovo periodo di riflessione in cui gli animatori stanno raccogliendo le idee e implementando le tecniche con nuovi esercizi di stile, magari in attesa che la situazione post-pandemica dei cinema si stabilizzi e sia più chiaro il loro destino. Come accaduto in molti altri settori, più che un cambio di rotta la pandemia si è rivelata un vero e proprio l’acceleratore in una strada già intrapresa e, di fatto, ha dato un potere commerciale enorme alle piattaforme streaming a discapito della già minata sala cinematografica. Strange World è quindi il frutto di questo processo, sacrificato da una Disney sicuramente in crisi creativa, ma forse in attesa del momento migliore per giocarsi i suoi assi nella manica.
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