Alzarsi dal divano è un’impresa. Lavarsi da soli è una fatica immane. Ritirare una pizza sull’uscio di casa vale quasi una scampagnata. La triste esistenza di Charlie è rinchiusa dentro questa squallida routine senza fine. Dopo essere entrati in casa sua senza chiedere permesso, alzarsi dalla poltrona di un cinema non sarà facile. Appesantiti anche noi dalla straziante vita di un uomo che si abbuffa senza assaporare più niente. Eppure questa triste storia ha anche un retrogusto più dolce. Perché abbiamo ritrovato due persone che ci mancavano da tanto tempo.
Apriamo la recensione di The Whale, in concorso a Venezia 79, riabbracciando il miglior Darren Aronofsky (finalmente tornato ai fasti e al tatto di The Wrestler) e un redivivo Brandan Fraser, scomparso dai radar del grande cinema da tanto, troppo tempo. Sono loro i grandi artefici di un film intimo e commovente, capace di trascinarti nei tormenti di un’altra persona e fartela conoscere in due ore di grande cinema.
The Whale
Genere: Drammatico
Durata: 117 minuti
Uscita: N.D.
Cast: Brendan Fraser, Sadie Sink, Ty Simpkins, Hong Chau, Samantha Morton
La trama: abisso domestico
Di The Whale era trapelato poco e niente. Sapevamo che era tratto dall’omonima opera teatrale di Samuel D. Hunter (messa in scena nel 2012), e avevamo visto una foto. Un frame soltanto: un irriconoscibile Brendan Fraser nei panni di un uomo obeso. Primo piano di un uomo dallo sguardo tenero, fragile, quasi smarrito. Eppure, dopo aver visto lo splendido film di Aronofsky, possiamo dire che quella fotografia basta a raccontare davvero The Whale. Perché il film è Charlie. Tutto ruota attorno a lui, ai suoi dolori e alle sue speranze. Lo incontriamo per la prima volta sul divano di casa sua, alle prese con i malanni fisici di un uomo che pesa oltre 250 chili. Vive da solo in un piccolo appartamento, insegna scrittura creativa on line e si ingozza di junk food. Una triste monotonia smossa da un solo obiettivo: riallacciare i rapporti con sua figlia, adolescente e arrabbiata. Non serve aggiungere altro sulla trama, ma un’indicazione sul viaggio fatto in sala serve eccome: guardare The Whale vi farà entrare nella casa e nella vita di Charlie. Prima in punta di piedi, poi seduti sul divano accanto a lui e poi scomodi davanti a un dramma domestico a tratti straziante, che commuove senza mai essere ricattatorio. Perché Aronofsky fa tutto con grande tatto e con il giusto tono, stimolando l’empatia del pubblico con una naturalezza che nel suo cinema mancava da tanto tempo.
Brandan Fraser: di cuore e di pancia
Aronofsky apre la porta, Charlie ci fa accomodare, ma è Brandan Fraser a rendere The Whale un’esperienza memorabile. La sua è una performance da standing ovation soltanto a ripensarci: dolente, generosa, tenera e vulnerabile in ogni suo gesto, morso e respiro. Appesantito dai sensi di colpa e gonfio di pentimenti, il suo Charlie è destinato a lasciare un segno indelebile nel cinema di Aronofsky, nel cuore del pubblico e soprattutto nella sua carriera. Perché questa è una prova da Oscar in cassaforte. Perché questo è un personaggio eroico nel guardarsi dentro, nell’essere spietato e sincero con gli altri e con se stesso.
Nonostante i chili di invadente trucco prostetico portati addosso, l’attore americano non viene mai soffocato, ma lascia trasparire una umanità davvero emozionante. Passeremo cinque giorni assieme a Charlie, non usciremo mai da casa sua, eppure la sua storia riesce a uscire da quelle quattro squallide mura, diventando universale. Attraverso una storia impregnata di affetti familiari, The Whale è un film che viene in qualche modo a bussare alla tua porta. Bussano i pentimenti, gli amori taciuti, le cose non dette, il peso degli altri nelle nostre vite e il nostro nelle loro. The Whale è il dramma di uno, ma diventa un esame di coscienza per tutti.
La balena di Aronofsky
Il corpo martoriato come territorio di una lotta interiore, la solitudine come condanna degli uomini e gli spazi che raccontano le persone. C’è tanto del solito cinema di Aronofsky anche in The Whale. Eppure, cinque anni dopo un film tronfio e ambizioso come Mother!, è davvero bello ritrovare un grande autore così misurato, così centrato, così efficace.
Senza voglia di strafare, Aronofsky sembra quasi ascoltare i consigli di Charlie, che chiede ai suoi alunni di tirare fuori un po’ di sincerità in quello che scrivono. È quello che fa il regista in un film davvero sincero. Una storia intima, piccola ed enorme allo stesso tempo, impreziosita da una regia misurata, ma capace di un paio di guizzi davvero memorabili quando c’è da scuotere senza voler impressionare a tutti i costi. Perché l’ambizione di Aronofsky assomiglia davvero all’indomita caparbia del Capitano Achab sulle tracce di Moby Dick. E dopo tanti film strabordanti, epici e biblici, il buon Darren è uscito dalle sue tempeste. E grazie a questa perla di The Whale ha finalmente catturato la sua balena bianca.
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La recensione in breve
Un dramma domestico commovente e spietato come tutte le cose sincere. The Whale ci ha fatto alzare a fatica dalla poltrona della sala. Merito di un Darren Aronofsky finalmente schietto e di un Brandan Fraser straordinario. Il suo Charlie è da Oscar e il suo film (forse) da Leone D'Oro.
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Voto ScreenWorld