“Uccidere o essere uccisi. Questa è la legge. Avere pietà è solo un segno di debolezza”. Apriamo la recensione de Il mio nome è vendetta, il film di Cosimo Gomez con Alessandro Gassman in streaming su Netflix dal 30 novembre, con le parole di Jack London. Lo scrittore è il nume tutelare del film, e il suo romanzo, Il richiamo della foresta, è un filo rosso che accompagna i protagonisti e lo spettatore lungo il corso della vicenda. È un libro che il protagonista, Santo, leggeva da bambino e che in qualche modo ritrova e porta con sé, passandolo alla figlia. Ma, in quel libro, c’è tutto il discorso alla base del film. Il fatto che l’istinto di uccidere sia qualcosa di innato, qualcosa che si ha dentro. E che, anche se si cerca di celarlo, è destinato a venire fuori. È quello che capita al protagonista di questa storia. Il mio nome è vendetta è un revenge movie scritto e girato in Italia, un genere che da noi non si fa, e che non ha niente da invidiare agli americani. Se, da un lato, manca di una sua originalità, di una sorta di rilettura, ha il pregio di essere brutale al punto giusto, e di essere teso e conciso.
Il mio nome è vendetta
Genere: Action
Durata: 90 minuti
Uscita: 30 novembre 2022 (Netflix)
Cast: Alessandro Gassmann, Ginevra Francesconi, Remo Girone, Alessio Praticò
La trama: dal Trentino-Alto Adige all’inferno
Santo (Alessandro Gassmann), vive in una tranquilla cittadina del Trentino-Alto Adige insieme alla moglie e a sua figlia Sofia (Ginevra Francesconi), un’adolescente campionessa di hockey. Ma due criminali entrano in casa loro e uccidono barbaramente la madre e lo zio di Sofia, scatenando un regolamento di conti covato per quasi vent’anni. Sofia scoprirà che la verità le è sempre stata taciuta e che Santo nasconde un oscuro passato di affiliato alla ‘ndrangheta: è un ex sicario. E la sua vita passata, e la sua vera natura, sono destinati a tornare allo scoperto.
Santo Romeo, una History Of Violence
È una History Of Violence, una storia di violenza, quella che ha caratterizzato la vita di Santo Romeo o, se preferite, Domenico Franzè, questo il suo vero nome. È una storia che fa parte di lui e che è destinata a tornare fuori, al riproporsi di un passato che ritorna, proprio come accadeva al personaggio di Viggo Mortensen nel film di David Cronenberg. Ma i riferimenti di un film come Il mio nome è vendetta sono tanti: da Tony Scott e i suoi Nemico Pubblico e Man On Fire, a Leon di Luc Besson, perché al centro ci sono un uomo e una ragazzina, fino a praticamente tutta la recente carriera di Liam Neeson, da Taken in poi. È da questo che si capisce come Il mio nome è vendetta sia un perfetto revenge movie, un tipo di film che solitamente è appannaggio del cinema americano o di quello francese, e mai di quello italiano. Già che si sia provato a fare un film così in Italia, con tutti i codici e i topoi narrativi tipici del genere, merita un plauso.
Un revenge movie all’italiana
È il segnale di una tendenza. Perché, da altre parti, con altri generi cinematografici completamente diversi, abbiamo visto il cinema italiano provare a riprendersi delle storie che da noi non si sono mai fatte, o non si facevano più. Quello che servirebbe, però, in una rilettura italiana di un genere tipicamente americano, sarebbe appunto una sua reinterpretazione, una chiave di lettura nuova, personale, che desse un senso in più al fatto di fare in Italia un film di questo tipo. In altri casi è stato trovato un modo per personalizzare un genere di film tipicamente americano. Qui non avviene, e il solo fatto che il protagonista sia legato alla ‘ndrangheta e parli calabrese non basta a farne un film originale.
Un film brutale come deve essere
Ma forse un film originale Il mio nome è vendetta non vuole esserlo. E probabilmente non serve. Il mio nome è vendetta così com’è funziona. E ha un grosso pregio: quello di essere brutale come dev’essere un film di questo tipo, e non edulcorato in alcun modo. La violenza, il sangue, le sequenze dei combattimenti sono assolutamente al livello dei film stranieri che siamo abituati a vedere. E, in questo senso, è bello vedere che il cinema italiano – il merito è del regista Cosimo Gomez e anche di Netflix – non abbia fatto alcun passo indietro. Al taglio internazionale del film contribuisce anche la fotografia di Vittorio Omodei Zorini: nel segno di Tony Scott e di un certo cinema americano, è una fotografia irreale, effettata, che punta su colori saturi, quasi a voler sottolineare il tono da incubo che acquista questa storia.
90 minuti senza alcun cedimento di ritmo
Un altro pregio del film, poi, è quello di essere incredibilmente conciso, un vero e proprio miracolo di montaggio. In un’era in cui ogni film sembra sfiorare le due ore e mezza, in cui le serie tv riescono ad avere episodi da 80 minuti, Il mio nome è vendetta dura 90 minuti, in cui accade tutto quello che deve accadere, secondo un arco narrativo scandito nel modo giusto, senza alcun cedimento di ritmo, e senza alcun passaggio inutile. Il mio nome è vendetta è così, un film diretto e senza fronzoli.
Alessandro Gassmann e Ginevra Francesconi, anima e corpo
Alessandro Gassmann e Ginevra Francesconi si gettano anima e corpo nel progetto, e sono un valore aggiunto al film. Per l’attore è la prima volta in un film di questo tipo, che si rivela perfetto per la sua fisicità. Il suo cambio di look lo aiuta nell’evoluzione di un personaggio che vive più vite in una: prima ha la barba e i capelli lunghi, poi lo vediamo con la testa rasata e il volto pulito, che ne accentua i lineamenti duri e rocciosi. Ginevra Francesconi, che è stata scelta tra almeno cinquanta aspiranti, ha un volto delizioso, gli occhi blu profondi e quei capelli a caschetto che ci rimandano proprio alla Matilda di Leon. È proprio per quel suo volto che è stata scelta: dolce, ma capace di dimostrare grinta e determinazione. Accanto a loro ci sono due habitué del genere: Alessio Praticò, reduce da Il cacciatore e Blocco 181, ci mostra un’altra sfaccettatura del crimine, quello in colletto bianco, giacca e cravatta. E poi Remo Girone, volto storico de La piovra. Avere pietà è un segno di debolezza. E Il mio nome è vendetta è un film dove nessuno ha pietà. Ed è giusto così.
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La recensione in breve
Nella recensione de Il mio nome è vendetta vi abbiamo parlato di un revenge movie scritto e girato in Italia, un genere che da noi non si fa, e che non ha niente da invidiare agli americani. Se, da un lato, manca di una sua originalità, di una sorta di rilettura, ha il pregio di essere brutale al punto giusto, e di essere teso e conciso.
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Voto ScreenWorld