Probabilmente conoscerete, e avrete provato, quello strano istinto animale, che scientificamente porta il nome di aggressione tenera, in cui si sente la pulsione di mordere una persona per dimostrarle affetto, forse per un magnetismo legato alla bellezza di chi abbiamo di fronte e un desiderio irrazionale di gustarla.
Ecco, il desiderio di mordere lo schermo cinematografico alla fine della visione di Bones and All, il nuovo film di Luca Guadagnino presentato in concorso al Festival di Venezia 2022, è tanto. E non solo per coerenza con la storia di Maren e Lee, due giovani cannibali che intraprendono un viaggio on the road lungo le strade rurali dell’America reaganiana, ma anche per dimostrare tutto il nostro amore verso un’opera intrisa d’amore e bellezza.
Ci perdonerete se in questa recensione di Bones and All affondiamo i denti senza indugio, dicendo fin da subito di aver avuto la fortuna di assistere a uno degli esempi più cristallini del miglior cinema: creativo, coraggioso, raffinato, sensibile ed emotivo. Un’esperienza lunga 130 minuti in cui, solitari sulla nostra poltrona della sala, ci siamo legati a due giovani borderline, costruendo un rapporto che, come il sangue sulla pelle e sui vestiti, si appiccica e non si smacchia. Empatico. O forse dovremmo dire emo-tivo.
Bones and All
Genere: Drammatico
Durata: 130 minuti
Uscita: 2 settembre 2022 (Festival di Venezia 2022)
Cast: Taylor Russell, Timothée Chalamet, Mark Rylance, Michael Stuhlbarg
Una trama ridotta all’osso
Dovessimo riassumere la trama del film ci sarebbe ben poco da raccontare (e non che sia un male). Bones and All racconta la storia di Maren, una giovane ragazza neo-diciottenne che vive col padre fin quando la sua pulsione cannibale, rimasta sopita da tempo, riesplode. Una volta fuggiti e trovato rifugio in un altro stato americano, dopo poco tempo, il padre lascerà alla figlia un’audiocassetta con un ultimo messaggio, un certificato di nascita e qualche soldo, abbandonandola al suo destino. Maren inizierà così un viaggio lungo l’America rurale che la porterà a fare la conoscenza con Lee, un giovane scapestrato che -come lei- ha una passione irrefrenabile per la carne umana. Tra i due outsiders ci sarà del tenero.
Non vogliamo raccontarvi di più, sia per non rovinarvi le sorprese che il film riserva, sia perché l’interesse maggiore è raccontare il filo di trama che lega i due personaggi, e il pubblico con loro. Non una storia di eventi, ma di sentimenti. Perché, si sa, lo puro svolgimento del racconto è solo l’ossatura di una storia. La carne vera, quella succosa, è data dalle emozioni.
La sabbia giovane
E con una raffinatezza senza eguali, Guadagnino evolve ciò che aveva già ampiamente dimostrato in Chiamami col tuo nome (per quanto riguarda il turbinio di un mondo interiore) e in Suspiria (un lavoro che stimola oltrepassando l’epidermide) realizzando un film di bellezza sopraffina tutto concentrato su una coppia di giovanissimi incompresi e solitari.
In questo viaggio on the road instancabile, e di conseguenza senza direzione, sembra rivedere i film della New Hollywood e, in particolar modo, l’esordio alla regia di Terrence Malick. C’è un moto di vita che porta i due protagonisti a percorrere strade di un’America quasi dimenticata, come loro. Senza genitori, senza la comprensione di una figura adulta che, a causa del loro “essere diversi” (ovvero cannibali), li ha resi di fatto orfani, Maren e Lee riempiono l’aridità delle loro vite solo grazie al legame emotivo e sentimentale che instaurano tra loro. Messi in disparte dal mondo vivo che non conoscono, fatto di perfezione apparente, luna park e gelati con caramelle colorate, e che non appartiene alla loro natura, più sanguigna e carnale (e che belli quei baci voraci che si scambiano), i due sono specchio di una generazione di emarginati.
Ecco la contemporaneità di Bones and All, nonostante l’ambientazione anni Ottanta. Un film che si rivolge a un pubblico di giovani, nonostante alcune scene dal contenuto forte (ma mai volgare), accogliendoli, abbracciandoli, facendoli sentire meno soli. Un’oasi nel deserto dell’incomunicabilità.
Un cast fuori dall’ordinario
Se Bones and All funziona a meraviglia, lo è anche per la presenza di alcune personalità di spicco in un cast variegato, ma decisamente perfetto. Vogliamo citare Mark Rylance, nei panni di un cannibale che Maren e Lee incontreranno lungo la strada, capace di giocare con le sensazioni nei confronti dello spettatore: affidabile ma perverso, dolce ma imprevedibile, infantile ma viscido. Un personaggio davvero indimenticabile sin dalla prima visione.
Michael Stuhlbarg ritrova Guadagnino interpretando un personaggio decisamente più rozzo rispetto al padre di Elio in Chiamami col tuo nome, esempio di quanto in questo film il regista abbia voluto donare un tratto caratteristico, soprattutto visivo, a ogni personaggio.
Ed è così che arriviamo a parlare della coppia protagonista. Certo, su Timothée Chalamet non possiamo dire nulla che non sia già stato detto nel corso di questi ultimi anni. Il giovane attore si trova perfettamente a suo agio nei panni di Lee, accostando la fragilità dell’infanzia e dell’adolescenza a un portamento adulto.
La grande rivelazione di Bones and All è, però, Taylor Russell, assolutamente incredibile nel modo in cui si muove, reagisce, parla, osserva. Un’attrice che sembra nata per mostrare i suoi primi piani nello schermo più grande possibile, e che contribuisce nella misura maggiore a dare vita a quel legame empatico con gli spettatori.
Il nastro, la strada e lo sguardo
Il cannibalismo come metafora del saziarsi d’amore, del mangiare ed essere mangiati per diventare un unico corpo comprendente entrambi. Maren e Lee sono cannibali per natura, non per scelta, e non possono fare a meno di seguire l’istinto di essere chi sono. Come l’ultimo messaggio registrato dal padre di Maren, parole impresse su un nastro che si può interrompere ma si è costretti ad ascoltare. Così come la strada che i due percorrono, senza trovare una vera e propria casa definitiva, senza un riconoscimento (impossibile) da parte degli altri membri della famiglia.
E così come l’indispensabile azione del guardare e dell’essere guardati. Di comprendere l’altro attraverso gli occhi e i riflessi al loro interno. Tutto scorre: il tempo, il nastro dell’audiocassetta, la strada, il sangue. Il film smette di farlo solo in un’ultima inquadratura bucolica, perfetta, che interrompe il tempo. Un bacio che lascia un sapore sulle labbra, che non ha bisogno di parole, perché le emozioni si mostrano, ma non si descrivono.
Fino all’osso: è fino a dove arriva l’abbraccio. È fino a dove ci sentiamo capiti. È fino a dove si mostra il piacere e il gusto del cinema.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
Con Bones and All, Luca Guadagnino realizza uno dei suoi film più belli (e uno dei migliori visti finora in concorso a Venezia 79): una storia d'amore on the road che punta tutto sulle emozioni e la comprensione dell'altro. Ambientata nel passato ma capace di dialogare con il mondo di oggi, Bones and All è un inno raffinato all'amore, con un cast straordinario su cui spicca Taylor Russell.
-
Voto ScreenWorld